USA
: torna la caccia al "negro"... e quando se n'era
andata ?
di
Domenico Bilotti*
L’assaggio c’era stato a New Orleans, una delle più belle
città statunitensi, letteralmente sventrata, alla fine dell’Agosto
del 2005, dall’uragano Katrina. Le disagevoli condizioni di
vita, gli interi quartieri di abitazioni private abbandonati
a ruberie (a volte calcolate, a volte di mera resistenza),
lo stato d’eccezione agitato come una clava.
La
comunità black, spina dorsale del rinascimento artistico e
commerciale, che aveva caratterizzato New Orleans ad alterne
fortune per circa due decenni, sul banco degli imputati: senza
mai potere cedere il posto alle colpe dell’Amministrazione
centrale e di quella locale, che avevano gestito gli aiuti
umanitari in modo (cupamente) allegro.
A
metà Ottobre, l’antico pregiudizio razziale, che alberga negli
Stati Uniti, soprattutto quando l’insicurezza sociale aumenta
e aumentano le inadeguatezze di chi quella insicurezza dovrebbe
limitare, è tornato a farsi sentire. E si sente in quei luoghi
in cui la componente afroamericana è forte, coesa, radicata.
Magari confinata in quartieri che hanno poco da invidiare
ad una segregazione forzata: la faccia triste dell’America,
nera di rabbia, nera di colore, coccolata (quasi quanto quella
ispanica) solo in vista del rinnovo di una carica importante.
Se non fosse stato per pochissime testate (Internazionale,
Radio Onda d’Urto), avremmo saputo poco dei 17 arresti eseguiti
a Saint Louis nel mezzo di una manifestazione antirazzista,
il 13 Ottobre scorso. Ci saremmo fermati all’episodio clamoroso,
della settimana precedente, quando un diciottenne in stato
confusionale era stato ucciso perché impugnava un oggetto…
sospettabile di esser scambiato per un’arma da fuoco: un sandwich.
La
comunità black aveva risposto: non erano state organizzate
cacce al “bianco” o ronde private nei quartieri dormitorio.
Al netto di tutti gli odi che scatenano episodi così luttuosi,
era stata una risposta in larga misura slegata dalle rivendicazioni
razziali e dalla violenza: una richiesta di giustizia, semmai,
visto che gli episodi di malversazione, soprattutto da parte
degli istituti di vigilanza privata, non sono così occasionali,
nella terra delle opportunità e del sogno americano.
Sarebbe stato troppo vedere all’opera un servizio d’ordine
limitato e collaborativo, dove ai manifestanti fosse stato
riconosciuto il diritto di incontrare le istituzioni locali
e formulare, a nome di una comunità tutta, una richiesta di
giustizia, basata su un piano di alleggerimento del pattugliamento
pubblico e privato?
Esiste
ancora il razzismo nella società americana: non è una norma
formale dell’ordinamento, eppure sembra una rigorosa legge
non scritta, per cui la popolazione penitenziaria vede le
minoranze etniche sovrarappresentate rispetto alla loro consistenza
demografica (e in Italia?) e dove, quando una comunità locale
è messa alle strette, si cerca sempre un capro espiatorio.
Lo stesso. Quello che non se n’è mai andato.
Il primo Presidente di colore una riflessione collettiva su
questi temi avrebbe potuto e dovuto aprirla. Ha preferito
vedere quanto e come avrebbe perso le elezioni di mid-term,
che riportano entrambe le Camere elettive sotto il controllo
del Partito Repubblicano.
Dossier
immigrazione e razzismo
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