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Giustizia
italiana ed europea : progressiva cessione di sovranità
di
Demetrio Delfino*
Non
vi è ormai nessun quotidiano, nazionale o locale che non esponga,
in modo più o meno approfondito, tematiche che coinvolgono
l'Italia quale membro dell'Unione Europea. Ed in verità, mi
pare percepire una certa disinformazione sul perché, ormai,
la politica italiana debba, a torto o a ragione, incasellarsi
in quella europea e perché, ormai, si parli addirittura di
un quarto grado di giudizio chiaramente rappresentato dalla
giurisdizione della Corte Europea.
In
realtà, questa apparente distonia non è il frutto di mediatiche
pressioni o di particolari orientamenti politici ma, rappresenta
il frutto di una lenta evoluzione, legislativa e giurisprudenziale,
che ha portato l'Italia, così come molti altri Stati dell'Unione,
a limitare la propria sovranità in favore di un Ente sovranazionale
capace di incidere, talvolta in modo diretto, all'interno
di ogni stato membro.
Il
vero punto di partenza, sotto il profilo strettamente tecnico,
è dato dall'efficacia vincolante delle norme dell'Unione Europea
nei confronti dei singoli Stati e, in particolare, nei confronti
dell'Italia. Tale efficacia è stata oggetto di ampie discussioni
dottrinali che hanno trovato il loro naturale conforto nell'evoluzione
giurisprudenziale della Corte Costituzionale. E' evidentemente
comprensibile come l'inizio di tale commino sia stato contrassegnato
da una teoria "dualista" in base alla quale l'ordinamento
dell'Unione Europea doveva considerarsi come un qualcosa di
separato, di distinto dall'ordinamento Italiano.
Tale
impostazione, è d'evidenza, non poteva reggere al dinamico
processo di integrazione dei rispettivi ordinamenti processo
che ha portato ad individuare le cosidette norme self-executing
e cioè, delle norme particolari, quali i regolamenti, che
rappresentano una diretta espressione della volontà Europea
all'interno degli Stati membri. Dal canto suo, la Corte di
Giustizia, ha dato un forte impulso a tale integrazione. Il
problema principale che si è posto è stato quello di capire
in che modo potevano ritenersi efficaci, in Italia, i trattati
Europei. L'evoluzione legislativa italiana è stata lunga e
laboriosa tanto da ritenere inutile, in queste sede, descriverne,
nei particolari, il suo cammino.
Peraltro,
appare fondamentale comprendere come, i singoli trattati,
possano ritenersi efficaci in Italia. La discussione che a
riguardo è scaturita era da attribuirsi, soprattutto, al fatto
che l'esecuzione dei trattati avvenisse tramite legge ordinaria
e questo, non ha fatto altro che innescare la fisiologica
polemica giuridica sul come potesse ritenersi possibile che,
un trattato che contenesse una norma capace di incidere su
altra norma contenuta nella nostra Costituzione, potesse ritenersi
efficace sulla base di una semplice legge ordinaria. Non senza
preventiva discussione si pensò che il problema potesse essere
risolto qualora fosse reperita, nella nostra Carta Costituzione,
una norma che consentisse tale asserita "equivoca" efficacia.
La
norma reperita fu quella contenuta nell'articolo 11 il quale
così recita: "l'Italia consente, in condizioni di
parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia
fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte a tale scopo". Ciò posto, tale problema, divenne
oggetto di una intensa attività giurisprudenziale della Corte
Costituzionale della cui produzione appare di rilievo ricordare
le seguenti sentenze. La prima, in ordine di tempo, trova
la propria collocazione nell'anno 1964 nella vertenza meglio
nota come Costa c Enel (Corte Costituzionale 7 Marzo 1964
n 14).
Il principio espresso in tale sentenza si uniforma, perfettamente,
con quello della gerarchia delle fonti presente nello stato
italiano e cioè, posto che il regolamento ha la stessa efficacia
di una legge ordinaria, l'eventuale conflitto tra le due norme
deve essere risolto sulla base di quelli che sono i principi
generali che, ordinariamente, vengono applicati per risolvere
altro eventuale conflitto tra due norme di pari grado facenti
parte dell'ordinamento italiano e cioè, attraverso il principio
dell'efficacia delle fonti nel tempo e nello spazio e, attraverso
il principio gerarchico.
L'indicato
orientamento mutò in altra sentenza della Corte Costituzionale
ed esattamente la n°232 dell'08 Giugno 1975 meglio nota come
sentenza ICIC c Ministero del Commercio con l'estero nella
quale, la Corte, così si esprime: "……Non sembra possibile
configurare la possibilità della disapplicazione come effetto
di una scelta tra norma comunitaria e norma interna, consentita
di volta in volta al giudice italiano sulla base di una valutazione
della rispettiva resistenza….il giudice italiano è tenuto
a sollevare la questione della loro legittimità costituzionale…il
principio espresso appare davvero univoco e cioè, qualora
una norma interna sia in contrasto con un atto dell'Unione
Europea, il Giudice Italiano non può disapplicare la norma
ma, deve sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale".
La vera svolta da parte della giurisprudenza si ebbe con la
sentenza n 170 dell'08 Giugno 1984 meglio nota come sentenza
Granital c Amministrazione delle Finanze ed infatti, a seguito
di sì rilevante sentenza, qualora intervenga, da parte
dell'Unione Europea, l'emanazione di un regolamento disciplinante
una determinata materia, gli organi legislativi italiani non
potranno più legiferare sulla stessa materia e, in caso di
emanazione successiva di apposita normativa che contrasti
con il regolamento comunitario, la norma interna deve essere
disapplicata.
Compiuto il cambio radicale di impostazione, la Corte Costituzionale
è intervenuta altre due volte prima di arrivare al principio
che ormai governa il contrasto tra la norma Europea e la norma
Nazionale. Ed infatti, con le sentenze n 384 del 10 Novembre
1994 e con la sentenza n 94 del 30 Marzo 1995 la Corte Costituzionale
ha dichiarato la propria competenza a dichiarare la illegittimità
costituzionale di una norma statale contraria a disposizioni
europee che violino prerogative delle Regioni e delle Province
autonome nonché si è dichiarata competente a dichiarare l'illegittimità
costituzionale di una legge regionale impugnata dallo stato
in quanto contrastante con un obbligo europeo. Tale giudizio
di costituzionalità, peraltro, deve ritenersi ammissibile
solo quando viene sollevato in via principale e non quando,
invece, la Corte interviene solo incidentalmente sulla questione
poiché, nel caso di specie, sarà lasciato al giudice ordinario
il compito di disapplicare la normativa configgente con quella
Europea.
L'evoluzione in parola ha avuto la sua naturale conclusione
nella legge costituzionale del 18 Ottobre 2001 n°3 con la
quale è stato rivisitato l'articolo 117 della Costituzione
il quale, attualmente, così recita al primo comma:"….La
potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni
nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali".
A livello costituzionale, la legge in parola ha stabilito
il prevalere del diritto comunitario su quello nazionale.
Le discussioni tecniche non sono mancate neppure in questo
caso peraltro, un grosso passo in avanti è stato fatto a prescindere
del rilievo che si possa attribuire al concreto ingresso dell'Italia
nell'Unione Europea.
*
Avvocato,
Coordinatore della Commissione di proposta legislativa dell'Osservatorio.
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