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26 settembre 2014
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Giustizia italiana ed europea : progressiva cessione di sovranità
di Demetrio Delfino*

Non vi è ormai nessun quotidiano, nazionale o locale che non esponga, in modo più o meno approfondito, tematiche che coinvolgono l'Italia quale membro dell'Unione Europea. Ed in verità, mi pare percepire una certa disinformazione sul perché, ormai, la politica italiana debba, a torto o a ragione, incasellarsi in quella europea e perché, ormai, si parli addirittura di un quarto grado di giudizio chiaramente rappresentato dalla giurisdizione della Corte Europea.

In realtà, questa apparente distonia non è il frutto di mediatiche pressioni o di particolari orientamenti politici ma, rappresenta il frutto di una lenta evoluzione, legislativa e giurisprudenziale, che ha portato l'Italia, così come molti altri Stati dell'Unione, a limitare la propria sovranità in favore di un Ente sovranazionale capace di incidere, talvolta in modo diretto, all'interno di ogni stato membro.

Il vero punto di partenza, sotto il profilo strettamente tecnico, è dato dall'efficacia vincolante delle norme dell'Unione Europea nei confronti dei singoli Stati e, in particolare, nei confronti dell'Italia. Tale efficacia è stata oggetto di ampie discussioni dottrinali che hanno trovato il loro naturale conforto nell'evoluzione giurisprudenziale della Corte Costituzionale. E' evidentemente comprensibile come l'inizio di tale commino sia stato contrassegnato da una teoria "dualista" in base alla quale l'ordinamento dell'Unione Europea doveva considerarsi come un qualcosa di separato, di distinto dall'ordinamento Italiano.

Tale impostazione, è d'evidenza, non poteva reggere al dinamico processo di integrazione dei rispettivi ordinamenti processo che ha portato ad individuare le cosidette norme self-executing e cioè, delle norme particolari, quali i regolamenti, che rappresentano una diretta espressione della volontà Europea all'interno degli Stati membri. Dal canto suo, la Corte di Giustizia, ha dato un forte impulso a tale integrazione. Il problema principale che si è posto è stato quello di capire in che modo potevano ritenersi efficaci, in Italia, i trattati Europei. L'evoluzione legislativa italiana è stata lunga e laboriosa tanto da ritenere inutile, in queste sede, descriverne, nei particolari, il suo cammino.

Peraltro, appare fondamentale comprendere come, i singoli trattati, possano ritenersi efficaci in Italia. La discussione che a riguardo è scaturita era da attribuirsi, soprattutto, al fatto che l'esecuzione dei trattati avvenisse tramite legge ordinaria e questo, non ha fatto altro che innescare la fisiologica polemica giuridica sul come potesse ritenersi possibile che, un trattato che contenesse una norma capace di incidere su altra norma contenuta nella nostra Costituzione, potesse ritenersi efficace sulla base di una semplice legge ordinaria. Non senza preventiva discussione si pensò che il problema potesse essere risolto qualora fosse reperita, nella nostra Carta Costituzione, una norma che consentisse tale asserita "equivoca" efficacia.

La norma reperita fu quella contenuta nell'articolo 11 il quale così recita: "l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Ciò posto, tale problema, divenne oggetto di una intensa attività giurisprudenziale della Corte Costituzionale della cui produzione appare di rilievo ricordare le seguenti sentenze. La prima, in ordine di tempo, trova la propria collocazione nell'anno 1964 nella vertenza meglio nota come Costa c Enel (Corte Costituzionale 7 Marzo 1964 n 14).

Il principio espresso in tale sentenza si uniforma, perfettamente, con quello della gerarchia delle fonti presente nello stato italiano e cioè, posto che il regolamento ha la stessa efficacia di una legge ordinaria, l'eventuale conflitto tra le due norme deve essere risolto sulla base di quelli che sono i principi generali che, ordinariamente, vengono applicati per risolvere altro eventuale conflitto tra due norme di pari grado facenti parte dell'ordinamento italiano e cioè, attraverso il principio dell'efficacia delle fonti nel tempo e nello spazio e, attraverso il principio gerarchico.

L'indicato orientamento mutò in altra sentenza della Corte Costituzionale ed esattamente la n°232 dell'08 Giugno 1975 meglio nota come sentenza ICIC c Ministero del Commercio con l'estero nella quale, la Corte, così si esprime: "……Non sembra possibile configurare la possibilità della disapplicazione come effetto di una scelta tra norma comunitaria e norma interna, consentita di volta in volta al giudice italiano sulla base di una valutazione della rispettiva resistenza….il giudice italiano è tenuto a sollevare la questione della loro legittimità costituzionale…il principio espresso appare davvero univoco e cioè, qualora una norma interna sia in contrasto con un atto dell'Unione Europea, il Giudice Italiano non può disapplicare la norma ma, deve sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale".

La vera svolta da parte della giurisprudenza si ebbe con la sentenza n 170 dell'08 Giugno 1984 meglio nota come sentenza Granital c Amministrazione delle Finanze ed infatti, a seguito di sì rilevante sentenza, qualora intervenga, da parte dell'Unione Europea, l'emanazione di un regolamento disciplinante una determinata materia, gli organi legislativi italiani non potranno più legiferare sulla stessa materia e, in caso di emanazione successiva di apposita normativa che contrasti con il regolamento comunitario, la norma interna deve essere disapplicata.

Compiuto il cambio radicale di impostazione, la Corte Costituzionale è intervenuta altre due volte prima di arrivare al principio che ormai governa il contrasto tra la norma Europea e la norma Nazionale. Ed infatti, con le sentenze n 384 del 10 Novembre 1994 e con la sentenza n 94 del 30 Marzo 1995 la Corte Costituzionale ha dichiarato la propria competenza a dichiarare la illegittimità costituzionale di una norma statale contraria a disposizioni europee che violino prerogative delle Regioni e delle Province autonome nonché si è dichiarata competente a dichiarare l'illegittimità costituzionale di una legge regionale impugnata dallo stato in quanto contrastante con un obbligo europeo. Tale giudizio di costituzionalità, peraltro, deve ritenersi ammissibile solo quando viene sollevato in via principale e non quando, invece, la Corte interviene solo incidentalmente sulla questione poiché, nel caso di specie, sarà lasciato al giudice ordinario il compito di disapplicare la normativa configgente con quella Europea.

L'evoluzione in parola ha avuto la sua naturale conclusione nella legge costituzionale del 18 Ottobre 2001 n°3 con la quale è stato rivisitato l'articolo 117 della Costituzione il quale, attualmente, così recita al primo comma:"….La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". A livello costituzionale, la legge in parola ha stabilito il prevalere del diritto comunitario su quello nazionale. Le discussioni tecniche non sono mancate neppure in questo caso peraltro, un grosso passo in avanti è stato fatto a prescindere del rilievo che si possa attribuire al concreto ingresso dell'Italia nell'Unione Europea.

* Avvocato, Coordinatore della Commissione di proposta legislativa dell'Osservatorio.


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