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02 settembre 2013
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Falsa denuncia di sinistro stradale
di Demetrio Delfino*

Sempre più di spesso, nella casistica giurisprudenziale, rileviamo non pochi reati che si perfezionano anche a seguito di false denunce di sinistri stradali. Ed invero, non di rado accade che ignari automobilisti ricevano delle diffide di messa in mora a seguito di sinistri stradali inesistenti e, addirittura, formali atti di citazione conseguenti a tali fantomatici sinistri. A motivo di tali atti, ne scaturiscono conseguenti denunce nelle quali, non di rado, si chiede al Pubblico Ministero incaricato di procedere per il reato di truffa di cui all'articolo 640 c.p.

A tale riguardo appare di particolare interesse un orientamento giurisprudenziale che merita di essere esaminato soprattutto per l'attenta verifica tecnica dell'articolo 640 del c.p.; da tale verifica, nell'esaminando caso, ne è derivata un ordinanza di archiviazione ai sensi dell'articolo 409 c.p.p. comma V. Il ragionamento che traspare merita di essere dettagliatamente ricordato.

Il competente GIP, aderendo alla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero e rigettando l'opposizione della persona offesa così si esprime. …"Invero, rispetto al querelante la truffa non è rinvenibile né nell'invio della lettera raccomandata con richiesta di risarcimento né nella notificazione dell'atto di citazione, non potendosi tali comportamenti qualificare come artifizi o raggiri idonei a trarre in inganno il destinatario della raccomandata e della citazione, atteso che quest'ultimo non può non essere ben consapevole, checché venga affermato nella lettera raccomandata e nell'atto di citazione, di non avere cagionato alcun sinistro (salvo voler ritenere l'assurdo che una lettera raccomandata o un atto di citazione di tale fatta possano avere la capacità di convincere il destinatario di avere commesso ciò che invece egli non ha mai commesso). Né si può opinare che, in virtù dell'atto di citazione, sia stata posta in essere una cd. truffa processuale (o, meglio, un tentativo di truffa processuale)…".

Il Gip incaricato, previa descrizione della ipotesi della truffa processuale conclude il proprio ragionamento escludendo tale ipotesi di reato poiché si dovrebbe ammettere, tra l'altro, che la vittima, a seguito della truffa posta in essere da una parte processuale del processo, sia il Giudicante il quale emetterebbe una sentenza favorevole all'ingannatore e sfavorevole per la controparte, con conseguente ingiusto profitto per il primo ed ingiusto danno per la seconda. Ora, come argomenta appunto il GIP, tale ipotesi di reato non pare potersi integrare nel caso di specie poiché, tale tipo di ipotesi, non pare potere rientrare nella fattispecie di cui all'articolo 640 c.p.

In particolare, il Giudicante sviluppa tale posizione argomentando quanto segue:…."Tuttavia, come già accennato, il requisito che davvero manca nella truffa processuale rispetto alla fattispecie di truffa delineata dall'articolo 640 c.p., è il requisito dell'atto di disposizione patrimoniale. Invero, pur assumendosi che il Giudice possa essere tratto in inganno dagli artifizi e raggiri posti in essere da una parte del giudizio, resta il fatto che l'atto che il Giudice compie come conseguenza di tali artifizi e raggiri non è un atto di disposizione patrimoniale bensì, è l'emissione di una sentenza: orbene, la sentenza non è un atto di disposizione patrimoniale, da intendersi, secondo il suo significato tecnico-giuridico, come regolamentazione di interessi privatistici ed espressione di autonomia negoziale delle parti, ma è invece espressione di un potere, quale quello giurisdizionale, di natura eminentemente pubblicistica, la cui finalità è l'attuazione di norme giuridiche e la risoluzione di conflitti e che quindi, pur andando ad incidere sul patrimonio dei soggetti ( tra l'altro mai direttamente, bensì solo in via mediata in virtù o della volontaria adesione della parte soccombente al dictum della sentenza oppure in virtù della successiva procedura esecutiva), non risponde ai requisiti dell' atto negoziale volto alla gestione di interessi patrimoniali…".

Posta tale argomentazione il Giudice incaricato, nella ordinanza in questione, ha altresì affrontato il problema della denuncia di sinistro inoltrata all'assicurazione. Anche tale argomentazione è stata affrontata con dovizia di particolari ed infatti: …"tale comportamento non integra il reato di truffa, bensì il reato di cui all'articolo 642 c.p. comma 2, il quale punisce (tra le varie alternative) il comportamento di chi, al fine di conseguire l'indennizzo di una assicurazione, "denuncia un sinistro non accaduto". Sennonché tale reato è sempre e solo perseguibile a querela di parte, senza spazi per una procedibilità d'ufficio: querela che è da ritenere che possa essere sporta dal solo ente assicuratore (soggetto al quale la falsa denuncia di sinistro è rivolta nonché soggetto sul cui patrimonio il pagamento non dovuto è destinato ad esplicare un effetto negativo immediato e diretto), laddove l'assicurato, qualora l'ente assicurato dovesse pagare, è da considerarsi mero danneggiato ( in via indiretta, in virtù del peggioramento della classe assicurativa e del conseguente aumento del premio da pagare), ma non persona legittimata a sporgere querela. In conclusione, il procedimento deve essere archiviato perché la truffa è in configurabile e, quanto al reato di cui all'articolo 642 c.p., perché manca una valida e tempestiva querela sporta dalla società di assicurazioni…." P.Q.M. Letti gli articoli 409 e 411 c.p.p., dispone l'archiviazione del procedimento e ordina la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in sede. Si comunichi la presente ordinanza al P.M. e la si notifichi alla persona offesa. (Estratto dell'ordinanza del Tribunale di Nola del 22 Dicembre 2006 a firma del Giudice Dott. Francesco Gesuè Rizzi Ulmo).

* Avvocato, Coordinatore della Commissione di proposta legislativa dell'Osservatorio.


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