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Falsa
denuncia di sinistro stradale
di
Demetrio Delfino*
Sempre
più di spesso, nella casistica giurisprudenziale, rileviamo
non pochi reati che si perfezionano anche a seguito di false
denunce di sinistri stradali. Ed invero, non di rado accade
che ignari automobilisti ricevano delle diffide di messa in
mora a seguito di sinistri stradali inesistenti e, addirittura,
formali atti di citazione conseguenti a tali fantomatici sinistri.
A motivo di tali atti, ne scaturiscono conseguenti denunce
nelle quali, non di rado, si chiede al Pubblico Ministero
incaricato di procedere per il reato di truffa di cui all'articolo
640 c.p.
A
tale riguardo appare di particolare interesse un orientamento
giurisprudenziale che merita di essere esaminato soprattutto
per l'attenta verifica tecnica dell'articolo 640 del c.p.;
da tale verifica, nell'esaminando caso, ne è derivata un ordinanza
di archiviazione ai sensi dell'articolo 409 c.p.p. comma V.
Il
ragionamento che traspare merita di essere dettagliatamente
ricordato.
Il
competente GIP, aderendo alla richiesta di archiviazione del
Pubblico Ministero e rigettando l'opposizione della persona
offesa così si esprime. …"Invero, rispetto al querelante
la truffa non è rinvenibile né nell'invio della lettera raccomandata
con richiesta di risarcimento né nella notificazione dell'atto
di citazione, non potendosi tali comportamenti qualificare
come artifizi o raggiri idonei a trarre in inganno il destinatario
della raccomandata e della citazione, atteso che quest'ultimo
non può non essere ben consapevole, checché venga affermato
nella lettera raccomandata e nell'atto di citazione, di non
avere cagionato alcun sinistro (salvo voler ritenere l'assurdo
che una lettera raccomandata o un atto di citazione di tale
fatta possano avere la capacità di convincere il destinatario
di avere commesso ciò che invece egli non ha mai commesso).
Né si può opinare che, in virtù dell'atto di citazione, sia
stata posta in essere una cd. truffa processuale (o, meglio,
un tentativo di truffa processuale)…".
Il Gip incaricato, previa descrizione della ipotesi della
truffa processuale conclude il proprio ragionamento escludendo
tale ipotesi di reato poiché si dovrebbe ammettere, tra l'altro,
che la vittima, a seguito della truffa posta in essere da
una parte processuale del processo, sia il Giudicante il quale
emetterebbe una sentenza favorevole all'ingannatore e sfavorevole
per la controparte, con conseguente ingiusto profitto per
il primo ed ingiusto danno per la seconda. Ora, come argomenta
appunto il GIP, tale ipotesi di reato non pare potersi integrare
nel caso di specie poiché, tale tipo di ipotesi, non pare
potere rientrare nella fattispecie di cui all'articolo 640
c.p.
In particolare, il Giudicante sviluppa tale posizione argomentando
quanto segue:…."Tuttavia, come già accennato, il requisito
che davvero manca nella truffa processuale rispetto alla fattispecie
di truffa delineata dall'articolo 640 c.p., è il requisito
dell'atto di disposizione patrimoniale. Invero, pur assumendosi
che il Giudice possa essere tratto in inganno dagli artifizi
e raggiri posti in essere da una parte del giudizio, resta
il fatto che l'atto che il Giudice compie come conseguenza
di tali artifizi e raggiri non è un atto di disposizione patrimoniale
bensì, è l'emissione di una sentenza: orbene, la sentenza
non è un atto di disposizione patrimoniale, da intendersi,
secondo il suo significato tecnico-giuridico, come regolamentazione
di interessi privatistici ed espressione di autonomia negoziale
delle parti, ma è invece espressione di un potere, quale quello
giurisdizionale, di natura eminentemente pubblicistica, la
cui finalità è l'attuazione di norme giuridiche e la risoluzione
di conflitti e che quindi, pur andando ad incidere sul patrimonio
dei soggetti ( tra l'altro mai direttamente, bensì solo in
via mediata in virtù o della volontaria adesione della parte
soccombente al dictum della sentenza oppure in virtù della
successiva procedura esecutiva), non risponde ai requisiti
dell' atto negoziale volto alla gestione di interessi patrimoniali…".
Posta tale argomentazione il Giudice incaricato, nella ordinanza
in questione, ha altresì affrontato il problema della denuncia
di sinistro inoltrata all'assicurazione. Anche tale argomentazione
è stata affrontata con dovizia di particolari ed infatti:
…"tale comportamento non integra il reato di truffa, bensì
il reato di cui all'articolo 642 c.p. comma 2, il quale punisce
(tra le varie alternative) il comportamento di chi, al fine
di conseguire l'indennizzo di una assicurazione, "denuncia
un sinistro non accaduto". Sennonché tale reato è sempre e
solo perseguibile a querela di parte, senza spazi per una
procedibilità d'ufficio: querela che è da ritenere che possa
essere sporta dal solo ente assicuratore (soggetto al quale
la falsa denuncia di sinistro è rivolta nonché soggetto sul
cui patrimonio il pagamento non dovuto è destinato ad esplicare
un effetto negativo immediato e diretto), laddove l'assicurato,
qualora l'ente assicurato dovesse pagare, è da considerarsi
mero danneggiato ( in via indiretta, in virtù del peggioramento
della classe assicurativa e del conseguente aumento del premio
da pagare), ma non persona legittimata a sporgere querela.
In conclusione, il procedimento deve essere archiviato perché
la truffa è in configurabile e, quanto al reato di cui all'articolo
642 c.p., perché manca una valida e tempestiva querela sporta
dalla società di assicurazioni…." P.Q.M. Letti gli
articoli 409 e 411 c.p.p., dispone l'archiviazione del procedimento
e ordina la restituzione degli atti al Pubblico Ministero
in sede. Si comunichi la presente ordinanza al P.M. e la si
notifichi alla persona offesa. (Estratto dell'ordinanza
del Tribunale di Nola del 22 Dicembre 2006 a firma del Giudice
Dott. Francesco Gesuè Rizzi Ulmo).
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Avvocato,
Coordinatore della Commissione di proposta legislativa dell'Osservatorio.
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