Minori
: il difficile percorso dell’adozione internazionale
di
Marina A. Visco*
È di questi giorni la notizia che la Camera ha approvato la
mozione che impegna il Governo a dare maggiori risorse alla
Commissione Adozioni Internazionali, ad incrementare il sostegno
alle famiglie nel post adozione soprattutto in presenza di
bambini con “bisogni speciali”, ed a rafforzare l’iniziativa
politica per definire accordi bilaterali con i Paesi esteri.
La
mozione approvata tocca anche altri aspetti, a cominciare
dalla richiesta di assicurare tempi certi per ottenere l’idoneità
da parte degli aspiranti genitori adottivi, snellendo le procedure
e velocizzando l’iter burocratico da concludersi nei tempi
previsti per legge. Tali richieste giungono nel contesto di
quella che in Italia è stata definita come una vera e propria
“crisi” nelle adozioni internazionali, che ha visto una flessione
del 32% delle adozioni in 4 anni (dai 4.130 del 2010 ai 2.825
del 2013) e le cui matrici vanno individuate nelle complesse
dinamiche politiche, sociali ed economiche attuali del nostro
Paese.
A
mio parere, tuttavia, inquadrare la questione dello snellimento
delle procedure per l’idoneità adottiva nel contesto degli
interventi urgenti per risolvere la “crisi” porta con sé alcuni
rischi, primo fra tutti quello di vederne solo l’aspetto burocratizzato,
considerando tali procedure come corresponsabili dell’attuale
contrazione del fenomeno e perdendo così di vista il senso
per cui esse sono state istituite.
Un
primo segnale in questa direzione sembrava giungere già nel
2013 dalla Commissione di Studio istituita dal Ministero di
Grazia e giustizia sul tema delle Adozioni Internazionali,
che aveva individuato tra i suoi obiettivi quello di semplificare
l’iter procedurale, la cui eccessiva complessità veniva considerata
responsabile del calo dei decreti di idoneità. In quella circostanza,
si sono levate da più parti preoccupanti proposte di eliminazione
tout court delle idoneità del Tribunale dei Minori, considerate
procedure inutili e dispendiose, e di riduzione dell’iter
di selezione delle coppie, a vantaggio invece di un percorso
di accompagnamento da svolgersi con la collaborazione degli
enti privati autorizzati.
È
di certo vero che le coppie patiscono lo spaesamento di fronte
ad un iter adottivo complesso, che risente di un eccessiva
frammentazione e soprattutto dell’assenza di organicità tra
regione e regione, con un’articolazione del percorso talvolta
diverso persino all’interno dei distretti sanitari della stessa
città. Sarebbe auspicabile in tal senso una maggiore linearità
dell’iter da seguire, e lo stanziamento di maggiori risorse
che permetterebbe tempi certi per l’espletamento delle pratiche.
Ma la presenza di alcune lungaggini burocratiche non intacca
il senso profondo e l’importanza di un adeguato percorso di
pre-adottivo, che richiede un tempo ed un numero di incontri
adeguato per consentire alla coppia di riflettere sulle motivazioni
profonde dell’adozione.
Purtroppo
l’iter necessario al conseguimento dell’idoneità all’adozione
viene molte volte sentito dagli aspiranti genitori adottivi
esclusivamente come un aggravio, un ostacolo da superare prima
di giungere alla realizzazione del proprio desiderio di genitorialità.
È facile capire perché ciò avvenga, dato che i coniugi arrivano
spesso già provati da un lungo e sofferto percorso di vita
che ha portato alla scelta dell’adozione. Il lavoro delle
istituzioni dovrebbe essere teso a ribaltare questa prospettiva.
attribuendo al percorso preadottivo il significato di una
procedura che tutela certamente il minore da adottare, garantendogli
una famiglia che presenti condizioni idonee al suo accoglimento,
ma che tutela anche i coniugi dai possibili rischi che un
cambiamento così importante nella loro vita comporterà sul
loro equilibrio familiare. Non quindi un impedimento, quanto
piuttosto una garanzia e che in quanto tale ha bisogno di
tempi e luoghi adeguati.
Cosa accadrà con l’arrivo di un bambino prima “estraneo” al
contesto familiare? Quali fantasie precedono il suo arrivo,
e come condizioneranno il rapporto con lui? Quali le difficoltà
che incontrerà la coppia, e quali invece le risorse su cui
poter fare leva? Porsi tali interrogativi e riflettere su
quali siano rischi ed opportunità del percorso adottivo, in
termini preventivi, è il compito che si deve porre la procedura
per l’accertamento dell’idoneità genitoriale, e che va ben
al di là dell’accezione valutativa e giudicante che generalmente
gli viene attribuita. Attualmente purtroppo non sempre c’è
la possibilità di soffermarsi adeguatamente a riflettere sullo
stato psicologico della coppia al momento in cui si predispone
ad accogliere un bambino adottato.
Nel
riflettere sull’importanza di un percorso pre-adottivo approfondito
il pensiero non può che andare al recente episodio di cronaca
avvenuto a Pescara, che ha visto il dramma della morte di
un bambino, adottato con procedura internazionale, per mano
del padre adottivo. Desta certo molti interrogativi un caso
del genere, dove, secondo quanto emerge dalle notizie, vi
sarebbe stata nel padre una patologia psichica di estrema
gravità, già manifestatasi prima dell’arrivo del figlio, ma
di cui nessuno si dichiara a conoscenza. Al di là di questo
tragico episodio, che rappresenta sicuramente un evento estremo,
il fenomeno delle “adozioni fallite” rappresenta purtroppo
una realtà.
L’insuccesso di un’adozione può esprimersi in alcuni casi
con l’allontanamento dei minori adottati dalla famiglia e
la loro collocazione presso una struttura residenziale, ma
può manifestarsi anche sotto altre forme (manifestazioni psicopatologiche
del minore, fughe da casa, condotte antisociali soprattutto
in adolescenza). Molti di questi insuccessi probabilmente
si potrebbero evitare indirizzando adeguatamente le coppie
e fornendo loro un adeguato sostegno pre e post-adottivo,
che tuteli sia il minore che i genitori da un’esperienza dolorosa
e inevitabilmente traumatica. Anche per la coppia l’adozione
non riuscita rappresenta infatti una ferita insanabile, che
porta con sé il fallimento di un progetto di vita irrimediabilmente
compromesso anche se animato dalle migliori intenzioni.
L’augurio
quindi è che l’intento espresso di “velocizzare l’iter burocratico”
non si traduca nell’accelerare le pratiche rendendone più
sommari i passaggi, ma piuttosto nel razionalizzarle e nel
fornire più risorse per consentire alle procedure di svolgersi
senza intoppi. Forse, più che parlare di velocizzare l’iter,
concetto che potrebbe prestarsi a fraintendimenti, bisognerebbe
pensare a migliorarne l’efficienza, annullando i tempi morti
di attesa nel passaggio tra i professionisti delle varie istituzioni,
aumentando il coordinamento e mettendo a disposizioni maggiore
assistenza nel pre e post adozione.
*
psicologa, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
e della Commissione Violenze Domestiche dell'Osservatorio.
 
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