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31 luglio 2014
tutti gli speciali

Minori : il difficile percorso dell’adozione internazionale
di Marina A. Visco*

È di questi giorni la notizia che la Camera ha approvato la mozione che impegna il Governo a dare maggiori risorse alla Commissione Adozioni Internazionali, ad incrementare il sostegno alle famiglie nel post adozione soprattutto in presenza di bambini con “bisogni speciali”, ed a rafforzare l’iniziativa politica per definire accordi bilaterali con i Paesi esteri.

La mozione approvata tocca anche altri aspetti, a cominciare dalla richiesta di assicurare tempi certi per ottenere l’idoneità da parte degli aspiranti genitori adottivi, snellendo le procedure e velocizzando l’iter burocratico da concludersi nei tempi previsti per legge. Tali richieste giungono nel contesto di quella che in Italia è stata definita come una vera e propria “crisi” nelle adozioni internazionali, che ha visto una flessione del 32% delle adozioni in 4 anni (dai 4.130 del 2010 ai 2.825 del 2013) e le cui matrici vanno individuate nelle complesse dinamiche politiche, sociali ed economiche attuali del nostro Paese.

A mio parere, tuttavia, inquadrare la questione dello snellimento delle procedure per l’idoneità adottiva nel contesto degli interventi urgenti per risolvere la “crisi” porta con sé alcuni rischi, primo fra tutti quello di vederne solo l’aspetto burocratizzato, considerando tali procedure come corresponsabili dell’attuale contrazione del fenomeno e perdendo così di vista il senso per cui esse sono state istituite.

Un primo segnale in questa direzione sembrava giungere già nel 2013 dalla Commissione di Studio istituita dal Ministero di Grazia e giustizia sul tema delle Adozioni Internazionali, che aveva individuato tra i suoi obiettivi quello di semplificare l’iter procedurale, la cui eccessiva complessità veniva considerata responsabile del calo dei decreti di idoneità. In quella circostanza, si sono levate da più parti preoccupanti proposte di eliminazione tout court delle idoneità del Tribunale dei Minori, considerate procedure inutili e dispendiose, e di riduzione dell’iter di selezione delle coppie, a vantaggio invece di un percorso di accompagnamento da svolgersi con la collaborazione degli enti privati autorizzati.

È di certo vero che le coppie patiscono lo spaesamento di fronte ad un iter adottivo complesso, che risente di un eccessiva frammentazione e soprattutto dell’assenza di organicità tra regione e regione, con un’articolazione del percorso talvolta diverso persino all’interno dei distretti sanitari della stessa città. Sarebbe auspicabile in tal senso una maggiore linearità dell’iter da seguire, e lo stanziamento di maggiori risorse che permetterebbe tempi certi per l’espletamento delle pratiche. Ma la presenza di alcune lungaggini burocratiche non intacca il senso profondo e l’importanza di un adeguato percorso di pre-adottivo, che richiede un tempo ed un numero di incontri adeguato per consentire alla coppia di riflettere sulle motivazioni profonde dell’adozione.

Purtroppo l’iter necessario al conseguimento dell’idoneità all’adozione viene molte volte sentito dagli aspiranti genitori adottivi esclusivamente come un aggravio, un ostacolo da superare prima di giungere alla realizzazione del proprio desiderio di genitorialità. È facile capire perché ciò avvenga, dato che i coniugi arrivano spesso già provati da un lungo e sofferto percorso di vita che ha portato alla scelta dell’adozione. Il lavoro delle istituzioni dovrebbe essere teso a ribaltare questa prospettiva. attribuendo al percorso preadottivo il significato di una procedura che tutela certamente il minore da adottare, garantendogli una famiglia che presenti condizioni idonee al suo accoglimento, ma che tutela anche i coniugi dai possibili rischi che un cambiamento così importante nella loro vita comporterà sul loro equilibrio familiare. Non quindi un impedimento, quanto piuttosto una garanzia e che in quanto tale ha bisogno di tempi e luoghi adeguati.

Cosa accadrà con l’arrivo di un bambino prima “estraneo” al contesto familiare? Quali fantasie precedono il suo arrivo, e come condizioneranno il rapporto con lui? Quali le difficoltà che incontrerà la coppia, e quali invece le risorse su cui poter fare leva? Porsi tali interrogativi e riflettere su quali siano rischi ed opportunità del percorso adottivo, in termini preventivi, è il compito che si deve porre la procedura per l’accertamento dell’idoneità genitoriale, e che va ben al di là dell’accezione valutativa e giudicante che generalmente gli viene attribuita. Attualmente purtroppo non sempre c’è la possibilità di soffermarsi adeguatamente a riflettere sullo stato psicologico della coppia al momento in cui si predispone ad accogliere un bambino adottato.

Nel riflettere sull’importanza di un percorso pre-adottivo approfondito il pensiero non può che andare al recente episodio di cronaca avvenuto a Pescara, che ha visto il dramma della morte di un bambino, adottato con procedura internazionale, per mano del padre adottivo. Desta certo molti interrogativi un caso del genere, dove, secondo quanto emerge dalle notizie, vi sarebbe stata nel padre una patologia psichica di estrema gravità, già manifestatasi prima dell’arrivo del figlio, ma di cui nessuno si dichiara a conoscenza. Al di là di questo tragico episodio, che rappresenta sicuramente un evento estremo, il fenomeno delle “adozioni fallite” rappresenta purtroppo una realtà.

L’insuccesso di un’adozione può esprimersi in alcuni casi con l’allontanamento dei minori adottati dalla famiglia e la loro collocazione presso una struttura residenziale, ma può manifestarsi anche sotto altre forme (manifestazioni psicopatologiche del minore, fughe da casa, condotte antisociali soprattutto in adolescenza). Molti di questi insuccessi probabilmente si potrebbero evitare indirizzando adeguatamente le coppie e fornendo loro un adeguato sostegno pre e post-adottivo, che tuteli sia il minore che i genitori da un’esperienza dolorosa e inevitabilmente traumatica. Anche per la coppia l’adozione non riuscita rappresenta infatti una ferita insanabile, che porta con sé il fallimento di un progetto di vita irrimediabilmente compromesso anche se animato dalle migliori intenzioni.

L’augurio quindi è che l’intento espresso di “velocizzare l’iter burocratico” non si traduca nell’accelerare le pratiche rendendone più sommari i passaggi, ma piuttosto nel razionalizzarle e nel fornire più risorse per consentire alle procedure di svolgersi senza intoppi. Forse, più che parlare di velocizzare l’iter, concetto che potrebbe prestarsi a fraintendimenti, bisognerebbe pensare a migliorarne l’efficienza, annullando i tempi morti di attesa nel passaggio tra i professionisti delle varie istituzioni, aumentando il coordinamento e mettendo a disposizioni maggiore assistenza nel pre e post adozione.

* psicologa, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio e della Commissione Violenze Domestiche dell'Osservatorio.


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