Osservatorio sulla legalita' e sui diritti
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8 maggio 2014
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Legalita' e diritti : contro la logica dell'abuso
di Domenico Bilotti

È teoria talmente accetta da non avere più specifici connotati ideologici. Il disagio sociale crea enorme sofferenza e da questa sofferenza possono fuoriuscire anche non circoscritti epifenomeni di extra-legalità. Alcuni di essi possono pure essere ricondotti sotto l’alveo di una certa meritevolezza o, comunque sia, di una soglia di giustificabilità che viene dalla comprensione umana, dall’analisi oggettiva delle condizioni che favoriscono la asserita devianza o dall’empatia soggettiva verso le condizioni di dolore e inadeguatezza. Altri, invece, se sfuggono anche al codice di riconoscimento del parimenti debole, del parimenti misero, rischiano di risultare problematici e di diffondere surrettiziamente, più che contrastare energicamente, le ragioni dell’insoddisfazione montante.

Ad esempio, vedendo le immagini di apertura della finale di una Coppa nazionale di calcio, in Italia, sentire di bombe carta o di sparatorie crea un qualche disagio concettuale. Se ci sono “tribù” della pratica urbana e suburbana che almeno teoricamente percorrono una certa prospettiva dello scontro fisico (che può essere pure pericolosissimo), il giudizio più equilibrato consisterebbe nel circoscriverle e, soprattutto, nell’essere certi che le legislazioni più repressive assolutamente non riescono a contenere la questione, anzi, “spalmano” sulla generalità degli appassionati delle inibizioni immotivatamente volte a ridimensionare le ipotesi di dissenso, gli stili di vita non conformi o le contrapposizioni rispetto allo spettacolo calcio “monetizzato”.

In altre parole, si reprime indirettamente anche chi non pratica la violenza, pure attraverso norme che non sono destinate specificamente al contrasto della violenza, bensì ad ipotesi a dir poco collaterali: libertà associative, di movimento, di manifestazione del pensiero. Ed altri esempi possono rinvenirsi nell’attualità italiana delle ultime settimane. Si pensi al fenomeno delle occupazioni, sbrigativamente definite “abusive”, di “immobili”, per fronteggiare emergenze abitative socialmente percepite.

È chiaro che se si adotta un parametro di stretta legalità, alcune di esse -o la gran parte- sfuggono dal recinto oggettivo dell’impalcatura amministrativistica (che se non regge all’urto del bisogno, qualche limite dovrà averlo…). È chiaro, inoltre, che i settori più sofferenti e malmessi dello Stato sociale non necessitano né di puntelli riformatori né di occasionali brecce, ma di ripensamenti complessivi, che corroborino un tessuto civile altrimenti esausto. Ma è davvero possibile colpevolizzare o tratteggiare con drammaticità il fenomeno nella sua interezza, senza riferirsi almeno alla composizione materiale dei comitati di persone che intendono sollecitare la riflessione collettiva ed istituzionale su queste istanze, magari attraverso condotte non condivisibili o, comunque sia, eterodosse?

Ecco perché qualunque piattaforma rivendicativa non pare possa prescindere da una previa asserzione di fondo, che deve, poi, puntualmente essere validata da un interlocutore istituzionale (che altrimenti finirebbe per trovarsi in una prospettiva negativizzante o, addirittura non così raramente, vessatoria): stare contro la logica dell’abuso.

Quello che si compie, da parte di chi vive il contesto sofferto delle condizioni sociali odierne, va letto con le lenti di una previa giustificabilità sulle necessità o, come si preferisce in quest’impostazione, incardinato nella effettiva sussistenza (o meno) di una potenzialità lesiva, avverso quel medesimo diritto, il cui esercizio può essere sbrigativamente inibito. L’abuso che si compie da parte di chi detta le norme, vista l’evidente asimmetria, non può essere tollerato secondo le medesime logiche: la sproporzione di forze, o, più correttamente, di attribuzioni, non può diventare attenuante, quand’anche non la si volesse giudicare da “circostanza aggravante” -il che non sarebbe del tutto infondato.

Una critica dell’abuso e della violenza, insomma, come impostazione mentale e morale, potrebbe essere l’unico stimolo in grado di fronteggiare con schiettezza, lealtà e la speranza di un minimo di risultati, i settori della vita italiana (diritti sociali, proiezioni contestative di alcune libertà politiche, eccetera) più coinvolti dalle spirali di tensione, di cui è costellata la nostra attualità. Di questi mesi, di questi anni.


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