 |
Comunità
Rom di Giugliano tra emergenza e deroga alle regole
di
Stella Arena, Daniela Bauduin e Mila
Grimaldi*
Da anni assistiamo ad un aspro dibattito sulla gestione della
cosiddetta “emergenza nomadi” che viene affrontata con un
approccio sicuritario come se fosse un problema di ordine
pubblico.
In base a un’indagine conoscitiva sulla condizione di Rom
e Sinti in Italia, promossa dalla Commissione straordinaria
per la tutela e la promozione dei diritti umani a partire
dall’ottobre 2009, nel nostro Paese vivrebbero all’incirca
150.000 persone di etnia Sinti o Rom (pari allo 0,2% della
popolazione, uno dei tassi più bassi d’Europa), la metà delle
quali avrebbe cittadinanza italiana e di cui solo 40.000 vivrebbe
attualmente nei campi, spesso abusivi o provvisori. Il metodo
emergenziale nella risoluzione delle questioni legate agli
insediamenti delle popolazioni Rom è tuttavia sbagliato sia
dal punto di vista sociale che giuridico, come dimostra la
vicenda delle tre ordinanze del Presidente del Consiglio dei
Ministri adottate il 30 maggio 2008 per fronteggiare lo “stato
di emergenza” dichiarato in Lombardia, Lazio e Campania in
relazione alla presenza di comunità nomadi nei rispettivi
territori.
Il 16 novembre 2012 il giudice amministrativo ha deciso sui
ricorsi in appello proposti dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri, dal Ministero dell’Interno, dal Dipartimento
della Protezione Civile, dalle Prefetture di Roma, Milano,
Napoli e dal Comune di Roma per la riforma della sentenza
con cui il Tar Lazio nel 2009 aveva accolto l’impugnazione
proposta dall’associazione per la difesa dei diritti dei Rom
European Roma Rights Centre (ERRC) e da due abitanti del campo
Casilino 900 della capitale, annullando in parte le tre ordinanze
e cassando anche alcune disposizioni dei regolamenti adottati
dai commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.
Nel giudizio d’appello è stato accolto il ricorso incidentale
degli attori originari e dichiarata l’illegittimità del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008
adottato sulla base dell’articolo 5 della legge istitutiva
del Servizio di Protezione civile (legge 24 febbraio 1992,
n. 225), con cui era stato dichiarato lo stato di emergenza
già citato, con la conseguenza che tutti i provvedimenti emessi
sono stati annullati per carenza di potere. L’articolo
5 già citato, con la rubrica “Stato di emergenza e potere
di ordinanza”, dispone che al verificarsi degli eventi
straordinari previsti dal legislatore il Consiglio dei ministri
deliberi lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione
territoriale. Per attuare gli interventi di emergenza si provvede
poi con ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto però dei principi generali dell’ordinamento giuridico
e attraverso commissari delegati.
Il Consiglio di Stato ha osservato che sebbene l’apprezzamento
della situazione di fatto e degli eventi posti alla base della
dichiarazione dello stato d’emergenza rientri nell’ampia discrezionalità
dell’amministrazione, lo stato di emergenza possa essere dichiarato
solo in presenza delle situazioni riconducibili alla lettera
c) del precedente articolo 2, ossia “calamità naturali,
catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione,
debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”.
Tanto premesso, il Consiglio esclude che nel caso sottoposto
al suo esame sussista il rapporto eziologico fra esistenza
sul territorio di comunità nomadi, da un lato, e straordinaria
ed eccezionale turbativa dell’ordine e della sicurezza pubblica
nelle aree interessate, dall’altro, nonchè la presenza dell’altro
requisito legale, cioè l’impossibilità di fronteggiare la
situazione con gli strumenti ordinari, siccome tale presupposto
non discende dalla “mera incapacità delle istituzioni,
ovvero da una loro scarsa volontà politica”.
Com’è a tutti noto, nelle ultime legislature il Governo italiano
ha adottato centinaia di ordinanze di protezione civile, che
sono atti della pubblica amministrazione e in quanto tali
sottratti al controllo della Corte costituzionale volto a
garantire il rispetto della Costituzione da parte delle leggi.
A partire dal 1992, con l’istituzione del Servizio Nazionale
di Protezione Civile, per far fronte a “calamità naturali,
catastrofi o altri eventi” il Governo ha iniziato ad adottare
lo strumento dell’ordinanza in deroga alle norme, rafforzando
così la tendenza ad un utilizzo sempre più “normale” di strumenti
che consentono all’autorità amministrativa di non rispettare
le norme ordinarie. Nel conflitto tra emergenza e deroga alle
regole si colloca la dichiarazione dello stato di emergenza
in relazione agli insediamenti di comunità Rom e Sinti e la
conseguente nomina di commissari straordinari per l’emergenza.
Come osservato da Caterina Miele, dottore di ricerca in Antropologia
culturale presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”,
“l’approccio “emergenziale” e “securitario” fino a oggi applicato
agli interventi pubblici sul tema dell’integrazione dei rom
ha fatto declinare molte delle indagini sulla questione nell’ambito
di azioni di ordine pubblico. Non a caso in Campania il primo
atto dello stato emergenziale determinato dal decreto governativo
fu un censimento, guidato dallo staff della Prefettura, della
Questura e della Croce Rossa Italiana e realizzato prima nel
campo di via Cupa Perillo a Scampia e poi in altri campi della
regione.”
In questo contesto si inquadra la storia della comunità Rom
di Giugliano, in provincia di Napoli, che dopo vari trasferimenti
veniva collocata nell’area di Masseria del Pozzo, zona notoriamente
ad alto rischio ambientale per i rifiuti tossici presenti.
L’architetto Alexander Valentino, da anni impegnato nel lavoro
sul campo, racconta "dell’odore malsano che si avverte
in quell’area, di sfoghi sulla pelle dei bambini di cui non
si conosce l’origine e delle condizioni igienico-sanitarie
inadeguate". Una vicenda drammatica che si svolge
in una terra, la Campania, in cui l’illegalità ambientale
è tanto diffusa da collocare la regione al primo posto per
il numero di reati contro l’ambiente (Legambiente, Ecomafia
2013, ed. Ambiente, p.36), con la produzione di effetti devastanti
soprattutto per le persone più deboli.
La
scelta politico-amministrativa di tale area è avvenuta sulla
base di criteri che si richiamano a necessità di ordine pubblico,
infatti nella delibera del Commissario prefettizio (nominato
a seguito delle dimissioni del sindaco per la provvisoria
gestione dell’ente) n. 10 del 6/12/2012 sul progetto preliminare
per l’allestimento di un’area adibita a campo sosta temporanea,
si parla di “emergenza prodotta sul territorio comunale dalla
presenza significativa e costante dei gruppi nomadi”.
La conoscenza del rischio ambientale cui viene sottoposta
la comunità Rom nel vivere in tali luoghi d’altronde si desume
dallo stesso atto che regola il funzionamento dell’area di
sosta temporanea (approvato con delibera del Commissario Straordinario
n. 33 del 26/03/2013), in cui all’articolo 5 si prevede che
con periodicita mensile sia garantita una verifica delle condizioni
di salubrita dell’area, operata dagli organismi istituzionali
preposti alla salvaguardia ambientale e sanitaria”.
Appare chiaro come nel bilanciare i vari interessi giuridici
coinvolti nelle vicende raccontate, ossia l’inclusione sociale
e il ritenuto ordine pubblico, sia prevalso quest’ultimo,
con ripercussioni pesanti che gravano su individui già emarginati
cui si nega oggi anche la tutela della salute che dovrebbe
essere garantita a tutti ai sensi della nostra Costituzione.
Una strategia nazionale ben lontana dalla comunicazione della
Commissione europea n. 173/2011 che sottolinea, invece, la
necessità di superare il modello del “campo” per combattere
l’isolamento e favorire percorsi di inclusione sociale.
*
giuriste
 
Dossier
Amianto
Dossier
Rifiuti
Dossier
Tav-Notav
|
|