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15 settembre 2013
tutti gli speciali

Comunità Rom di Giugliano tra emergenza e deroga alle regole
di Stella Arena, Daniela Bauduin e Mila Grimaldi*

Da anni assistiamo ad un aspro dibattito sulla gestione della cosiddetta “emergenza nomadi” che viene affrontata con un approccio sicuritario come se fosse un problema di ordine pubblico.

In base a un’indagine conoscitiva sulla condizione di Rom e Sinti in Italia, promossa dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani a partire dall’ottobre 2009, nel nostro Paese vivrebbero all’incirca 150.000 persone di etnia Sinti o Rom (pari allo 0,2% della popolazione, uno dei tassi più bassi d’Europa), la metà delle quali avrebbe cittadinanza italiana e di cui solo 40.000 vivrebbe attualmente nei campi, spesso abusivi o provvisori. Il metodo emergenziale nella risoluzione delle questioni legate agli insediamenti delle popolazioni Rom è tuttavia sbagliato sia dal punto di vista sociale che giuridico, come dimostra la vicenda delle tre ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri adottate il 30 maggio 2008 per fronteggiare lo “stato di emergenza” dichiarato in Lombardia, Lazio e Campania in relazione alla presenza di comunità nomadi nei rispettivi territori.

Il 16 novembre 2012 il giudice amministrativo ha deciso sui ricorsi in appello proposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’Interno, dal Dipartimento della Protezione Civile, dalle Prefetture di Roma, Milano, Napoli e dal Comune di Roma per la riforma della sentenza con cui il Tar Lazio nel 2009 aveva accolto l’impugnazione proposta dall’associazione per la difesa dei diritti dei Rom European Roma Rights Centre (ERRC) e da due abitanti del campo Casilino 900 della capitale, annullando in parte le tre ordinanze e cassando anche alcune disposizioni dei regolamenti adottati dai commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.

Nel giudizio d’appello è stato accolto il ricorso incidentale degli attori originari e dichiarata l’illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 adottato sulla base dell’articolo 5 della legge istitutiva del Servizio di Protezione civile (legge 24 febbraio 1992, n. 225), con cui era stato dichiarato lo stato di emergenza già citato, con la conseguenza che tutti i provvedimenti emessi sono stati annullati per carenza di potere. L’articolo 5 già citato, con la rubrica “Stato di emergenza e potere di ordinanza”, dispone che al verificarsi degli eventi straordinari previsti dal legislatore il Consiglio dei ministri deliberi lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale. Per attuare gli interventi di emergenza si provvede poi con ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto però dei principi generali dell’ordinamento giuridico e attraverso commissari delegati.

Il Consiglio di Stato ha osservato che sebbene l’apprezzamento della situazione di fatto e degli eventi posti alla base della dichiarazione dello stato d’emergenza rientri nell’ampia discrezionalità dell’amministrazione, lo stato di emergenza possa essere dichiarato solo in presenza delle situazioni riconducibili alla lettera c) del precedente articolo 2, ossia “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”. Tanto premesso, il Consiglio esclude che nel caso sottoposto al suo esame sussista il rapporto eziologico fra esistenza sul territorio di comunità nomadi, da un lato, e straordinaria ed eccezionale turbativa dell’ordine e della sicurezza pubblica nelle aree interessate, dall’altro, nonchè la presenza dell’altro requisito legale, cioè l’impossibilità di fronteggiare la situazione con gli strumenti ordinari, siccome tale presupposto non discende dalla “mera incapacità delle istituzioni, ovvero da una loro scarsa volontà politica”.

Com’è a tutti noto, nelle ultime legislature il Governo italiano ha adottato centinaia di ordinanze di protezione civile, che sono atti della pubblica amministrazione e in quanto tali sottratti al controllo della Corte costituzionale volto a garantire il rispetto della Costituzione da parte delle leggi. A partire dal 1992, con l’istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile, per far fronte a “calamità naturali, catastrofi o altri eventi” il Governo ha iniziato ad adottare lo strumento dell’ordinanza in deroga alle norme, rafforzando così la tendenza ad un utilizzo sempre più “normale” di strumenti che consentono all’autorità amministrativa di non rispettare le norme ordinarie. Nel conflitto tra emergenza e deroga alle regole si colloca la dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità Rom e Sinti e la conseguente nomina di commissari straordinari per l’emergenza.

Come osservato da Caterina Miele, dottore di ricerca in Antropologia culturale presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, “l’approccio “emergenziale” e “securitario” fino a oggi applicato agli interventi pubblici sul tema dell’integrazione dei rom ha fatto declinare molte delle indagini sulla questione nell’ambito di azioni di ordine pubblico. Non a caso in Campania il primo atto dello stato emergenziale determinato dal decreto governativo fu un censimento, guidato dallo staff della Prefettura, della Questura e della Croce Rossa Italiana e realizzato prima nel campo di via Cupa Perillo a Scampia e poi in altri campi della regione.”

In questo contesto si inquadra la storia della comunità Rom di Giugliano, in provincia di Napoli, che dopo vari trasferimenti veniva collocata nell’area di Masseria del Pozzo, zona notoriamente ad alto rischio ambientale per i rifiuti tossici presenti. L’architetto Alexander Valentino, da anni impegnato nel lavoro sul campo, racconta "dell’odore malsano che si avverte in quell’area, di sfoghi sulla pelle dei bambini di cui non si conosce l’origine e delle condizioni igienico-sanitarie inadeguate". Una vicenda drammatica che si svolge in una terra, la Campania, in cui l’illegalità ambientale è tanto diffusa da collocare la regione al primo posto per il numero di reati contro l’ambiente (Legambiente, Ecomafia 2013, ed. Ambiente, p.36), con la produzione di effetti devastanti soprattutto per le persone più deboli.

La scelta politico-amministrativa di tale area è avvenuta sulla base di criteri che si richiamano a necessità di ordine pubblico, infatti nella delibera del Commissario prefettizio (nominato a seguito delle dimissioni del sindaco per la provvisoria gestione dell’ente) n. 10 del 6/12/2012 sul progetto preliminare per l’allestimento di un’area adibita a campo sosta temporanea, si parla di “emergenza prodotta sul territorio comunale dalla presenza significativa e costante dei gruppi nomadi”.

La conoscenza del rischio ambientale cui viene sottoposta la comunità Rom nel vivere in tali luoghi d’altronde si desume dallo stesso atto che regola il funzionamento dell’area di sosta temporanea (approvato con delibera del Commissario Straordinario n. 33 del 26/03/2013), in cui all’articolo 5 si prevede che con periodicita mensile sia garantita una verifica delle condizioni di salubrita dell’area, operata dagli organismi istituzionali preposti alla salvaguardia ambientale e sanitaria”.

Appare chiaro come nel bilanciare i vari interessi giuridici coinvolti nelle vicende raccontate, ossia l’inclusione sociale e il ritenuto ordine pubblico, sia prevalso quest’ultimo, con ripercussioni pesanti che gravano su individui già emarginati cui si nega oggi anche la tutela della salute che dovrebbe essere garantita a tutti ai sensi della nostra Costituzione. Una strategia nazionale ben lontana dalla comunicazione della Commissione europea n. 173/2011 che sottolinea, invece, la necessità di superare il modello del “campo” per combattere l’isolamento e favorire percorsi di inclusione sociale.

* giuriste

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Dossier Amianto

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