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31 ottobre 2012
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Sentenza L'Aquila : quanti equivoci in Italia e all'estero !
di Giulia Alliani*

Con un certo ritardo, ma meglio tardi che mai, giornali e riviste, in Italia e all'estero, con alcune eccezioni, stanno prendendo atto che la sentenza de L'Aquila ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi non per non aver previsto il terremoto ma per aver previsto che non ci sarebbe stato, o meglio, come dice il capo d'imputazione, per aver fornito "sia con dichiarazioni agli organi di informazione sia con redazione di un verbale […] informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, sulle cause, sulla pericolosità e sui futuri sviluppi dell’attività sismica in esame […] venendo così meno ai doveri di valutazione del rischio connessi alla loro qualità e alla loro funzione e tesi alla previsione e alla prevenzione e ai doveri di informazione chiara, corretta, completa".

In un primo tempo, le parole dette e scritte in Italia sulla magistratura oscurantista e nemica della scienza, sul papa e Galileo, avevano suscitato, anche all'estero, grande indignazione, subito trasferita in lettere di solidarietà di associazioni scientifiche, firmate da decine di studiosi sinceramente preoccupati (ma per i motivi sbagliati) per la condizione degli scienziati italiani. Le agenzie e la stampa estera hanno dato informazioni discordanti, incerte se gli studiosi italiani erano stati accusati di non aver previsto il terremoto o di non aver comunicato opportunamente il rischio. Persino la BBC riassume così il processo: "I pubblici ministeri hanno detto che gli imputati, prima del terremoto, hanno fatto dichiarazioni a torto rassicuranti, mentre le difese hanno sostenuto che non è possibile prevedere il verificarsi di grandi terremoti".

In un panorama tanto confuso fanno eccezione alcune riviste scientifiche che, fin dal momento del rinvio a giudizio, hanno chiarito l'equivoco. Sui loro siti si sono svolte on line le discussioni più interessanti tra autori e lettori, tra i quali un certo numero di studiosi italiani, forse in fuga dai siti domestici, tuttora alle prese con Galileo. L'articolo più semplice, chiaro, esauriente ed informato, al quale molti commentatori e lettori non italiani fanno spesso riferimento nei loro commenti è stato pubblicato da Nature il 14 settembre 2011. L'autore, Stephen S. Hall, dopo aver dato voce a cittadini, pubblico ministero e avvocati difensori, si è concentrato sull'intervista rilasciata a L'Aquila il 31 marzo 2009, fuori dalla sala riunioni della Commissione Grandi Rischi, da uno dei suoi componenti, Bernardo De Bernardinis, vicecapo settore tecnico-operativo della Protezione Civile.

Un'intervista che, a dire di Hall, "potrebbe diventare per molti anni a venire l'ossessione degli studiosi e forse di tutto il mondo che studia la valutazione del rischio" De Bernardinis dichiarava: “Gli scienziati continuano a dirmi che non c'è un pericolo, anzi la situazione è favorevole perché c'è un rilascio continuo di energia”, un concetto confermato anche dai comunicati successivi alla riunione: "bisogna saper convivere con le caratteristiche dei territori e mantenere uno stato di attenzione sì, ma senza avere uno stato di ansia" e poi: "La comunità scientifica, inoltre, ha confermato che non c'e' pericolo perché il continuo scarico di energia, riduce la possibilità che si verifichino eventi particolarmente intensi".

Sulle conseguenze dell'intervista, sintomo di un cattivo metodo di comunicazione, ha scritto, qualche giorno fa, anche David Ropeik, giornalista e consulente in Comunicazione del Rischio per la scuola di formazione continua dell'università di Harvard, in un commento per Scientific American, che argomenta sulla differenza tra sentenza contro la scienza e sentenza contro un deficit di comunicazione e sulla responsabilità che gli scienziati hanno nel veicolare e condividere le loro conoscenze per consentire a tutti di compiere scelte informate.

Utili alla completezza del quadro due contributi pubblicati nello spazio riservato ai lettori: il primo, (vedi: rlalli), che introduce il tema del legame tra interesse politico e parere degli esperti, segnalando un link al sito di Repubblica con l'intercettazione telefonica in cui Guido Bertolaso anticipa che la riunione della Commissione di studiosi va intesa come "operazione mediatica", allo scopo di "placare illazioni, preoccupazioni" e "tranquillizzare la gente" e "zittire subito qualsiasi imbecille", "cosi loro [gli scienziati presenti, ndr] che sono i massimi esperti di terremoti diranno: "E' una situazione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano cento scosse di quattro scala Richter piuttosto che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa quella che fa male". (Peccato solo che i lettori non italiani non abbiano ancora potuto disporre di una traduzione in inglese del contenuto dell'intercettazione: aspettiamo con interesse i loro commenti dopo che avranno potuto leggerla).

Il secondo contributo, (vedi: CSBuckler), approfondisce lo stesso tema: "Agli studiosi non è stata data la possibilità di parlare in pubblico. Sono stati i politici a confezionare le risposte per il pubblico. Sì, gli studiosi avrebbero potuto esprimersi meglio parlando con i politici, essere più chiari, ma mettetevi nei loro panni: che cosa fareste voi, nei panni di uno scienziato, se un politico che controlla i fondi per la vostra ricerca, che ve li può revocare a sua discrezione e che ha il potere di non farvi mai più lavorare nel settore che vi interessa, vi dicesse che la sua commissione ha bisogno di informazioni buone per calmare le paure dei cittadini? E' vero, la comunicazione andrebbe migliorata, ma la miglior comunicazione del mondo non farebbe la minima differenza se fosse il vostro governo a decidere quello che uno studioso può o non può dire, ad avere in mano la sua sopravvivenza, o se non gli consentisse di parlare in pubblico. Nel maggio 2012, durante il terremoto in Emilia, probabilmente grazie al processo che era in corso a L'Aquila, i politici hanno lasciato parlare gli scienziati, che hanno fatto un ottimo lavoro."

Ancora sul problema della comunicazione del rischio e sulle conseguenze giudiziarie, civili e penali, cui possono andare incontro gli studiosi che fanno parte, come consulenti, di commissioni governative, va letto l'articolo di Willy Aspinall, professore all'università di Bristol, su Nature del 14 settembre 2011 (Check your legal position before advising others , trad.: "Prima di dare consigli al pubblico, verificate la vostra posizione dal punto di vista legale").

Questa la ricetta di Aspinall: date pareri per iscritto, corredateli con i riferimenti scientifici sui quali vi siete basati, registrate tutto quello che dite in pubblico, durante le riunioni e anche per telefono, e fate attenzione alle domande dei media perché i commenti estemporanei vengono facilmente travisati. Importante è fare una netta distinzione tra il vostro contributo, di tipo scientifico, e le decisioni operative che ne conseguono, che sono di tipo politico. Racconta ancora Aspinall, che è un vulcanologo e si è trovato in una posizione legalmente non ben definita in alcune cause civili intentate dopo una consulenza fornita per un'isola dei Caraibi, di essersi sentito sollevato quando il governo di Sua Maestà ha avuto, nel 2001, la buona idea di stilare delle linee guida per le consulenze scientifiche. Una clausola del documento prevede infatti che i membri di una commissione scientifica che incorrano in problemi di natura giudiziaria vengano indennizzati, a patto che abbiano "agito con onestà, ragionevolezza, in buona fede e senza colpa (e in questo caso si deve comunque affrontare un giudizio perché, per la legge britannica, solo un tribunale può determinare se vi sia stata colpa)" .

Le linee guida dovrebbero servire ad evitare che gli esperti si rifiutino di collaborare per paura di essere coinvolti in cause e processi. Tra i commenti ad Aspinall, interessante quello di Benedetto De Vivo che si dichiara "d'accordo con chi pensa che gli scienziati dovrebbero parlare chiaramente al pubblico, per spiegare i limiti delle loro conoscenze, per poi lasciare ai singoli di decidere sulla loro vita, perché le persone non sono stupide e non c'è bisogno di trattarle come bambini in cerca della guida e dell'assistenza dei genitori".

De Vivo ci illumina anche su "un altro aspetto che dà molto fastidio a me che sono uno scienziato italiano, che vive in Italia e si è fatto un'opinione sugli scienziati. Questi parlano del "mondo ideale" (che può essersi o non essersi realizzato) dei loro Paesi. Alle persone e agli scienziati che vivono nella realtà italiana è ben noto che alcuni incarichi di rilievo in campo scientifico o in settori similari NON vengono assegnati basandosi soltanto su criteri meritocratici. Per molti di questi incarichi è assai rilevante l'aspetto politico. Ciò è vero in modo particolare quando si vedono persone che mantengono tali incarichi per tutta la vita. In Italia accade in diversi settori (economia, scienza, istruzione, etc.) e, sotto molti aspetti, in Italia funziona un sistema medievale, dove il privilegio è la regola, che conduce a molte situazioni di conflitto di interessi. Queste situazioni di monopolio possono essere mantenute e conservate per vari gruppi di ricerca (ma, talvolta, anche per i loro figli) soltanto se vi è una relazione forte tra scienziati e politici. Questa mancanza di autonomia determina delle conseguenze in modo significativo. Una cosa difficilmente immaginabile quando uno scienziato vive in un ambiente molto più meritocratico".

Un'osservazione, questa di De Vivo, che fa riflettere e ripensare ad altri tempi e ad altri disastri in cui si presentò lo stesso problema: quello dell'indipendenza degli scienziati italiani. Tutta da leggere, a tale proposito, la testimonianza dell'avvocato Odoardo Ascari che, nel processo per il disastro del Vajont, rappresentava i fratelli Galli che "non aspiravano a ottenere risarcimenti più o meno cospicui, ma la condanna di chi aveva fatto morire il padre e la madre, tenendo condotte letteralmente imperdonabili dalle quali era derivata quell’autentica tragedia familiare".

Scrive Ascari che le parti civili "sapevano che la difesa era molto forte e, soprattutto, molto potente: temevano accordi fraudolenti, aggiustamenti e compromessi obliqui" e racconta: "Mi sentii coinvolto, dunque, non solo e non tanto sotto il piano professionale, ma anche morale, civile e umano. E compresi subito che la prima battaglia si combatteva sul piano tecnico. Cominciò così il mio pellegrinaggio per arruolare i più autorevoli esperti in idraulica e geomeccanica d’Europa, tenendo presente, appunto, che i periti d’ufficio erano di fama e livello internazionale, ma che, in Italia, era molto difficile trovare chi fosse disposto a sostenere le nostre ragioni. Vi era di più: essendo nel frattempo intervenuta la nazionalizzazione dell’energia elettrica e, conseguentemente, l’attribuzione all’Enel della proprietà, per così dire, di tutti gli impianti idroelettrici capaci di produrre energia, l’accettazione da parte di scienziati italiani di un incarico, che possiamo definire accusatorio, diventava del tutto improbabile. Ricordo, infatti, che un professore, titolare di una cattedra prestigiosa, ribadendo il suo rifiuto, mi disse testualmente: “Lei non può pretendere che io mi metta contro il mio unico possibile datore di lavoro”.

Anche oggi, dopo quasi cinquant'anni, siamo allo stesso punto: "Gli scienziati erano veramente liberi di esprimersi?" è stato chiesto ai lettori del New Scientist qualche giorno fa, in calce all'articolo sulla sentenza (Italian earthquake case is no anti-science witch-hunt, trad. "Il caso del terremoto in Italia non è un'antiscientifica caccia alle streghe", sottotitolo: "le condanne ai sei esperti per omicidio colposo indicano la necessità che gli scienziati parlino direttamente") "Queste persone vengono punite perché hanno cercato di dare informazioni al pubblico. La lezione per gli scienziati sarà: bisogna fare tutto nel massimo segreto" scrive un certo Karl, cui segue la risposta di Liza: "A quanto mi risulta, queste persone vengono punite perché hanno fornito informazioni pasticciate al pubblico. La lezione per gli scienziati sarà: bisogna imporsi e avere il coraggio di fare un comunicato di persona, invece di lasciarlo fare ad un portavoce ignorante".

E, se le condizioni non permettono agli scienziati di fornire informazioni ispirate a criteri scientifici, meglio rinunciare a far parte di una commissione tecnica. Meglio nessun consiglio da parte degli scienziati che un consiglio scientificamente sbagliato. Scrive Rino Falcone, dell'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR: "In ogni caso gli scienziati, essendo consapevoli delle informazioni sostanziali in loro possesso hanno la responsabilità morale, nel caso in cui quelle informazioni venissero distorte, di dover fare tutto quanto è possibile per recuperare da quelle distorsioni. E' evidente che affinché questo possa avvenire i poteri degli organismi collaboranti (Commissione Grandi Rischi e Protezione Civile nel caso in oggetto) devono avere piena indipendenza e autonomia nel giudizio e avere modo di salvaguardare quel giudizio nell'uso che se ne fa anche, eventualmente, nei confronti della controparte istituzionale. Nel caso in oggetto, c'è da chiedersi se il fatto che la Protezione Civile fosse uno dei finanziatori istituzionali (circa un terzo del budget complessivo) dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di cui l'Ingegner Boschi era il Presidente, fosse un elemento di assoluta coerenza in questo rapporto.".

* coordinatrice della Commissione "Visti dall'estero" dell'Osservatorio.


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