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Sentenza
L'Aquila : quanti equivoci in Italia e all'estero !
di
Giulia Alliani*
Con
un certo ritardo, ma meglio tardi che mai, giornali e riviste,
in Italia e all'estero, con alcune eccezioni, stanno prendendo
atto che la sentenza de L'Aquila ha condannato i componenti
della Commissione Grandi Rischi non per non aver previsto
il terremoto ma per aver previsto che non ci sarebbe stato,
o meglio, come dice il capo
d'imputazione, per aver fornito "sia con dichiarazioni
agli organi di informazione sia con redazione di un verbale
[…] informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie
sulla natura, sulle cause, sulla pericolosità e sui futuri
sviluppi dell’attività sismica in esame […] venendo così
meno ai doveri di valutazione del rischio connessi alla loro
qualità e alla loro funzione e tesi alla previsione e alla
prevenzione e ai doveri di informazione chiara, corretta,
completa".
In un primo tempo, le parole dette e scritte in Italia sulla
magistratura oscurantista e nemica della scienza, sul papa
e Galileo, avevano suscitato, anche all'estero, grande indignazione,
subito trasferita in lettere
di solidarietà di associazioni scientifiche, firmate da
decine di studiosi sinceramente preoccupati (ma per i motivi
sbagliati) per la condizione degli scienziati italiani.
Le agenzie e la stampa estera hanno dato informazioni
discordanti, incerte se gli studiosi italiani erano stati
accusati di non aver previsto il terremoto o di non aver comunicato
opportunamente il rischio. Persino la BBC riassume
così il processo: "I pubblici ministeri hanno detto
che gli imputati, prima del terremoto, hanno fatto dichiarazioni
a torto rassicuranti, mentre le difese hanno sostenuto che
non è possibile prevedere il verificarsi di grandi terremoti".
In
un panorama tanto confuso fanno eccezione alcune riviste scientifiche
che, fin dal momento del rinvio a giudizio, hanno chiarito
l'equivoco. Sui loro siti si sono svolte on line le discussioni
più interessanti tra autori e lettori, tra i quali un certo
numero di studiosi italiani, forse in fuga dai siti domestici,
tuttora alle prese con Galileo. L'articolo
più semplice, chiaro, esauriente ed informato, al quale molti
commentatori e lettori non italiani fanno spesso riferimento
nei loro commenti è stato pubblicato da Nature il 14 settembre
2011. L'autore,
Stephen S. Hall, dopo aver dato voce a cittadini, pubblico
ministero e avvocati difensori, si è concentrato sull'intervista
rilasciata a L'Aquila il 31 marzo 2009, fuori dalla sala riunioni
della Commissione Grandi Rischi, da uno dei suoi componenti,
Bernardo De Bernardinis, vicecapo settore tecnico-operativo
della Protezione Civile.
Un'intervista
che, a dire di Hall, "potrebbe diventare per molti anni
a venire l'ossessione degli studiosi e forse di tutto il mondo
che studia la valutazione del rischio" De Bernardinis
dichiarava: “Gli scienziati continuano a dirmi che non
c'è un pericolo, anzi la situazione è favorevole perché c'è
un rilascio continuo di energia”, un concetto confermato
anche dai comunicati
successivi alla riunione: "bisogna saper convivere con
le caratteristiche dei territori e mantenere uno stato di
attenzione sì, ma senza avere uno stato di ansia" e poi:
"La comunità scientifica, inoltre, ha confermato che non
c'e' pericolo perché il continuo scarico di energia, riduce
la possibilità che si verifichino eventi particolarmente intensi".
Sulle conseguenze dell'intervista, sintomo di un cattivo metodo
di comunicazione, ha scritto, qualche giorno fa, anche David
Ropeik, giornalista e consulente in Comunicazione del Rischio
per la scuola di formazione continua dell'università di Harvard,
in un commento
per Scientific American, che argomenta sulla differenza
tra sentenza contro la scienza e sentenza contro un deficit
di comunicazione e sulla responsabilità che gli scienziati
hanno nel veicolare e condividere le loro conoscenze per consentire
a tutti di compiere scelte informate.
Utili
alla completezza del quadro due contributi pubblicati nello
spazio riservato ai lettori: il primo, (vedi: rlalli), che
introduce il tema del legame tra interesse politico e parere
degli esperti, segnalando un link al sito di Repubblica con
l'intercettazione telefonica in cui Guido Bertolaso anticipa
che la riunione della Commissione di studiosi va intesa come
"operazione mediatica", allo scopo di "placare illazioni,
preoccupazioni" e "tranquillizzare la gente" e "zittire subito
qualsiasi imbecille", "cosi loro [gli scienziati presenti,
ndr] che sono i massimi esperti di terremoti diranno: "E'
una situazione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio
che ci siano cento scosse di quattro scala Richter piuttosto
che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia
e non ci sarà mai la scossa quella che fa male". (Peccato
solo che i lettori non italiani non abbiano ancora potuto
disporre di una traduzione in inglese del contenuto dell'intercettazione:
aspettiamo con interesse i loro commenti dopo che avranno
potuto leggerla).
Il
secondo contributo, (vedi: CSBuckler), approfondisce lo stesso
tema: "Agli studiosi non è stata data la possibilità di
parlare in pubblico. Sono stati i politici a confezionare
le risposte per il pubblico. Sì, gli studiosi avrebbero
potuto esprimersi meglio parlando con i politici, essere più
chiari, ma mettetevi nei loro panni: che cosa fareste voi,
nei panni di uno scienziato, se un politico che controlla
i fondi per la vostra ricerca, che ve li può revocare a sua
discrezione e che ha il potere di non farvi mai più lavorare
nel settore che vi interessa, vi dicesse che la sua commissione
ha bisogno di informazioni buone per calmare le paure dei
cittadini? E' vero, la comunicazione andrebbe migliorata,
ma la miglior comunicazione del mondo non farebbe la minima
differenza se fosse il vostro governo a decidere quello che
uno studioso può o non può dire, ad avere in mano la sua sopravvivenza,
o se non gli consentisse di parlare in pubblico. Nel maggio
2012, durante il terremoto in Emilia, probabilmente grazie
al processo che era in corso a L'Aquila, i politici hanno
lasciato parlare gli scienziati, che hanno fatto un ottimo
lavoro."
Ancora
sul problema della comunicazione del rischio e sulle conseguenze
giudiziarie, civili e penali, cui possono andare incontro
gli studiosi che fanno parte, come consulenti, di commissioni
governative, va letto l'articolo
di Willy Aspinall, professore all'università di Bristol, su
Nature del 14 settembre 2011 (Check your legal position before
advising others , trad.: "Prima di dare consigli al pubblico,
verificate la vostra posizione dal punto di vista legale").
Questa
la ricetta di Aspinall: date pareri per iscritto, corredateli
con i riferimenti scientifici sui quali vi siete basati, registrate
tutto quello che dite in pubblico, durante le riunioni e anche
per telefono, e fate attenzione alle domande dei media perché
i commenti estemporanei vengono facilmente travisati. Importante
è fare una netta distinzione tra il vostro contributo, di
tipo scientifico, e le decisioni operative che ne conseguono,
che sono di tipo politico. Racconta ancora Aspinall, che è
un vulcanologo e si è trovato in una posizione legalmente
non ben definita in alcune cause civili intentate dopo una
consulenza fornita per un'isola dei Caraibi, di essersi sentito
sollevato quando il governo di Sua Maestà ha avuto, nel 2001,
la buona idea di stilare delle linee
guida per le consulenze scientifiche. Una clausola
del documento prevede infatti che i membri di una commissione
scientifica che incorrano in problemi di natura giudiziaria
vengano indennizzati, a patto che abbiano "agito con onestà,
ragionevolezza, in buona fede e senza colpa (e in questo caso
si deve comunque affrontare un giudizio perché, per la legge
britannica, solo un tribunale può determinare se vi sia stata
colpa)" .
Le
linee guida dovrebbero servire ad evitare che gli esperti
si rifiutino di collaborare per paura di essere coinvolti
in cause e processi. Tra i commenti ad Aspinall, interessante
quello di Benedetto De Vivo che si dichiara "d'accordo
con chi pensa che gli scienziati dovrebbero parlare chiaramente
al pubblico, per spiegare i limiti delle loro conoscenze,
per poi lasciare ai singoli di decidere sulla loro vita, perché
le persone non sono stupide e non c'è bisogno di trattarle
come bambini in cerca della guida e dell'assistenza dei genitori".
De
Vivo ci illumina anche su "un altro aspetto che dà molto
fastidio a me che sono uno scienziato italiano, che vive in
Italia e si è fatto un'opinione sugli scienziati. Questi parlano
del "mondo ideale" (che può essersi o non essersi realizzato)
dei loro Paesi. Alle persone e agli scienziati che vivono
nella realtà italiana è ben noto che alcuni incarichi di
rilievo in campo scientifico o in settori similari NON vengono
assegnati basandosi soltanto su criteri meritocratici.
Per molti di questi incarichi è assai rilevante l'aspetto
politico. Ciò è vero in modo particolare quando si vedono
persone che mantengono tali incarichi per tutta la vita. In
Italia accade in diversi settori (economia, scienza, istruzione,
etc.) e, sotto molti aspetti, in Italia funziona un sistema
medievale, dove il privilegio è la regola, che conduce
a molte situazioni di conflitto di interessi. Queste situazioni
di monopolio possono essere mantenute e conservate per vari
gruppi di ricerca (ma, talvolta, anche per i loro figli) soltanto
se vi è una relazione forte tra scienziati e politici. Questa
mancanza di autonomia determina delle conseguenze in modo
significativo. Una cosa difficilmente immaginabile quando
uno scienziato vive in un ambiente molto più meritocratico".
Un'osservazione,
questa di De Vivo, che fa riflettere e ripensare ad altri
tempi e ad altri disastri in cui si presentò lo stesso problema:
quello dell'indipendenza degli scienziati italiani. Tutta
da leggere, a tale proposito, la testimonianza
dell'avvocato Odoardo Ascari che, nel processo per il disastro
del Vajont, rappresentava i fratelli Galli che "non aspiravano
a ottenere risarcimenti più o meno cospicui, ma la condanna
di chi aveva fatto morire il padre e la madre, tenendo condotte
letteralmente imperdonabili dalle quali era derivata quell’autentica
tragedia familiare".
Scrive
Ascari che le parti civili "sapevano che la difesa era
molto forte e, soprattutto, molto potente: temevano accordi
fraudolenti, aggiustamenti e compromessi obliqui" e racconta:
"Mi sentii coinvolto, dunque, non solo e non tanto sotto
il piano professionale, ma anche morale, civile e umano. E
compresi subito che la prima battaglia si combatteva sul piano
tecnico. Cominciò così il mio pellegrinaggio per arruolare
i più autorevoli esperti in idraulica e geomeccanica d’Europa,
tenendo presente, appunto, che i periti d’ufficio erano di
fama e livello internazionale, ma che, in Italia, era molto
difficile trovare chi fosse disposto a sostenere le nostre
ragioni. Vi era di più: essendo nel frattempo intervenuta
la nazionalizzazione dell’energia elettrica e, conseguentemente,
l’attribuzione all’Enel della proprietà, per così dire, di
tutti gli impianti idroelettrici capaci di produrre energia,
l’accettazione da parte di scienziati italiani di un incarico,
che possiamo definire accusatorio, diventava del tutto improbabile.
Ricordo, infatti, che un professore, titolare di una cattedra
prestigiosa, ribadendo il suo rifiuto, mi disse testualmente:
“Lei non può pretendere che io mi metta contro il mio unico
possibile datore di lavoro”.
Anche oggi, dopo quasi cinquant'anni, siamo allo stesso punto:
"Gli scienziati erano veramente liberi di esprimersi?"
è stato chiesto ai lettori del New Scientist qualche giorno
fa, in calce all'articolo
sulla sentenza (Italian earthquake case is no anti-science
witch-hunt, trad. "Il caso del terremoto in Italia non è un'antiscientifica
caccia alle streghe", sottotitolo: "le condanne ai sei esperti
per omicidio colposo indicano la necessità che gli scienziati
parlino direttamente") "Queste persone vengono punite
perché hanno cercato di dare informazioni al pubblico. La
lezione per gli scienziati sarà: bisogna fare tutto nel massimo
segreto" scrive un certo Karl, cui segue la risposta di
Liza: "A quanto mi risulta, queste persone vengono punite
perché hanno fornito informazioni pasticciate al pubblico.
La lezione per gli scienziati sarà: bisogna imporsi e avere
il coraggio di fare un comunicato di persona, invece di lasciarlo
fare ad un portavoce ignorante".
E, se le condizioni non permettono agli scienziati di fornire
informazioni ispirate a criteri scientifici, meglio rinunciare
a far parte di una commissione tecnica. Meglio nessun consiglio
da parte degli scienziati che un consiglio scientificamente
sbagliato. Scrive
Rino Falcone, dell'Istituto di Scienze e Tecnologie
della Cognizione del CNR: "In ogni caso gli scienziati,
essendo consapevoli delle informazioni sostanziali in loro
possesso hanno la responsabilità morale, nel caso in cui quelle
informazioni venissero distorte, di dover fare tutto quanto
è possibile per recuperare da quelle distorsioni. E' evidente
che affinché questo possa avvenire i poteri degli organismi
collaboranti (Commissione Grandi Rischi e Protezione Civile
nel caso in oggetto) devono avere piena indipendenza e
autonomia nel giudizio e avere modo di salvaguardare quel
giudizio nell'uso che se ne fa anche, eventualmente, nei confronti
della controparte istituzionale. Nel caso in oggetto, c'è
da chiedersi se il fatto che la Protezione Civile fosse uno
dei finanziatori istituzionali (circa un terzo del budget
complessivo) dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
di cui l'Ingegner Boschi era il Presidente, fosse un elemento
di assoluta coerenza in questo rapporto.".
*
coordinatrice della Commissione "Visti dall'estero"
dell'Osservatorio.
 
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