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06 settembre 2012
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Minori : affidamento condiviso ed affidamento alternato nelle cause di separazione
di Margherita Corriere*

L'affido condiviso era già regola generale dal 1981 in Svezia, Grecia e Spagna; dal 14 ottobre 1991 in Inghilterra con il Children Act, in Francia con la legge dell'8 gennaio 1993, in Germania con la legge 1 giugno 1998. In questa ottica la legge 54/2006, in linea con i principi sanciti dalla Convenzione di New York del 1989 e di Strasburgo del 1996 interviene con lo scopo di favorire un rapporto equilibrato con entrambi i genitori anche in caso di dissoluzione della famiglia, sforzandosi di offrire una tutela uniforme ai figli a prescindere dall'unione tra i genitori e dalle sue possibili vicende.

L'art. 155 c.c. novellato si apre al primo comma con una petizione di principio sancendo il diritto del figlio, anche in caso di separazione personale dei genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale. E ciò in armonia con il principio già sancito nella Costituzione, all'art. 30, comma 1 ove è scritto che "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio". E tale principio non viene meno con la separazione, il divorzio, la cessazione della convivenza tra i genitori.

Scaturisce dalla normativa:

1) il diritto dei figli (diritto personalissimo) alla c.d. bigenitorialità, che non rappresenta una rivendicazione del genitore, ma consiste nel diritto oggettivo della prole di continuare a mantenere un rapporto costante ed equilibrato con entrambi i genitori nonostante la crisi del nucleo familiare;

2) il principio della condivisione della responsabilità genitoriale, che implica oggi non solo la conservazione della comune titolarità della potestà genitoriale in capo ad entrambi i genitori, ma anche di regola l'esercizio condiviso della potestà medesima.

La potestà è esercitata in comunione dai coniugi; le decisioni di maggiore importanza relative ad educazione, istruzione e salute sono assunte tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli ai sensi dell'art. 147 c.c.; in caso di disaccordo provvede il giudice. La locuzione "affidamento condiviso" che il legislatore utilizza sia nell'intitolazione della legge sia nella rubrica del successivo art. 155 bis, rimanda ad un'idea di compartecipazione dei genitori nei compiti di cura e crescita della prole; letteralmente condividere significa "spartire insieme con altri", di conseguenza ciascun genitore dovrà spartire con l'altro la cura e i compiti educativi del figlio e anche, di regola, l'esercizio condiviso della potestà genitoriale, come regime di responsabilizzazione dei genitori allo scopo di garantire il diritto dei figli ad un rapporto continuativo con entrambi.

L'art. 155, comma 2 prevede che, al fine di garantire la finalità indicata al primo comma e, quindi, di garantire il diritto del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa; valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori, oppure stabilisce a quali di essi sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore fissando altresì la misura ed il modo in cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, alla istruzione e all'educazione dei figli; prende atto, se non contrari all'interesse del minore, degli accordi interventi tra i genitori.

Il principio cardine della riforma è che l'affidamento ad entrambi i genitori è la regola generale. Pertanto la norma privilegia come regime normale di affidamento dei minori l'affidamento condiviso che si caratterizza, non già per una impossibile convivenza del minore con entrambi i genitori e neppure con un affidamento alternato, spesso dannoso per il minore privato di un habitat stabile, ma nella condivisione da parte dei coniugi dei compiti di cura, educazione ed istruzione del figlio. La caratteristica saliente dell'affidamento ad entrambi i genitori nel nuovo sistema normativo appare individuabile non tanto nella dualità della residenza o nella parità dei tempi che il minore trascorre con l'uno o con l'altro genitore, bensì nella paritaria condivisione del ruolo genitoriale.

La circostanza che il figlio venga affidato ad entrambi i genitori non esclude la necessità di prevedere quale sia il genitore collocatario del minore, con il quale, quindi, il minore coabiti stabilmente, non essendo verosimile, né per altro verso rispondente all'interesse del minore e alle sue esigenze psicologiche, di crescita ed anche di studio, pensare che lo stesso possa non avere una propria stabile collocazione. Il minore necessita di un riferimento abitativo stabile e di una organizzazione domestica coerente con le sue necessità di studio e normale vita sociale. Sul punto in verità la norma non appare formulata in maniera chiara; tuttavia che tale sia la interpretazione più coerente con il testo della legge lo si desume da una più attenta interpretazione del dato testuale e dalla valorizzazione necessaria di quelli che appaiono i tre compiti fondamentali che la norma ha inteso affidare al giudice e che sono quelli di "valutare" prioritariamente la possibilità che il minore sia affidato ad entrambi i genitori, di "determinare" il collocamento del minore e di "fissare" le modalità di contribuzione.

Non può non evidenziarsi che, laddove il giudice opti per l'affido ad entrambi i genitori, la prevista determinazione giudiziale dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore è andata a sostituire il vecchio diritto di visita. Circa il contenuto del provvedimento giudiziario due sono le tesi emerse, entrambe, come vedremo, influenzate dalla visione di fondo che si ha della novella. Con riferimento al contenuto del provvedimento giudiziale in ipotesi di affido ad entrambi i genitori, secondo un primo orientamento per così dire "ottimista" solo se le parti presentano un progetto educativo condiviso, seppur generico, il giudice non è tenuto ad elaborare un provvedimento dettagliato, potendo limitarsi a stabilire il coniuge collocatario, la residenza del minore, i tempi di permanenza e lasciando la concreta attuazione dei compiti di cura ed educativi agli accordi via via intervenuti tra i coniugi nel tempo. Se, invece, i coniugi non sono in grado di presentare un progetto condiviso, il giudice dovrà articolare il suo provvedimento in maniera dettagliata assegnando a ciascun genitore anche le rispettive sfere di competenza in relazione all'educazione e cura dei figli ed inibendo all'uno ed all'altro di ingerirvisi, fatte salve le decisioni di maggiore importanza.

In base al diverso orientamento "pessimista" nel dare concretezza alle determinazioni dei tempi e dei modi di permanenza del figlio presso ciascun genitore, il giudice non potrà che indicare le modalità minime di presenza del figlio in particolare presso il genitore non collocatario, non potendo pretendersi che il giudice, in assenza di accordo, organizzi la vita quotidiana dei figli e suddivida dettagliatamente compiti e responsabilità; tuttavia, come detto, tali determinazioni dovranno ritenersi "minime", nel senso che sarà sempre possibile una maggiore ampiezza della presenza del figlio presso il genitore non collocatario e dei compiti di quest'ultimo, previo accordo tra i genitori, poiché ciò risponde alla stessa ratio dell'affido condiviso (e tale possibilità di ampliamento dovrà in via generale sempre essere prevista nel provvedimento giudiziale).

Alcuni autori ritengono che la visione ottimistica sia del tutto irrealizzabile: un provvedimento iperdettagliato, imposto a dei coniugi ancora in conflitto, non potrà che aumentare tale conflitto ed anziché tutelare il minore alla fine andrà contro il suo interesse. E' impensabile che l'assolvimento dei compiti da parte dei genitori possa ottenersi con un provvedimento del giudice che non abbia ricevuto l'adesione degli interessati; imporre la condivisione è una contraddizione in termini. Peraltro l'adesione all'orientamento che richiede al giudice l'emissione di un provvedimento dettagliato, impone necessariamente degli approfondimenti istruttori (il giudice deve cioè necessariamente conoscere le abitudini della famiglia, le attitudini di genitori e dei figli; anzi pare opportuno che anche gli avvocati integrino i loro atti introduttivi con tali informazioni).

La legge valorizza l'autonomia delle parti in ordine agli aspetti esistenziali della vita del minore, atteso che l'art. 155 comma 2 c.c. afferma "il giudice prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori se non contrari agli interessi dei figli". Ed infatti l'art. 155, comma 2 dispone che il giudice, laddove non contrari all'interesse del minore, prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori. I primi commentatori della riforma concordano sulla necessità che il giudice dia spazio, in prima battuta, sempre e comunque, agli accordi intervenuti tra i genitori; tuttavia non può argomentarsi in termini di ruolo meramente notarile del giudice sul punto.

Sotto tale aspetto la discrezionalità riservata al Giudice, nella estrema varietà dei casi concreti, è estremamente ampia, come è reso evidente dalla lettura delle numerose pronunzie che hanno variamente riempito di contenuto il regime dell'affidamento condiviso. Per esempio in tema di permanenza del minore, alcune pronunce hanno disposto la eguale permanenza del minore presso ciascun genitore (Tribunale di Chieti 21/07/2006); altre pronunzie hanno regolamentato un maggior tempo di permanenza del minore con collocazione stabile presso uno dei due genitori e, in difetto di accordo dei genitori, hanno regolamentato il tempo di permanenza presso il genitore non collocatario (Tribunale di Cosenza); altre pronunzie hanno effettuato una distribuzione ratione materiae di spazi di esclusività nell'assunzione della responsabilità genitoriale , in relazione alla gestione concreta di alcune attività del figlio, quali un'attività sportiva o la partecipazione ad un corso. Si tratta di pronunzie aventi contenuto diverso ed estremamente variegato, che rappresentano il frutto dell'applicazione giurisdizionale della legislazione "per principi generali" adottata dal legislatore nella peculiare materia in esame.

Comunque l'interesse del minore è la bussola che deve orientare la scelta del giudice il quale ben potrà non ratificare un accordo laddove contrario a tale interesse. Il nucleo centrale della regolamentazione della vita del minore demandata alla volontà delle parti o al Giudice resta, comunque, la determinazione del collocamento del minore in modo stabile presso uno dei due genitori che, normalmente verrà individuato in quello ritenuto maggiormente idoneo ai compiti di cura quotidiana e che normalmente diverrà l'assegnatario della casa coniugale. Si parla di sfida perché l'affidamento condiviso implica la necessità da parte dei genitori di coordinarsi e cooperare per il benessere dei figli con l'obiettivo di stabilire e sperimentare accordi soddisfacenti per sé e soprattutto per i figli.

Occorre considerare che le innovazioni normative non necessariamente trovano corrispondenza immediata nei comportamenti e negli atteggiamenti degli attori sociali coinvolti e nei sistemi di credenze e nelle aspettative che li orientano. Ma l'affidamento condiviso non può implicare in alcun modo l'incerto e continuo peregrinare del figlio tra le residenze dei genitori, ma a tutela delle esigenze di serenità e stabilità affettiva della prole, implica la determinazione della residenza del minore e la necessità di garantire al genitore che con il figlio conviva stabilmente il godimento della casa coniugale.

Facciamo un passo indietro e rammentiamo che l'art. 11 della legge sul divorzio, dopo la riforma del 1987, prevedeva la possibilità di disporre l'affidamento congiunto e l'affidamento alternato, in luogo dell'affidamento monogenitoriale. Tali possibilità, previste per i coniugi divorziati, furono estese dalla giurisprudenza ai coniugi separati. L'affidamento alternato è stato immediatamente oggetto di forti critiche in quanto ritenuto fonte di instabilità per il minore. Con l'affidamento alternato i figli vivono per periodi alterni con l'uno o con l'altro genitore: soluzione scarsamente praticata perché se i genitori si alternano nella casa familiare ne risultano sconvolte sia le loro abitudini che quelle dei figli, per i quali in tal modo l'unico punto di riferimento costante resta solo l'abitazione (vedasi sentenza Trib. di Napoli 22 dicembre 1995); infatti nessun esito hanno avuto i seppur provvisori provvedimenti presidenziali in cui ad alternarsi nella casa coniugale abitata stabilmente dai figli erano i genitori separati. Per il Tribunale di Mantova (11 aprile 1989) se i genitori vivono in case o peggio in città diverse ne risente l'esigenza a che i figli vivano in un ambiente stabile. Per la Cassazione (sentenza n.4936/1991) "qualora uno dei genitori appartenga ad una minoranza etnica o linguistica l'esigenza di conservare i relativi valori non può di per sé giustificare l'affidamento alternato del figlio, occorrendo fare preminente riferimento alla necessità di assicurargli uno sviluppo equilibrato". Occorre tenere conto delle esigenze di stabilità della vita del minore. L'affidamento alternato viene ritenuto fonte di instabilità di vita tale da compromettere l'equilibrio del minore. La giurisprudenza ha più volte sottolineato l'insufficienza della casa familiare a costituire l'unico punto di riferimento costante dei figli (Trib. Napoli 22 dicembre 1995 in Famiglia e Diritto 1996 , 459 e segg. - Grimaldi Affid. Cong. Ed alternato tra psicologia e diritto Dir. Famiglia 1989, 301 e segg.).

Invero l'affidamento condiviso non può e non deve significare alternanza paritaria dei figli tra due case. L'affido condiviso non può realizzarsi in una pari permanenza temporale dei figli presso ciascun genitore, non significa pari distribuzione di tempi di permanenza del figlio con l'uno o l'altro genitore, ben potendo essere la distribuzione temporale asimmetrica. La pari distribuzione temporale è tipica dell'affidamento alternato; pur nel limitatissimo uso che ne è stato fatto nel nostro paese, la forma più sperimentata è stata quella delle settimane alterne per genitori che hanno residenze relativamente vicine e per periodi più lunghi per genitori che risiedono a grandi distanze. Rammentiamo la famosa sentenza del Tribunale di Messina relativa ad una forma di concessione di affido alternato: si disponeva che l'unico figlio di una coppia divorziata nel periodo scolastico stesse con la madre e nel periodo estivo con il padre: con la madre dal 20 settembre al 9 giugno e dal 10 giugno al 19 settembre con il padre. Il padre poi aveva diritto di vedere il figlio 2 pomeriggi a settimana nel periodo in cui era affidato alla madre e la madre 2 giorni interi ogni 2 settimane nel periodo in cui era affidato al padre. Ma così si corre il rischio di trattare il figlio al pari di un oggetto sballottato qua e là a seconda delle stagioni.

Tale tipo di affidamento ritengo che abbia l'ulteriore difetto di creare pericolosi shock di allontanamento nel figlio stesso, che non fa in tempo ad abituarsi ad un contesto che viene costretto ad abbandonarlo per un altro. L'affidamento condiviso non può risolversi in concreto nel mero affidamento alternato. Quando un bambino sdoppia le sue abitudini perde gli unici punti di riferimento e difficilmente accetta ruoli educativi, magari tra loro contrapposti. Da qui la naturale esigenza di soluzioni bigenitoriali che tendano ad impedire assolutamente la deportazione geografica e garantiscano regolarità, stabilità e che il bambino relazioni paritariamente con ambedue i genitori.

Per un bimbo il padre e la madre rappresentano un modello imprescindibile. La celebre psicologa statunitense Dionna Thompson sosteneva "la guerra contro i padri è in realtà una guerra contro i bambini; il punto non è semplicemente il diritto dei padri o delle madri, ma il diritto dei figli di avere due genitori che si occupino attivamente della loro vita". Ma il diritto dei figli è il diritto della società: infatti tutti gli studi ci dimostrano che patologie sociali come l'abbandono scolastico, la criminalità, il suicidio ed il bullismo sono molto più probabili e diffusi quando i bambini hanno come punto di riferimento un solo genitore. I bambini hanno bisogno di entrambi i genitori e una società bigenitoriale è una società sicuramente più sana di una in cui i figli crescono avendo relazioni monoparentali.

Affidamento condiviso vuol dire condividere la genitorialità, ripartendo tra i genitori le facoltà decisionali ed i relativi obblighi, tenendo conto delle capacità, delle naturali inclinazioni e delle aspirazioni dei figli. Lungi dal considerare l'affido una mera etichetta da apporre sull'atto questo non è possibile senza l'effettiva condivisione da parte dei genitori di un accordo programmatico che tenga conto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni dei figli. La condivisione dei compiti e delle responsabilità genitoriali non può essere data per scontata, né disposta autoritativamente, non possedendo il provvedimento giudiziale la taumaturgica capacità di assicurare il buon esito del regime imposto. È necessario che si prospetti e si offra alla valutazione del giudice un programma propositivo di come educare, istruire, curare il figlio e si ipotizzi come tali compiti ed in quale misura possano continuare ad essere assolti da ciascun genitore. L'interesse del minore da ricercare è quello vero, reale, strettamente collegato alla fattispecie concreta e non quello fumoso, astratto, che rimane vuota clausola di stile.

Per la Cassazione dominante deve "essere privilegiato l'interesse esistenziale del minore". Alla luce di questa apertura normativa alla dimensione della cogenitorialità compito degli operatori del diritto e degli specialisti del settore è favorire la cultura dell'affidamento condiviso, curarsi di fornire percorsi che possano dare consapevolezza del significato della cogenitorialità, così che i cambiamenti normativi possano tradursi in cambiamenti culturali e consentire che la dicitura "affidamento condiviso" non rimanga una mera formula giuridica, ma si declini in reali modifiche alla prassi d'intervento a sostegno della genitorialità condivisa. La necessaria collaborazione tra genitori è un obiettivo quasi impossibile senza una autentica elaborazione e superamento della frattura coniugale e non può essere preordinata ed imposta per legge, ma spetta agli operatori del diritto rendere concreta nell'attività professionale quotidiana.

* avvocato, membro del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio


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