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Minori : affidamento condiviso ed affidamento alternato nelle
cause di separazione
di
Margherita Corriere*
L'affido
condiviso era già regola generale dal 1981 in Svezia, Grecia
e Spagna; dal 14 ottobre 1991 in Inghilterra con il Children
Act, in Francia con la legge dell'8 gennaio 1993, in Germania
con la legge 1 giugno 1998. In questa ottica la legge 54/2006,
in linea con i principi sanciti dalla Convenzione di New York
del 1989 e di Strasburgo del 1996 interviene con lo scopo
di favorire un rapporto equilibrato con entrambi i genitori
anche in caso di dissoluzione della famiglia, sforzandosi
di offrire una tutela uniforme ai figli a prescindere dall'unione
tra i genitori e dalle sue possibili vicende.
L'art. 155 c.c. novellato si apre al primo comma con una petizione
di principio sancendo il diritto del figlio, anche in caso
di separazione personale dei genitori, di mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere
cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare
rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di
ciascun ramo genitoriale. E ciò in armonia con il principio
già sancito nella Costituzione, all'art. 30, comma 1 ove è
scritto che "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire
ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio". E
tale principio non viene meno con la separazione, il divorzio,
la cessazione della convivenza tra i genitori.
Scaturisce dalla normativa:
1)
il diritto dei figli (diritto personalissimo) alla c.d. bigenitorialità,
che non rappresenta una rivendicazione del genitore, ma consiste
nel diritto oggettivo della prole di continuare a mantenere
un rapporto costante ed equilibrato con entrambi i genitori
nonostante la crisi del nucleo familiare;
2)
il principio della condivisione della responsabilità genitoriale,
che implica oggi non solo la conservazione della comune titolarità
della potestà genitoriale in capo ad entrambi i genitori,
ma anche di regola l'esercizio condiviso della potestà medesima.
La
potestà è esercitata in comunione dai coniugi; le decisioni
di maggiore importanza relative ad educazione, istruzione
e salute sono assunte tenendo conto delle capacità, delle
inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli ai sensi
dell'art. 147 c.c.; in caso di disaccordo provvede il giudice.
La
locuzione "affidamento condiviso" che il legislatore utilizza
sia nell'intitolazione della legge sia nella rubrica del successivo
art. 155 bis, rimanda ad un'idea di compartecipazione dei
genitori nei compiti di cura e crescita della prole; letteralmente
condividere significa "spartire insieme con altri", di conseguenza
ciascun genitore dovrà spartire con l'altro la cura e i compiti
educativi del figlio e anche, di regola, l'esercizio condiviso
della potestà genitoriale, come regime di responsabilizzazione
dei genitori allo scopo di garantire il diritto dei figli
ad un rapporto continuativo con entrambi.
L'art. 155, comma 2 prevede che, al fine di garantire la finalità
indicata al primo comma e, quindi, di garantire il diritto
del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo ed
equilibrato con entrambi i genitori, il giudice che pronuncia
la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti
relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse
morale e materiale di essa; valuta prioritariamente la possibilità
che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori,
oppure stabilisce a quali di essi sono affidati, determina
i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore
fissando altresì la misura ed il modo in cui ciascuno di essi
deve contribuire al mantenimento, alla cura, alla istruzione
e all'educazione dei figli; prende atto, se non contrari all'interesse
del minore, degli accordi interventi tra i genitori.
Il principio cardine della riforma è che l'affidamento ad
entrambi i genitori è la regola generale. Pertanto la norma
privilegia come regime normale di affidamento dei minori l'affidamento
condiviso che si caratterizza, non già per una impossibile
convivenza del minore con entrambi i genitori e neppure con
un affidamento alternato, spesso dannoso per il minore privato
di un habitat stabile, ma nella condivisione da parte dei
coniugi dei compiti di cura, educazione ed istruzione del
figlio. La caratteristica saliente dell'affidamento ad entrambi
i genitori nel nuovo sistema normativo appare individuabile
non tanto nella dualità della residenza o nella parità dei
tempi che il minore trascorre con l'uno o con l'altro genitore,
bensì nella paritaria condivisione del ruolo genitoriale.
La circostanza che il figlio venga affidato ad entrambi i
genitori non esclude la necessità di prevedere quale sia il
genitore collocatario del minore, con il quale, quindi, il
minore coabiti stabilmente, non essendo verosimile, né per
altro verso rispondente all'interesse del minore e alle sue
esigenze psicologiche, di crescita ed anche di studio, pensare
che lo stesso possa non avere una propria stabile collocazione.
Il minore necessita di un riferimento abitativo stabile e
di una organizzazione domestica coerente con le sue necessità
di studio e normale vita sociale. Sul punto in verità la norma
non appare formulata in maniera chiara; tuttavia che tale
sia la interpretazione più coerente con il testo della legge
lo si desume da una più attenta interpretazione del dato testuale
e dalla valorizzazione necessaria di quelli che appaiono i
tre compiti fondamentali che la norma ha inteso affidare al
giudice e che sono quelli di "valutare" prioritariamente la
possibilità che il minore sia affidato ad entrambi i genitori,
di "determinare" il collocamento del minore e di "fissare"
le modalità di contribuzione.
Non
può non evidenziarsi che, laddove il giudice opti per l'affido
ad entrambi i genitori, la prevista determinazione giudiziale
dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso
ciascun genitore è andata a sostituire il vecchio diritto
di visita. Circa il contenuto del provvedimento giudiziario
due sono le tesi emerse, entrambe, come vedremo, influenzate
dalla visione di fondo che si ha della novella. Con riferimento
al contenuto del provvedimento giudiziale in ipotesi di affido
ad entrambi i genitori, secondo un primo orientamento per
così dire "ottimista" solo se le parti presentano un progetto
educativo condiviso, seppur generico, il giudice non è tenuto
ad elaborare un provvedimento dettagliato, potendo limitarsi
a stabilire il coniuge collocatario, la residenza del minore,
i tempi di permanenza e lasciando la concreta attuazione dei
compiti di cura ed educativi agli accordi via via intervenuti
tra i coniugi nel tempo. Se, invece, i coniugi non sono in
grado di presentare un progetto condiviso, il giudice dovrà
articolare il suo provvedimento in maniera dettagliata assegnando
a ciascun genitore anche le rispettive sfere di competenza
in relazione all'educazione e cura dei figli ed inibendo all'uno
ed all'altro di ingerirvisi, fatte salve le decisioni di maggiore
importanza.
In base al diverso orientamento "pessimista" nel dare concretezza
alle determinazioni dei tempi e dei modi di permanenza del
figlio presso ciascun genitore, il giudice non potrà che indicare
le modalità minime di presenza del figlio in particolare presso
il genitore non collocatario, non potendo pretendersi che
il giudice, in assenza di accordo, organizzi la vita quotidiana
dei figli e suddivida dettagliatamente compiti e responsabilità;
tuttavia, come detto, tali determinazioni dovranno ritenersi
"minime", nel senso che sarà sempre possibile una maggiore
ampiezza della presenza del figlio presso il genitore non
collocatario e dei compiti di quest'ultimo, previo accordo
tra i genitori, poiché ciò risponde alla stessa ratio dell'affido
condiviso (e tale possibilità di ampliamento dovrà in via
generale sempre essere prevista nel provvedimento giudiziale).
Alcuni autori ritengono che la visione ottimistica sia del
tutto irrealizzabile: un provvedimento iperdettagliato, imposto
a dei coniugi ancora in conflitto, non potrà che aumentare
tale conflitto ed anziché tutelare il minore alla fine andrà
contro il suo interesse. E' impensabile che l'assolvimento
dei compiti da parte dei genitori possa ottenersi con un provvedimento
del giudice che non abbia ricevuto l'adesione degli interessati;
imporre la condivisione è una contraddizione in termini. Peraltro
l'adesione all'orientamento che richiede al giudice l'emissione
di un provvedimento dettagliato, impone necessariamente degli
approfondimenti istruttori (il giudice deve cioè necessariamente
conoscere le abitudini della famiglia, le attitudini di genitori
e dei figli; anzi pare opportuno che anche gli avvocati integrino
i loro atti introduttivi con tali informazioni).
La
legge valorizza l'autonomia delle parti in ordine agli aspetti
esistenziali della vita del minore, atteso che l'art. 155
comma 2 c.c. afferma "il giudice prende atto degli accordi
intervenuti tra i genitori se non contrari agli interessi
dei figli". Ed infatti l'art. 155, comma 2 dispone che il
giudice, laddove non contrari all'interesse del minore, prende
atto degli accordi intervenuti tra i genitori. I primi commentatori
della riforma concordano sulla necessità che il giudice dia
spazio, in prima battuta, sempre e comunque, agli accordi
intervenuti tra i genitori; tuttavia non può argomentarsi
in termini di ruolo meramente notarile del giudice sul punto.
Sotto
tale aspetto la discrezionalità riservata al Giudice, nella
estrema varietà dei casi concreti, è estremamente ampia, come
è reso evidente dalla lettura delle numerose pronunzie che
hanno variamente riempito di contenuto il regime dell'affidamento
condiviso. Per esempio in tema di permanenza del minore, alcune
pronunce hanno disposto la eguale permanenza del minore presso
ciascun genitore (Tribunale di Chieti 21/07/2006); altre pronunzie
hanno regolamentato un maggior tempo di permanenza del minore
con collocazione stabile presso uno dei due genitori e, in
difetto di accordo dei genitori, hanno regolamentato il tempo
di permanenza presso il genitore non collocatario (Tribunale
di Cosenza); altre pronunzie hanno effettuato una distribuzione
ratione materiae di spazi di esclusività nell'assunzione della
responsabilità genitoriale , in relazione alla gestione concreta
di alcune attività del figlio, quali un'attività sportiva
o la partecipazione ad un corso. Si tratta di pronunzie aventi
contenuto diverso ed estremamente variegato, che rappresentano
il frutto dell'applicazione giurisdizionale della legislazione
"per principi generali" adottata dal legislatore nella peculiare
materia in esame.
Comunque
l'interesse del minore è la bussola che deve orientare la
scelta del giudice il quale ben potrà non ratificare un accordo
laddove contrario a tale interesse. Il nucleo centrale della
regolamentazione della vita del minore demandata alla volontà
delle parti o al Giudice resta, comunque, la determinazione
del collocamento del minore in modo stabile presso uno dei
due genitori che, normalmente verrà individuato in quello
ritenuto maggiormente idoneo ai compiti di cura quotidiana
e che normalmente diverrà l'assegnatario della casa coniugale.
Si parla di sfida perché l'affidamento condiviso implica la
necessità da parte dei genitori di coordinarsi e cooperare
per il benessere dei figli con l'obiettivo di stabilire e
sperimentare accordi soddisfacenti per sé e soprattutto per
i figli.
Occorre
considerare che le innovazioni normative non necessariamente
trovano corrispondenza immediata nei comportamenti e negli
atteggiamenti degli attori sociali coinvolti e nei sistemi
di credenze e nelle aspettative che li orientano. Ma l'affidamento
condiviso non può implicare in alcun modo l'incerto e continuo
peregrinare del figlio tra le residenze dei genitori, ma a
tutela delle esigenze di serenità e stabilità affettiva della
prole, implica la determinazione della residenza del minore
e la necessità di garantire al genitore che con il figlio
conviva stabilmente il godimento della casa coniugale.
Facciamo
un passo indietro e rammentiamo che l'art. 11 della legge
sul divorzio, dopo la riforma del 1987, prevedeva la possibilità
di disporre l'affidamento congiunto e l'affidamento alternato,
in luogo dell'affidamento monogenitoriale. Tali possibilità,
previste per i coniugi divorziati, furono estese dalla giurisprudenza
ai coniugi separati. L'affidamento alternato è stato immediatamente
oggetto di forti critiche in quanto ritenuto fonte di instabilità
per il minore. Con l'affidamento alternato i figli vivono
per periodi alterni con l'uno o con l'altro genitore: soluzione
scarsamente praticata perché se i genitori si alternano nella
casa familiare ne risultano sconvolte sia le loro abitudini
che quelle dei figli, per i quali in tal modo l'unico punto
di riferimento costante resta solo l'abitazione (vedasi sentenza
Trib. di Napoli 22 dicembre 1995); infatti nessun esito hanno
avuto i seppur provvisori provvedimenti presidenziali in cui
ad alternarsi nella casa coniugale abitata stabilmente dai
figli erano i genitori separati. Per il Tribunale di Mantova
(11 aprile 1989) se i genitori vivono in case o peggio in
città diverse ne risente l'esigenza a che i figli vivano in
un ambiente stabile.
Per la Cassazione (sentenza n.4936/1991) "qualora uno dei
genitori appartenga ad una minoranza etnica o linguistica
l'esigenza di conservare i relativi valori non può di per
sé giustificare l'affidamento alternato del figlio, occorrendo
fare preminente riferimento alla necessità di assicurargli
uno sviluppo equilibrato". Occorre tenere conto delle esigenze
di stabilità della vita del minore. L'affidamento
alternato viene ritenuto fonte di instabilità di vita tale
da compromettere l'equilibrio del minore. La giurisprudenza
ha più volte sottolineato l'insufficienza della casa familiare
a costituire l'unico punto di riferimento costante dei figli
(Trib. Napoli 22 dicembre 1995 in Famiglia e Diritto 1996
, 459 e segg. - Grimaldi Affid. Cong. Ed alternato tra psicologia
e diritto Dir. Famiglia 1989, 301 e segg.).
Invero
l'affidamento condiviso non può e non deve significare alternanza
paritaria dei figli tra due case. L'affido condiviso non può
realizzarsi in una pari permanenza temporale dei figli presso
ciascun genitore, non significa pari distribuzione di tempi
di permanenza del figlio con l'uno o l'altro genitore, ben
potendo essere la distribuzione temporale asimmetrica. La
pari distribuzione temporale è tipica dell'affidamento alternato;
pur nel limitatissimo uso che ne è stato fatto nel nostro
paese, la forma più sperimentata è stata quella delle settimane
alterne per genitori che hanno residenze relativamente vicine
e per periodi più lunghi per genitori che risiedono a grandi
distanze. Rammentiamo la famosa sentenza del Tribunale di
Messina relativa ad una forma di concessione di affido alternato:
si disponeva che l'unico figlio di una coppia divorziata nel
periodo scolastico stesse con la madre e nel periodo estivo
con il padre: con la madre dal 20 settembre al 9 giugno e
dal 10 giugno al 19 settembre con il padre. Il padre poi aveva
diritto di vedere il figlio 2 pomeriggi a settimana nel periodo
in cui era affidato alla madre e la madre 2 giorni interi
ogni 2 settimane nel periodo in cui era affidato al padre.
Ma così si corre il rischio di trattare il figlio al pari
di un oggetto sballottato qua e là a seconda delle stagioni.
Tale
tipo di affidamento ritengo che abbia l'ulteriore difetto
di creare pericolosi shock di allontanamento nel figlio stesso,
che non fa in tempo ad abituarsi ad un contesto che viene
costretto ad abbandonarlo per un altro. L'affidamento
condiviso non può risolversi in concreto nel mero affidamento
alternato. Quando un bambino sdoppia le sue abitudini perde
gli unici punti di riferimento e difficilmente accetta ruoli
educativi, magari tra loro contrapposti. Da qui la naturale
esigenza di soluzioni bigenitoriali che tendano ad impedire
assolutamente la deportazione geografica e garantiscano regolarità,
stabilità e che il bambino relazioni paritariamente con ambedue
i genitori.
Per
un bimbo il padre e la madre rappresentano un modello imprescindibile.
La celebre psicologa statunitense Dionna Thompson sosteneva
"la guerra contro i padri è in realtà una guerra contro
i bambini; il punto non è semplicemente il diritto dei padri
o delle madri, ma il diritto dei figli di avere due genitori
che si occupino attivamente della loro vita". Ma il diritto
dei figli è il diritto della società: infatti tutti gli studi
ci dimostrano che patologie sociali come l'abbandono scolastico,
la criminalità, il suicidio ed il bullismo sono molto più
probabili e diffusi quando i bambini hanno come punto di riferimento
un solo genitore. I bambini hanno bisogno di entrambi i genitori
e una società bigenitoriale è una società sicuramente più
sana di una in cui i figli crescono avendo relazioni monoparentali.
Affidamento
condiviso vuol dire condividere la genitorialità, ripartendo
tra i genitori le facoltà decisionali ed i relativi obblighi,
tenendo conto delle capacità, delle naturali inclinazioni
e delle aspirazioni dei figli. Lungi dal considerare l'affido
una mera etichetta da apporre sull'atto questo non è possibile
senza l'effettiva condivisione da parte dei genitori di un
accordo programmatico che tenga conto delle capacità, inclinazioni
naturali e aspirazioni dei figli. La condivisione dei compiti
e delle responsabilità genitoriali non può essere data per
scontata, né disposta autoritativamente, non possedendo il
provvedimento giudiziale la taumaturgica capacità di assicurare
il buon esito del regime imposto. È necessario che si prospetti
e si offra alla valutazione del giudice un programma propositivo
di come educare, istruire, curare il figlio e si ipotizzi
come tali compiti ed in quale misura possano continuare ad
essere assolti da ciascun genitore. L'interesse del minore
da ricercare è quello vero, reale, strettamente collegato
alla fattispecie concreta e non quello fumoso, astratto, che
rimane vuota clausola di stile.
Per la Cassazione dominante deve "essere privilegiato l'interesse
esistenziale del minore". Alla luce di questa apertura
normativa alla dimensione della cogenitorialità compito degli
operatori del diritto e degli specialisti del settore è favorire
la cultura dell'affidamento condiviso, curarsi di fornire
percorsi che possano dare consapevolezza del significato della
cogenitorialità, così che i cambiamenti normativi possano
tradursi in cambiamenti culturali e consentire che la dicitura
"affidamento condiviso" non rimanga una mera formula giuridica,
ma si declini in reali modifiche alla prassi d'intervento
a sostegno della genitorialità condivisa. La necessaria collaborazione
tra genitori è un obiettivo quasi impossibile senza una autentica
elaborazione e superamento della frattura coniugale e non
può essere preordinata ed imposta per legge, ma spetta agli
operatori del diritto rendere concreta nell'attività professionale
quotidiana.
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avvocato, membro del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
Separazione
e divorzio: se si rischia di perdere ingiustamente figli e
casa
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