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Ergastolo
ostativo : risposta al procuratore Tinti
riceviamo
e pubblichiamo
LA COMUNITA’ PAPA GIOVANNI XXIII risponde d un articolo del
Procuratore di Torino SULL’ERGASTOLO apparso su Il Fatto Quotidiano
del 27 febbraio 2011:
Noi
siamo dei semplici volontari carcerari, ma il carcere lo conosciamo
bene, perchè ce lo facciamo almeno un giorno tutte le settimane.
Abbiamo un Servizo Carcere e da anni appoggiamo la lotta degli
ergastolani per l’abolizione di questa pena disumana. Già
nel 2007 il nostro fondatore, Don Oreste Benzi, dopo aver
incontrato gli ergastolani di Spoleto, decine e decine di
uomini in carcere ininterrottamente da 20-30 e senza prospettive
di uscire, affermava che questa pena priva di qualsiasi speranza
e prospettiva, risulta crudele e degradante.
Lei dice testualmente: "Ergastolo, “Fine pena mai”,
cosa indegna di uomini civili! Stupidaggini. Le pene detentive,
in Italia, non sono mai quelle che sembrano. 30 anni di prigione,
in concreto, sono circa 8 anni e 7 mesi. Capisco che pensate
sia una balla, ma vi giuro che è proprio così".
Dott. Tinti, noi incontriamo ogni settimana decine e decine
di persone condannate all’ergastolo, senza speranza, ostative
ai benefici penitenziari, persone che sono in carcere dal
1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all’ergastolo
a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale
del padre. Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro
vita in carcere che fuori, persone che l’ ergastolo se lo
vivono sulla propria pelle, giorno dopo giorno, anno dopo
anno, da decenni.
Noi
li incontriamo: sono sempre lì, estate, inverno, Natale e
Pasqua: non escono di giorno, come dice lei e non hanno la
cella del carcere come letto dove rientrare per dormire, ce
l’hanno come tomba. Noi vediamo il tempo scorrere sui loro
volti, settimana dopo settimana, e lasciare solchi profondi.
E non è, come lei sostiene, che non escono perchè hanno piantato
grane, o rompono. No, molti di loro nella riflessione e nella
sofferenza, sono arrivati ad una revisione interiore sugli
errori del passato, hanno studiato, tutto questo nonostante
un sistema carcerario che per le condizioni in cui è ridotto
costringe a beffa l’articolo 27 della Costituzione che sancisce
che le pene devono tendere alla rieducazione.
Dott.
Tinti, lei è una persona esperta e quindi il cittadino comune
che l’ha letta in quell’articolo è autorizzato a pensare che
la sua sia una fonte attendibile, ma allora, se fosse vero
quello che lei afferma, e cioè che con la legge Gozzini tutti
escono al massimo dopo 8 anni e pochi mesi, e perciò lei auspica
l’approvazione di una legge che prevede che gli ergastolani
facciano almeno 15 anni, perché allora in Italia ci sono più
di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di 26 anni di
detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà condizionale?
La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent’anni
di detenzione. Al
31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano oltre 1.500:
quadruplicati negli ultimi sedici anni, mentre la popolazione
“comune” detenuta è “solamente” raddoppiata. Se tutti uscissero,
come sostiene lei, non potremmo certo avere oggi 1.512 condannati
a quella che di fatto invece è una pena di morte mascherata.
Lei
dice ancora: “Dopo 15 anni il condannato può avere la semilibertà:
di giorno va a lavorare e la notte torna in carcere”,
ma lo sa che i dati ufficiali del Ministero della Giustizia
dicono che al 31 dicembre 2010 i detenuti presenti nelle carcere
italiani erano 67.961 e quelli in semilibertà poco più di
900? E di questi solo 29 sono ergastolani? 29 su 1.512, a
fronte di quasi 100 in detenzione da oltre 26 anni: non sembra
anche a lei questo un Paese dove esiste, eccome, la certezza
della pena?
Dott. Tinti, con i suo dati imparziali e irreali fa sembrare
l’ergastolo una pena necessaria, mentre la stessa è stata
abolita da Paesi che noi consideriamo meno civili, Brasile
compreso. Secondo il Sipp sono stati 18 gli ergastolani suicidatisi
nel 2010, ma non vogliano discutere solo a suon di dati: noi
la invitiamo a venire con noi. Venga con noi un giorno ad
incontrare gli ergastolani, noi le proproniamo volti, corpi
ingabbiati e storie vere. Saranno loro a parlare, non i nostri
numeri.
Venga
con noi una giornata, poi riparleremo di ergastolo. Oppure
ci dica qual’è il suo Tribunale che fa scontare un ergastolo
con 8 anni e pochi mesi: avremmo centinaia di detenuti pronti
a trasferirsi. Nella rivista “Ristretti Orizzonti” anno 12,
numero 3 maggio-giugno 2010, pag. 34, e Paolo Canevelli, Presidente
del Tribunale di Sorveglianza di Perugia rilascia questa dichiarazione:
"(...) Per finire, e qui mi allaccio ai progetti di
riforma del Codice penale, non so se i tempi sono maturi,
ma anche una riflessione sull'ergastolo forse bisognerà pure
farla, perché l'ergastolo, è vero che ha all'interno dell'Ordinamento
dei correttivi possibili, con le misure come la liberazione
condizionale e altro, ma ci sono moltissimi detenuti oggi
in Italia che prendono l'ergastolo, tutti per reati ostativi,
e sono praticamente persone condannate a morire in carcere.
Anche su questo, forse, una qualche iniziativa cauta di apertura
credo che vada presa, perché non possiamo, in un sistema costituzionale
che prevede la rieducazione, che prevede il divieto di trattamenti
contrari al senso di umanità, lasciare questa pena perpetua,
che per certe categorie di autori di reato è assolutamente
certa, nel senso che non ci sono spazi possibili per diverse
vie di uscita." (Roma 28 maggio 2010, intervento
al Convegno Carceri 2010: il limite penale ed il senso di
umanità).
Aldo
Moro nelle sue lezione universitarie avvertiva gli studenti,
ma forse anche il legislatore e i politici: "Ricordatevi
che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati:
è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi,
ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale,
che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta,
ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente
alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime
in una pena giusta".
Per
l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Il Responsabile Generale Giovanni Ramonda
 
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