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"INTERNET
FRA LIBERTA' E DIRITTI:
prevenzione delle violazioni e prospettiva forense"
Reati
informatici e responsabilità dell'Ente: una risposta globale
abstract dell'intervento di Jane MORI*
L'utilizzo di Internet, pur rappresentando una “vitale opportunità”
per il sistema economico-sociale, può diventare un possibile “centro
di criminalità” capace di generare notevoli danni a livello globale
senza trivare una risposta adeguata nella normativa, che dovrebbe
essere concordata a livello globale.
Oltre 1 milione di reati informatici vengono commessi, ogni giorno,
nel mondo, con conseguenti danni di immagine, dati persi, tempo
perduto o danni effettivi al sistema. I paesi con i tassi di criminalità
informatica più elevati sono la Cina (85%) e il Sudafrica (84%).
Secondo il Rapporto Norton sulla criminalità informatica 2011,
i Paesi più colpiti sono gli Stati Uniti, con 74 milioni di denunce
e danni diretti per 32 miliardi di dollari, la Cina con danni
diretti per 25 miliardi di dollari, il Brasile, con danni diretti
per 15 miliardi di dollari.
In Italia il danno diretto stimato è di 857 milioni di dollari
(8,5 miliardi indiretti).
Inizialmente
ciascuno Stato aveva propria normativa di riferimento anche se
Convenzioni o Trattati internazionali prevedevano la cooperazione
in campo penale tra alcuni Stati Europei ed extra Europei. Iniziative
di sensibilizzazione per la cooperazione nella lotta alla criminalità
informatica sono state messe in campo dalle Nazioni Unite, dall'OECD,
dall'Unione Europea, dal G8, ecc. Nel frattempo l’evoluzione della
tecnologia digitale ha portato alla convergenza e alla rapida
globalizzazione delle reti informatiche; e’ aumentato il rischio
che le reti informatiche e le informazioni in formato elettronico
possano essere utilizzate per commettere reati, anche se tramite
queste reti è anche possibile conservare e trasferire le prove
connesse a tali reati.
Soltanto il primo luglio 2004 entra in vigore la Convenzione di
Budapest, risultato di quattro anni di lavoro da parte di esperti
non solo del Consiglio d'Europa, ma anche di altre nazioni non
facenti parte dell'Unione Europea (Stati Uniti, Canada, Giappone,
ecc…). Obiettivi della Convenzione sono
- perseguire
una politica comune in campo penale finalizzata alla protezione
della società civile contro la criminalità informatica;
- facilitare
l’individuazione, investigazione e l’esercizio di una azione
repressiva comune;
- avere
incriminazioni omogenee, sanzioni comuni, giurisdizione legittimata
a perseguire e punire questi reati “globali”.
Nel
creare un deterrente per azioni dirette contro la segretezza,
l’integrità e la disponibilità dei dati, dei sistemi e delle reti
informatiche, così come l’uso improprio di questi sistemi, reti
ed informazioni (es. archivi ospedalieri in materia di trasfusioni),
la Convenzione si deve misurare con il difficile compito di
garantire un bilanciamento tra l’interesse per l’azione repressiva
e, da un lato, il rispetto dei diritti umani fondamentali, dall'altro
la necessità di tutelare gli interessi legittimi nell’uso e nello
sviluppo delle tecnologie informatiche.;
Sul
piano del Diritto
Penale Sostanziale, la Convenzione prevede che ogni Paese debba
prevedere e sanzionare i seguenti reati contro la riservatezza,
l’integrità e la disponibilità dei dati e dei sistemi informatici:
- Accesso
illegale ad un sistema informatico;
- Intercettazione
abusiva;
- Attentato
all’integrità dei dati;
- Attentato
all’integrità di un sistema;
-
Abuso di apparecchiature.
-
Falsificazione informatica;
- Frode
informatica.
- Reati
relativi alla pornografia infantile.
- Reati
contro la proprietà intellettuale e diritti collegati.
Sempre sul piano del Diritto Penale Sostanziale, particolare attenzione
viene posta alla responsabilità delle persone giuridiche, in materia
di reati informatici. La Convenzione, nell’ambito della responsabilità
della persona giuridica, chiede agli Stati membri di modulare
il tipo di responsabilità (civile - penale - amministrativa) e
di applicare sanzioni penali o non penali effettive, proporzionate
e dissuasive o altre misure, incluse sanzioni pecuniarie.
I reati hanno infatti per oggetto privilegiato le aziende perchè
il
patrimonio aziendale è dematerializzato, c’è la possibilità di
attaccarlo sia dall’interno che dall’esterno e vi
è criminalità inter-aziendale, economica, concorrenziale, finalizzata
a produrre danno all’azienda (perdita di immagine, perdita di
quote di mercato, sottrazione di clientela, ecc..).
In
quest'ambito la prevenzione è più difficile perchè CAMBIA
LA SCENA DEL CRIMINE: il diaframma costituito dal computer tra
il criminale e la vittima, fa sì che il criminale non sia più
quello abituale, ma una persona comune, stimolata a tenere una
condotta illecita, grazie al presunto anonimato; l'AZIENDA
SPESSO NON COLLABORA: l’azienda spesso decide di non sporgere
denuncia per i reati subiti, per evitare di incorrere in una pubblicità
negativa (inaffidabilità dei sistemi, mancata protezione dei dati
dei propri clienti, ecc..).
La
responsabilità delle imprese, in tema di reati informatici, è
un tema scottante come rivelano i dati ISTAT (Italia 2010): Per
l’informazione e la comunicazione il 95% delle imprese utilizza
il computer; il 93,7% dispone di una connessione ad internet;
il 42,6% del personale utilizza un supporto informatico per lo
svolgimento del proprio lavoro. Le imprese utilizzano molto anche
Internet: l'86,6% per accedere a servizi bancario finanziari on-line;
il 65,5% per acquisire informazioni sui mercati; il 55,3% per
ottenere servizi ed informazioni in formato digitale; il 50,9%
per acquisire servizi post-vendita; il 22,6% per proporre progetti
di formazione on-line. Il 63,2% delle imprese con almeno 10 addetti
scambia elettronicamente informazioni con altre imprese in un
formato che ne consente il trattamento automatico.
Sul
piano della prevenzione dei reati, l' 88,2% delle imprese italiane
adotta misure di sicurezza per evitare la distruzione o corruzione
dei dati a causa di un attacco o di un incidente inaspettato;
il 75,8% delle imprese adotta misure di sicurezza per evitare
la divulgazione di informazioni riservate a seguito di intrusioni
o di incidenti. Tuttavia ciò non è sufficiente:
l'Impresa per prevenire i reati informatici deve adottare una
propria legislazione interna (procedure). Ad oggi, in Italia,
7 imprese su 10 utilizzano metodi di formazione obbligatoria per
il personale e azioni di informazione diffusa; il 64,0% delle
imprese utilizza la misura di sicurezza dell’utilizzo di password
di tipo “forte”; il 41,8% delle imprese esegue il backup dei dati
all’esterno.
Il
problema tuttavia non è solo italiano. Secondo i dati EUROSTAT
(Paesi Europei 2010), il 99% delle grandi imprese europee utilizza
la connessione internet; il 94% delle piccole imprese europee
utilizza la connessione internet; il 40% delle imprese europee
scambia informazioni via internet con altre imprese; il 19% delle
imprese europee scambia informazioni via internet con fornitori
o clienti . Rischi di sicurezza rilevati: il 91% delle imprese
europee adotta misure di sicurezzaper evitare la distruzione o
corruzionedei dati a causa di un attacco o di un incidente inaspettato;
il 79% delle imprese europee adotta misure di sicurezza per evitare
la divulgazione di informazioni riservatea seguito di intrusioni
o di incidente.
L'Italia
ratifica la Convenzione di Budapest con L. 18.3.2008, n. 48 ed
è uno dei primi Paesi ad introdurre una legge organica
in tema di delitti informatici (L. 23.12.1993, n. 547), ma così
non è per la materia della responsabilità delle persone giuridiche,
che prevede il solo Art. 24bis inserito nel corpo del D.Lgs. 231/2001:
“Delitti informatici e trattamento illecito dei dati”. In concreto,
la normativa richiede un maggior sforzo organizzativo agli Enti
non solo per l’estensione delle fattispecie di reato ma per l’esposizione
degli Enti ad una “responsabilità amministrativa” da reato, ovvero
di una “colpa organizzativa”, per non essersi dotati di meccanismi
interni necessari per la prevenzione dei reati informatici.
Anche
altri Paesi sottoscrittori della Convenzione di Budapest si sono
dotati di una normativa, ma il panorama globale risulta frammentario,
oltretutto con rischi di censura in alcuni Paesi che non si uniformano
al diritto internazionale. Ma le dimensioni (numeriche, geografiche
ed economiche) di questa tipologia di reati, le modalità di esecuzione
e la specificità di chi li commette, richiedono nuovi approcci
culturali, tecnologiche e normative per garantire risposte adeguate
ed innovative, riposte che devono essere necessariamente globali,
sebbene si ponga l'interrogativo di chi debbano essere gli autori
delle regole mondiali.
Gli
U.S.A. hanno lanciato un’importante campagna di sensibilizzazione
sul cyber-crime. Determinante è stato in tal senso l’incontro
nel maggio 2011 tra il Primo Ministro David Cameron e il Presidente
Barack Obama. L’International
Cyber Conference a Londra del 7.11.2011 ha raccolto il messaggio
e fissato alcuni importanti principi:
-
il cyber-space dovrebbe essere regolato da norme di comportamento
non impartite dall’alto a livello governativo, ma condivise
con gli stakeholders (veri players) e basate su opportunità,
libertà, innovazione, rispetto dei diritti umani;
-
la cyber security non dovrebbe essere il pretesto per operare
una subdola censura (Primo Ministro David Cameron);
-
i cyber-criminals non sono il vero problema, la condotta online
dei cittadini non dovrebbe essere valutata dall’alto, ma gestita
da politiche governative trasparenti e chiare (Portavoce Hillary
Clinton).
In
definitiva, INTERNET è strumento democratico e pretende un approccio
democratico.
*
avvocato cassazionista e consulente d'impresa.
GLI
ALTRI INTERVENTI ALLA CONFERENZA INTERNET FRA LIBERTA' E DIRITTI
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