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Relatori del convegno MOBBING
E STALKING aspetti penali, procedurali e civili
ABSTRACT
dell'INTERVENTO di Alessandro PALMA*
Foro
di Milano
TITOLO:
"Considerazioni sparse in materia di mobbing: nozione,
interessi e tutele"
Il
Relatore, dopo aver premesso di non essere un giuslavorista,
ha affrontato il tema del mobbing dall'angolo visuale delle
complesse categorie della responsabilità civile. In
particolare, il Relatore si è proposto di indagare, con il
limite del tempo a sua disposizione, se la fattispecie di
mobbing abbia o meno uno spazio autonomo nel nostro sistema
di responsabilità civile e, in caso positivo, se i rimedi
a disposizione dell’operatore di diritto siano sufficienti
o, piuttosto, ne vadano creati altri ad hoc.
Dato
atto che nell’ordinamento nazionale, allo stato, non esiste
una nozione unitaria legislativamente data del mobbing, il
Relatore ha passato in rassegna, con una veloce carrellata,
le fonti legislative che hanno riguardo al tema oggetto di
trattazione (Risoluzione del Parlamento Europeo del 20 settembre
2001; Legge della Regione Lazio del luglio 2002, n. 16 [dichiarata
costituzionalmente illegittima nel 2003 dalla Corte Costituzionale],
etc.).
È
passato, poi, a parlare degli interessi sottesi all’introduzione
dell’istituto giuridico 'mobbing' e ciò per provare ad individuare
il bene che si vuole proteggere con il predetto istituto.
Su
questo punto, è stato osservato che il mobbing, inteso come
fenomeno osservabile in natura, non costituisce certamente
un fenomeno nuovo, ma solo di recente percezione e ciò a seguito
della crescente attenzione attorno alla dimensione relazionale,
psicologica e motivazionale dell'uomo e, in primo luogo, dell'uomo
in quanto lavoratore.
Sempre parlando degli interessi in gioco, il Relatore ha messo
in evidenza che sullo stesso piatto della bilancia - utilizzabile
dall’operatore di diritto per il contemperamento di interessi
- vi è anche l'interesse delle organizzazioni imprenditoriali
intelligenti, in quanto il mobbing costituisce inconfutabilmente
un fattore di inefficienza per l'attività d'impresa.
Partendo da tale constatazione fattuale, il Relatore ha sorpreso
la platea sottolineando come ci si trovi innanzi ad un vero
e proprio paradosso, in quanto l'azienda viene – a vario
titolo – quasi sempre chiamata a rispondere delle conseguenze
di un evento dal quale essa stessa è direttamente e fortemente,
in prima battuta, danneggiata.
La conclusione di questa prima parte del discorso è stata
nel senso che non dovrebbe esserci alcun dubbio sulla rilevanza
giuridica del fenomeno, tanto più che tutelando il mobbizzato
si tutela anche ciò che gli sta attorno: e così, oltre all'impresa
in cui lavora, la sua famiglia (è stato fatto riferimento
al “doppio mobbing” per significare la situazione mortificante
di chi, escluso o emarginato nell'ambiente di lavoro, finisce
con l'essere emarginato anche dalla famiglia che, inizialmente
- almeno si spera - gli dà sostegno).
Individuato
nella dimensione relazionale, psicologica e motivazionale
dell'uomo il bene che principalmente si vuole proteggere contro
il mobbing, il Relatore si è cimentato nella ricerca della
relativa definizione giuridica. E così, partendo dall'alto,
ha fatto riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea (recepita di recente dal Trattato di Lisbona
e divenuta diritto vigente anche per l’Italia), che riconosce
addirittura, all’art. 1, la inviolabilità della dignità umana
e, più avanti, il diritto all’integrità fisica e psichica
del lavoratore; per passare, poi, alla Costituzione
(in particolare, all'art. 2 sui diritti inviolabili dell'uomo,
all'art. 3 sulla pari dignità sociale, all'art. 4 sul diritto
al lavoro, all'art. 32 sulla tutela della salute e all'art.
41 sul divieto per l'iniziativa economica privata di recare
danno, oltre che alla sicurezza e alla libertà, alla dignità
umana); e per arrivare, infine, al Codice civile e,
in particolare, all’art. 2087, che prevede l'obbligo dell'imprenditore
di tutelare non solo l'integrità fisica ma anche la personalità
morale del lavoratore.
Alla luce delle suddette indicazioni, il bene che si intende
proteggere contro il mobbing è stato definito “dignità umana
e professionale” dell'uomo e, in primo luogo, dell’uomo-lavoratore.
Di
particolare interesse, poi, è stato il discorso attinente
alle tutele; discorso incentrato in primo luogo sulla portata
applicativa dell'art. 2087 c.c.. Il Relatore, premettendo
che, per l'applicazione della suddetta norma, a venire in
rilievo è solo il bene protetto (“personalità morale”)
che si assume leso, ha puntualizzato che, se parlare di atti
molesti e vessatori può avere un’indubbia valenza descrittiva
(volta a sintetizzare i tipi di atti che possono avere come
effetto la lesione della dignità del lavoratore), è tutto
da dimostrare che parlare di atti molesti e vessatori abbia
pure una valenza precettiva.
Piuttosto,
ha osservato, occorrerà capire quando si avrà lesione della
personalità morale/dignità e, in tal senso, ha condiviso l'opportunità
di stabilire quando si debba considerare superata la soglia
di un'offesa apprezzabile al bene tutelato “personalità morale”/“dignità”,
salvo dissentire da chi àncora questa soglia alla frequenza
e alla ripetitività nel tempo degli atti vessatori, ovvero
all'intenzionalità delle vessazioni. Ciò perché, ha insistito
il Relatore, applicando l'art. 2087 l'operatore deve guardare
solo al disposto dell'art. 1218 c.c. e, quindi, verificare
se l'imprenditore, di fronte ad un evento di lesione della
personalità morale del lavoratore, abbia eseguito esattamente
o meno la prestazione a suo carico approntando, prima di allora,
quelle “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza
e la tecnica, (erano) necessarie a tutelare lo stesso lavoratore”.
Il
Relatore, dopo aver messo in guardia dal pericolo di scivolare
verso una concezione eccessivamente paternalistica dell'art.
2087, tendente alla creazione di una sorta di responsabilità
oggettiva del datore di lavoro per tutto ciò che accade al
dipendente nel luogo di lavoro, ha tratteggiato le differenze
che si registrano nell’invocare, rispettivamente, la responsabilità
contrattuale e quella extracontrattuale dell’autore della
lesione, soffermandosi su vantaggi e svantaggi per il datore
e per il lavoratore in entrambe le ipotesi.
Ha sottolineato, in particolare, che è nel caso in cui viene
invocata la responsabilità extracontrattuale che la fattispecie
si arricchisce di un nuovo elemento, costituito dall'atto
o fatto illecito, per lo più doloso, che ha determinato la
lesione della personalità morale/dignità del lavoratore: ed
è qui che acquisterebbe rilievo il fatto doloso (ovvero l'intenzionalità
delle vessazioni, intesa come disegno strategico volto ad
espellere o semplicemente isolare o fare del male al lavoratore),
consentendo esso di dare una lettura unitaria alla vicenda
che si pone di volta in volta all'attenzione del giudicante
e, così, di arrivare a qualificare come illecito e a sanzionare
atti o fatti che considerati singolarmente non avrebbero nulla
di illecito.
Ed è qui, sostiene sempre il Relatore, il valore aggiunto
dell’utilizzo del termine mobbing e la conseguente autonomia
che questa fattispecie potrebbe avere; valore aggiunto costituito
dalla possibilità di sanzionare e reprimere condotte di
per sé lecite, quando le stesse siano connotate da un progetto
persecutorio unitario, piuttosto che da frequenza e ripetitività
e diventino, perciò, qualificabili come illecito. Illecito
da qualificarsi come extracontrattuale e senz’altro da perseguire
per provare a coltivare l’ambizione precipua dell’operatore
di diritto di non lasciare vuoti di tutela nell’ordinamento.
Da
ultimo il Relatore ha segnalato l'opportunità di esplorare
il tema del “mobbing” in altri ambiti e, in particolare,
nel diritto commerciale, là dove il mobbing, per così dire,
“societario”, si porrebbe in stretta contiguità con il tema
dell'abuso di maggioranza e dove si potrebbe ipotizzare la
censurabilità di una serie di delibere e, comunque, di atti
posti in essere nell’ambito dell’esplicazione del rapporto
tra soci; atti e delibere di per sé leciti e neppure censurabili
sotto il profilo dell’abuso di maggioranza, ma connotati,
sul presupposto dell'avvenuta lesione della dignità o della
personalità morale - questa volta del socio -, da quel disegno
persecutorio o quella frequenza e ripetitività proprie degli
atti vessatori ed emulativi ampiamente indagati nella materia
del diritto del lavoro.
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