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Osservatorio
: rapporto sulle carceri 2011 - 4
di Antonio Antonuccio*
Secondo l'Ordinamento Penitenziario, il lavoro - uno
dei cinque elementi del trattamento penitenziario - è fondamentale
per una buona e costruttiva permanenza nell'istituto; questo
impegno dell'Amministrazione - come statuito - è un'offerta
trattamentale ineludibile e prima condizione per un vero e
proprio reinserimento sociale. Per far sì che questo si realizzi
occorrono quattro sostanziali basi: la formazione, le opportunità
di lavoro, la sensibilizzazione dell'opinione pubblica e lo
sviluppo di reti di cooperazione tra gli operatori. Anche
in tal senso, oggi permane una fondamentale discrasia tra
il dettato normativo e la quotidiana realtà degli istituti
di pena.
A
fronte dell'aumento del numero dei detenuti è diminuito quello
di coloro che lavorano. La causa è il budget insufficiente
sia per le retribuzioni, sia per coprire i benefici fiscali
previsti dalla c. d. legge Smuraglia. Secondo i dati forniti
dall'Amministrazione, al dicembre 2010 i detenuti lavoranti
erano 14.171, pari al 20,85% dei presenti (67.961), rispetto
ai 14.271 dell'anno precedente, pari al 22,03 dei presenti
(64.791).
Il budget largamente insufficiente assegnato per la loro remunerazione
ha condizionato in modo particolare le attività lavorative
necessarie per la gestione quotidiana dell'istituto penitenziario
(servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato
etc.) incidendo negativamente - come detto in precedenza -
sulla qualità della vita all'interno dei penitenziari. Nel
2010 il budget è stato di 54 milioni, 215 mila 128 Euro, del
12,49% superiore rispetto a quello del 2009, ma tolti gli
oneri per Inail, Inps e Agenzia delle Entrate, la disponibilità
economica per le retribuzioni è scesa a 49 milioni, 965 mila
319 Euro. Per l'intero 2011 il budget complessivo diminuirà,
scendendo a 49 milioni, 664 mila, 207 Euro.
Per quanto riguarda i detenuti lavoranti non alle dipendenze
dell'Amministrazione Penitenziaria, la più volte citata legge
Smuraglia, che definisce le misure di vantaggio per le cooperative
sociali e le imprese che vogliano assumere detenuti e che
aveva aperto prospettive di sicuro interesse per il lavoro
penitenziario, non potrà produrre ulteriori incentivi all'assunzione
di soggetti in stato di reclusione, essendo esaurito - appunto
- il budget a disposizione per la copertura dei benefici fiscali.
Per quanto attiene allo sviluppo delle reti di solidarietà
(imprese solidali), è opportuno continuare ad incentivare
lo sviluppo della collaborazione tra l'Amministrazione Penitenziaria,
la Confcooperative e i Consorzi di Cooperative Sociali, agevolando
protocolli d'intesa per favorire lo sviluppo di opportunità
lavorative per i detenuti (buone le prassi degli istituti
di Padova, Milano Bollate, Torino, Monza e Massa dove è forte
la presenza di imprenditori che hanno assunto un significativo
numero di detenuti per attività lavorative organizzate all'interno
degli istituti).
E'
oltremodo importante per l'Amministrazione Penitenziaria proseguire
negli interventi nel settore delle bonifiche agrarie, per
creare nuove e specifiche realtà agricole in istituti con
le caratteristiche necessarie per ospitare questo tipo di
attività. Sono queste iniziative che spaziano dall'orticoltura
biologica alla frutticoltura in serra, dall'allevamento dei
conigli alla floricoltura, all'itticoltura e all'apicoltura.
Quest'ultimo settore ha potuto contare sui fondi comunitari
per la realizzazione di corsi professionali per circa 200
detenuti.
Per
quanto attiene al servizio della sanità offerto negli
istituti di pena, a tre anni dall'entrata in vigore della
riforma che ha trasferito le competenze dal Ministero della
Giustizia a quello della Salute e, di conseguenza alle regioni,
lo stesso Ionta (Capo del Dipartimento dell'Amministrazione
Penitenziaria) - nell'ambito di un'indagine sulla salute nelle
carceri - ha sottolineato che "… nonostante l'impegno profuso
da parte delle amministrazioni coinvolte, … il livello di
assistenza sanitaria negli istituti penitenziari non ha raggiunto
gli attesi standards di efficacia ed efficienza. Il
Lazio è però una regione in cui le cose vanno abbastanza bene,
abbiamo due strutture, una al Pertini e una vicino Viterbo,
dove i detenuti possono essere seguiti con maggiore attenzione
ed è un sistema che mi sembra utile replicare in altre realtà
locali. …
Ci
sono certo delle situazioni da migliorare ma c'è una sanità
mediamente efficiente senza particolari mancanze". L'operazione
del transito dalla sanità penitenziaria a quella del servizio
sanitario nazionale - in verità - non è infatti ancora perfettamente
riuscita. Sempre secondo Ionta: "Bisognerebbe che ogni regione
organizzasse il servizio sanitario negli istituti penitenziari
in base ai bisogni prevalenti di salute dei detenuti prevedendo
un maggior accesso degli specialisti, potenziando l'assistenza
psichiatrica e istituendo reparti in uno o più istituti del
proprio distretto". Tra
le cause principali del mal funzionamento sanitario c'é l'incapacità
decisionale e il numero dei ricoveri è basso a causa della
già descritta carenza di personale di polizia penitenziaria
(traduzione e piantonamento dei ricoverati). Allo stato, tuttavia,
è inderogabile concludere il processo di transizione delle
competenze e definire - con un impegno formale tra i due ministeri
coinvolti - la capacità organizzativa dell'intero sistema
per arrivare a chiare politiche sanitarie per il carcere.
Da non trascurare - infine - nel novero dei problemi della
questione il fattore degli immigrati. In Italia, negli
ultimi anni, c'è stato un vero e proprio rigurgito di xenofobia,
peraltro - in alcuni momenti - tristemente cavalcato da una
qualche frangia politica, anche con un vero e proprio accanimento.
Gli extracomunitari oggi coprono almeno il 36% della popolazione
carceraria; è questo un dato quasi invariato negli ultimi
tre anni, metà degli stessi ancora in attesa di giudizio.
Tra le cause - non ultima - è la questione della clandestinità,
che non riduce in alcun modo l'immigrazione, ma che riempie
senza limiti le carceri. Un gran numero di questi carcerati
è dentro per reati legati all'uso o alla detenzione di sostanze
stupefacenti.
Quanto
fin qui descritto basta per riflettere sulla necessità di
riaprire il dibattito sul tema e la necessità di ripensare
le pene che ne conseguono e che - talvolta - sembrerebbero
davvero inadeguate, quindi circa la necessità di una riforma
del processo e del sistema sanzionatorio, nonché per la definitiva
rivalutazione delle misure alternative alla detenzione, atteso
la significativa percentuale (0,46% di recidiva) di insuccessi
durante l'esecuzione della stessa misura.
Agli incentivi alle misure alternative alla detenzione e l'introduzione
di nuovi istituti processuali e penali, sono necessari interventi
per la revisione delle norme sulla custodia cautelare, come
per quelle che maggiormente hanno contribuito ad aggravare
il trattamento penale dei tossicodipendenti, dei recidivi
e degli immigrati irregolari.
E' - altresì - inderogabile che si possa mettere mano a leggi
come la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli, che
- alla luce dei fatti - rappresentano la vera origine del
sovraffollamento.
E'
necessario - infine - ripensare l'immaginario che vede il
carcere come unico strumento di sanzione e di prevenzione
per la sicurezza dei cittadini.
"…La
mia priorità sarà il carcere" … Se questa dichiarazione fornita
dal neo Ministro della Giustizia Paola Severino non è demagogia,
"all'orizzonte (forse) c'è un buon sole".
continua
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Coordinatore della Commissione Carcere dell'Osservatorio sulla
Legalità e sui Diritti ONLUS
 
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