Il
diritto minorile
di
avv. Matteo Santini*
Il primo disegno di legge in materia di minori risale al 1909.
Solo nel 1934, venne istituito un Tribunale specializzato
in materia minorile “il Tribunale per i Minorenni”.
Nel 1925 la Società delle Nazioni promulgò la Dichiarazione
dei diritti del fanciullo la quale prevedeva che il minore
dovesse essere messo in grado di svilupparsi dal punto di
vista materiale e spirituale; si affermava il diritto del
minore ad essere nutrito, curato, stimolato, recuperato e
soccorso in caso di bisogno; il diritto di essere messo in
grado di guadagnare e protetto contro ogni sfruttamento. Nel
1948 l'Assemblea Generale dell'ONU promulgò la "Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo" in materia di protezione
dell'infanzia sancendo il diritto di ogni persona ad una educazione
diretta a promuoverne il pieno sviluppo.
Nel
1959, venne approvata dall’ONU la "Dichiarazione dei Diritti
del Fanciullo". Alcuni
importantissimi principi venivano affermati dalla suddetta
dichiarazione tra cui, il diritto del fanciullo a godere di
una speciale protezione e di facilitazioni, in modo da essere
in grado di crescere sano sul piano fisico, intellettuale
e morale, spirituale e sociale, in condizioni di libertà e
dignità. Veniva altresì sancito il diritto ad una alimentazione,
ad un alloggio, a svaghi e a cure mediche adeguate. Particolarmente
significativa è l’affermazione secondo la quale il bambino
ha diritto a crescere sotto le cure e le responsabilità dei
genitori e, in ogni caso in un’atmosfera d'affetto e di sicurezza
materiale e morale.
I
principi affermati dalle Dichiarazioni promulgate dall’ONU
hanno senza dubbio valenza giuridica anche all’interno dei
singoli Stati. In particolare, la Costituzione Italiana sancisce
all'art. 10, comma 1, che "l'ordinamento giuridico italiano
si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute." (principio peraltro ribadito anche dalla sentenza
della Corte Costituzionale del 23 novembre 1967, n. 120).
Successivamente,
nel 1989 veniva approvata la Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia,
ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176. Essa oltre
a contenere una serie di affermazioni di principio, impone
agli Stati membri di attivarsi concretamente affinché al minore
venga data un’assistenza effettiva che tenga conto della sua
condizione di debolezza.
Di
seguito elenchiamo i più importanti diritti sanciti dalla
Convenzione del 1989: il diritto innato alla vita; il diritto
ad un nome; il diritto a conservare l'identità, la nazionalità,
il nome e le relazioni familiari; il diritto a non essere
separato dai genitori, salvo che tale separazione sia nell'interesse
superiore del fanciullo; il diritto a formarsi una propria
opinione; alla libertà di espressione, alla libertà di pensiero,
di coscienza e di religione; il diritto all'educazione; il
diritto al riposo, allo svago ed al gioco; il diritto ad essere
protetto contro lo sfruttamento economico e da qualsiasi tipo
di lavoro rischioso; il diritto ad essere protetto contro
ogni forma di sfruttamento sessuale e violenza sessuale; il
diritto a non essere sottoposto a tortura, o a trattamenti
e punizioni crudeli, inumani o degradanti; il diritto a non
partecipare a conflitti armati se di età tra i quindici e
i diciotto.
Sotto il profilo del diritto interno, la nostra Costituzione
si occupa dei diritti dei minori sia all'art. 2 che riconosce
e garantisce i diritti inviolabili dell'individuo, sia al'art.
30 che sancisce il dovere dei genitori di mantenere, istruire
ed educare i figli sia all'art. 31 che protegge la maternità,
l'infanzia e la gioventù. Il nostro sistema penale prevede
poi una serie di articoli del codice che contemplano figure
di reati che possono essere commessi solo a danno dei minori
(o comunque a danno di soggetti posti in una situazione di
difficoltà e debolezza) quali ad esempio l'abuso di mezzi
di correzione e di disciplina (art. 571 c.p.) la sottrazione
di persone incapaci, la violazione degli obblighi di assistenza
familiare, ecc.
Recentemente
la Corte di Cassazione con sentenza n. 41142 del 2010, in
materia di maltrattamenti in famiglia ha stabilito che per
la sussistenza del reato è sufficiente l'esistenza di un "clima
generalmente instaurato all'interno di una comunità, come
conseguenza di atti di sopraffazione”. Sotto il profilo civilistico
innumerevoli sono le norme che sono state concepite e dettate
in modo specifico per la tutela dei minori. Così come innumerevoli
sono le disposizioni di carattere generico che spiegano gli
effetti anche nei confronti dei minori (soprattutto a tutela
degli stessi).
Possiamo
affermare che l’intero sistema civilistico è improntato sul
principio del favor minoris. Basti pensare la disciplina sull’affidamento
dei figli minori in caso di crisi della coppia, il regime
dell’assegnazione della casa familiare al genitore presso
i quale i figli minori vivono prevalentemente, il diritto
del minore ad intrattenere rapporti con gli ascendenti, ecc.
Ritengo che, nonostante gli sforzi che sono stati compiuti
dal legislatore e dalla giurisprudenza per garantire la massima
tutela possibile al minore (sia in ambito civile che in quello
penale), la normativa debba ancora evolversi nel senso di
attribuire un maggiore peso, soprattutto sotto il profilo
processuale, alla volontà del minore il quale, il più delle
volte, viene considerato come soggetto da tutelare ma il cui
parere e la cui volontà poco influisce sulla decisione del
magistrato; e ciò sul presupposto che il minore viene generalmente
ritenuto incapace di discernere il bene dal male prima dei
12 anni, salvo rari casi in cui il giudice ritenga il minore
sufficientemente maturo per poter essere sentito anche in
età inferiore.
La
legge 54/2006 sull’affidamento condiviso ha previsto l’audizione
del minore nei procedimenti di separazione e divorzio e nei
procedimenti per l’affidamento dei figli naturali. Si tratta
però pur sempre di un’audizione e non di un ascolto. Ascolto
della volontà, delle esigenze e del punto di vista del minore.
Diversamente, riferendosi al termine “audizione” la normativa
ha inteso (o comunque questo è il risultato) attribuire all’attività
di audizione un significato unicamente processuale e burocratico
senza attribuire alcun rilievo alle conseguenze che il giudice
deve trarre dalla suddetta audizione.
In pratica, il Giudice, udito il minore, è libero di decidere
anche in modo difforme rispetto alla volontà espressa dallo
stesso (con l’unica limitazione rappresentata dalla necessità
di indicare i motivi in base ai quali ha deciso di non recepire
la volontà del minore). E’ certamente vero che la volontà
del minore non sempre coincide con il Suo interesse ma è altrettanto
vero che nella maggiore parte dei casi un bambino di 12 anni
è in grado di valutare meglio di un estraneo (seppure adulto)
quali soluzioni soddisfano maggiormente in suoi interessi.
*
esperto di ritto di famiglia e minori
Privacy
e istruttoria nel processo di famiglia
|