Cassazione
su ricusazione del giudice penale : procedimento ne segue
le sorti
di
Annalisa Gasparre*
LE
SEZIONI UNITE SULLA RICUSAZIONE DEL GIUDICE PENALE: LA DECISIONE
EMESSA DAL GIUDICE RICUSATO SEGUE LA SORTE DEL PROCEDIMENTO
DI RICUSAZIONE
Cass. Sez. Un. Sent. n. 23122 27.01.2011 – 09.06.2011 – Pres.
G. M. Cosentino – Rel. M. S. Di Tomassi
La
questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite della Cassazione
da parte della I sezione penale concerneva la determinazione
dell’ “esatta interpretazione da dare al divieto di cui
all’art. 37, comma 2, cod. proc. pen., alla stregua del quale
‘il giudice ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare
sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara
inammissibile o rigetta la ricusazione’ se cioè trattasi di
divieto di carattere assoluto e tale da far luogo ad una nullità
ai sensi dell’articolo 178, comma 1 lett. a) del codice di
rito, ovvero se trattasi di carattere solo relativo ed alternativo,
da ritenere cioè sussistente solo in caso di eventuale rigetto
o di declaratoria d’inammissibilità della dichiarazione di
ricusazione”.
Detto
in altri termini: la pronuncia del giudice ricusato è in ogni
caso nulla o dipende dall’esito del procedimento di ricusazione?
Sul punto si registrava un contrasto giurisprudenziale, richiamato
dall’ordinanza di rimessione alle sezioni unite che può sintetizzarsi
come segue.
Secondo alcune sentenze la decisione emessa in violazione
del divieto deve ritenersi nulla ai sensi dell’art. 37 comma
2 c.p.p., solo se la dichiarazione di ricusazione è accolta;
al contrario, rimane valida se la dichiarazione di ricusazione
è dichiarata inammissibile o rigettata. Secondo un altro filone,
il divieto di cui all’art. 37 c.p.p. è da considerarsi tassativo
e impone di attendere l’esito del giudizio incidentale di
ricusazione, impedendo qualsiasi attività al giudice. La sua
violazione, attenendo alla incapacità del giudice, comporterebbe
nullità.
La
violazione dell’art. 37 c. 2 c.p.p. secondo cui “il giudice
ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza
fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile
o rigetta la ricusazione”, non è accompagnata da alcuna espressa
sanzione di nullità. Occorre pertanto chiedersi se sia affetta
da nullità la decisione che definisce il procedimento assunta
da giudice ricusato nelle more del procedimento di ricusazione,
nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione sia inammissibile
o infondata.
Il Collegio condivide la soluzione maggioritaria che individua
nell’esito del giudizio di ricusazione una causa di validità
o nullità secundum eventum della decisione irritualmente adottata
dal giudice ricusato in pendenza della ricusazione medesima.
In altre parole: l’accoglimento della ricusazione rende invalida
la decisione assunta, di contro, il rigetto o l’inammissibilità
la rendono valida. La
ratio di una simile soluzione è ravvisata nel fatto che –
mancando una specifica sanzione – l’invalidità dell’atto sancita
dalla norma risiede nella necessità di incidere sulla capacità
del singolo giudice “per e nel singolo processo”: per questi
motivi, l’incapacità “non può dipendere dalla mera esistenza
di una denunzia di parte, ma richiede un accertamento ab externo”.
Dopo
aver scolpito i principi e le garanzie costituzionali in materia
di imparzialità, neutralità e naturalità del giudice (artt.
24, 101 e 111 Cost.), il Collegio afferma che “una invalidità
per incapacità da carenza di potere dei provvedimenti decisori
assunti dal giudice ricusato, non può che dipendere dalla
circostanza che dell’imparzialità – omissis – sia effettivamente
accertato il difetto”. Al contrario, fare derivare l’incapacità
del giudice dalla mera esistenza di una ricusazione da parte
dell’interessato determina un ingiustificato sacrificio del
corretto svolgersi del processo, della ragionevole durata
e una deviazione ingiustificata nell’individuazione del giudice
(naturale) precostituito dalla legge.
In definitiva, il divieto previsto dall’art. 37 c. 2 c.p.p.
integra un difetto temporaneo di potere giurisdizionale, limitato
alla pronuncia della sentenza, la cui validità va peraltro
rapportata all’esito del procedimento di ricusazione (appunto:
secundum eventum).
In sintesi: un incisivo stop all’utilizzo di uno strumento
eccezionale quale la ricusazione del giudice, finalizzato
a garantire l’imparzialità del giudice (e l’apparenza della
sua imparzialità) per scopi alieni, cioè per sospendere ogni
processo decisionale di cui sia investito un giudice-persona
fisica non gradito alla parte privata, sospensione che si
pretende legittima quand’anche la censura si riveli poi inammissibile
o infondata nel giudizio sulla ricusazione (di cui sono investiti
giudici-organi diversi).
*
esperta di diritto penale e procedura penale,
membro del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
 
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