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01 giugno 2011
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Efficienza della giustizia civile , richiamo di Draghi . Sara' la volta buona ?
di Giuseppe Siniscalchi*

Come noto ieri, nella Sala Rossa di Palazzo Koch, il Governatore della Banca d'Italia ha presentato la sua relazione. Gli spunti di riflessione sono molteplici e vorrei qui soffermarmi, in particolare, sul tema a me caro costituito dalla giustizia civile nel nostro ordinamento.

Al riguardo il Governatore Draghi ha giustamente sottolineato che “va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari in primo grado supera i 1000 giorni e colloca l'Italia al 157esimo posto su 183 Paesi nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale; l'incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel funzionamento dell'economia, oltre che di ingiustizia. Nostre” (Banca d'Italia) “stime indicano che la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere ad un punto percentuale”.

Si tratta di ulteriore, importante, richiamo sullo stato della giustizia civile nel nostro Paese nella scia di quanto già in passato è stato affermato pure da autorevoli giuristi e non solo, anche in occasione dell'apertura degli anni giudiziari 2009 e 2010 ove già l'allora primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione, dott. V. Carbone, aveva affermato che “non possiamo andare avanti così. Il sistema giustizia in Italia è peggiore di quello di molti Stati africani, come il Gabon, l'Angola, la Guinea ecc.” (il dato è riportato nell'articolo di B. Dalia in data 30 gennaio 2009 dal titolo “Giustizia, Italia agli ultimi posti al mondo per efficienza sistema” nel sito www.ilsole24ore.com). Analoghe preoccupazioni sono state espresse anche dal Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, dott. Vitaliano Esposito.

Nel rapporto Doing business 2008 della World Bank viene sottolineato che “la lentezza dei processi costituisce uno dei principali ostacoli allo sviluppo produttivo dell'Italia, in quanto genera incertezza negli scambi e demotiva gli investitori: su 178 casi analizzati il nostro Paese risulta al 155esimo posto”. Ricordo che già circa vent'anni fa - in occasione dell'entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353 (“provvedimenti urgenti per il processo civile”) - si parlava, in convegno svoltosi presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di “accelerazione del processo civile” nonché di “deflazione del numero di procedimenti” (1).

Dal 1990 sono intervenute ancora numerose modifiche al codice di procedura civile e purtroppo siamo ancora lontani da una soluzione del problema che ha sicura incidenza anche sull'economia nel nostro Paese costituendo sicuramente - l'attuale stato della giustizia civile in Italia - forte deterrente per qualsivoglia imprenditore, pure straniero, per eventuali investimenti con conseguenti ripercussioni sulla crescita del nostro Paese. C'è davvero da augurarsi che anche le recenti, condivisibili, affermazioni del Governatore della Banca d'Italia al riguardo siano da stimolo per cercare di sciogliere un nodo (quello della giustizia civile) che contribuisce a frenare la crescita del nostro Paese.

In tale contesto è, a mio giudizio, necessario guardare al futuro e porsi con spirito assolutamente costruttivo per cercare un auspicabile miglioramento della situazione. Se si pensa che già circa 65 anni fa Francesco Carnelutti nell'articolo “La crisi del diritto” pubblicato in Giurisprudenza Italiana del 1946 lamentava l'inefficienza della giustizia - sottolineando che “la diffusione del decreto legislativo, che ha sostanza di legge e forma di decreto, è il sintomo della crisi giunta al suo parossismo, onde il corso della legislazione sempre più gonfio straripa e gli argini vetusti ne sono travolti” - non è semplice trovare ancora giusti stimoli e coraggio, ma non bisogna certamente essere pessimisti così come non parrebbe opportuno crogiolarsi nella semplice speranza perchè quest'ultima non risolve certamente i problemi essendo però indispensabile al fine di poterli superare.

Non dovrebbe essere particolarmente complicato pensare a qualche innovativa soluzione, almeno per evitare che si creino lungaggini dispendiose solo per la soluzione di questioni di carattere pregiudiziale e/o preliminare che, il più delle volte, non consentono al Giudice o all'Arbitro (in presenza di eventuale clausola compromissoria) una pronunzia nel merito (in senso stretto) della controversia: penso, ad esempio, alle questioni in materia di giurisdizione, competenza, nonché ai profili di inammissibilità e/o improponibilità e/o improcedibilità della domanda giudiziale (in ipotesi in presenza di clausola compromissoria per arbitrato irrituale).

Ad esempio potrebbe pensarsi alla previsione di un procedimento, esperibile nelle fasi iniziali del processo di primo grado o di eventuale procedura arbitrale – con modalità e termini da disciplinarsi – di tipo sommario che si concludesse, in sostanza, con un provvedimento reclamabile e con esclusione della previsione di ricorso ordinario per Cassazione, analogamente a quanto si verifica per i provvedimenti emessi dal Giudice in sede di reclamo avverso provvedimenti cautelari (v. art. 669 terdecies c.p.c.). Una volta risolte le questioni di carattere pregiudiziale e/o preliminare in specifica ipotizzata fase non dovrebbe più esservi il pericolo, dopo molti anni, di ricominciare a trattare lo stesso caso avanti altro Giudice (per effetto, ad esempio, di pronunzia della Corte di Cassazione nel senso di difetto di giurisdizione, o incompetenza o comunque di inammissibilità o improponibilità della domanda giudiziale).

Ovviamente si tratta solo di uno spunto di riflessione per ogni eventuale discussione ed iniziativa non essendo questa la sede per approfondire tale tematica. Parrebbe auspicabile porsi con spirito assolutamente costruttivo in conclamata situazione di inefficienza della giustizia civile all'esito di numerose autorevoli grida d'allarme che sembrano, sino ad oggi, cadute nel vuoto, con grave ripercussione sul nostro Paese che sin dai tempi più remoti ha sempre avuto consolidate, importanti tradizioni forensi e non solo.

Oggi – nell'attuale contesto economico e sociale – diventa fondamentale per le imprese e non ottenere in tempi più rapidi pagamenti e soddisfazione delle loro pretese che fossero conseguenza dell'accoglimento di domande giudiziali e/o arbitrali. Fino a qualche anno fa il malcostume largamente tuttora diffuso nel nostro Paese – dei cronici ritardi nel pagamento di somme di denaro e/o nell'ottenere quanto dovuto – è sempre stato considerato problema grave ma comunque tollerato e non unica causa di situazioni fallimentari.

Oggi il quadro mi pare completamente cambiato ed occorre prenderne atto con preoccupazione e spirito costruttivo: l'impresa che non ricevesse il pagamento o quanto dovuto per un ritardo significativo (ad esempio dai 3 ai 6 mesi) rischierebbe con probabilità molto più ampia che in passato il fallimento, con conseguente drastica e drammatica ripercussione sul livello di occupazione con effetto negativo, a cascata, che finirebbe per abbattersi ancor più pesantemente su tutte la famiglie italiane. Occorrono, a mio giudizio, auspicabili interventi legislativi per realizzare il c.d. “giusto processo” che la Corte Costituzionale, la Convenzione europea ed il recente Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009 considerano imprescindibile per la salvaguardia di diritti fondamentali ed inviolabili della persona.

(1) v., ad esempio, il mio scritto in Corriere Giuridico n. 8/1991, pagg. 927 ss. che richiamo per comodità

* avvocato , componente del Comitato tecnico giuridico dell'Osservatorio

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