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Efficienza
della giustizia civile , richiamo di Draghi . Sara' la volta
buona ?
di
Giuseppe Siniscalchi*
Come
noto ieri, nella Sala Rossa di Palazzo Koch, il Governatore
della Banca d'Italia ha presentato la sua relazione. Gli spunti
di riflessione sono molteplici e vorrei qui soffermarmi, in
particolare, sul tema a me caro costituito dalla giustizia
civile nel nostro ordinamento.
Al
riguardo il Governatore Draghi ha giustamente sottolineato
che “va affrontato alla radice il problema di efficienza
della giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari
in primo grado supera i 1000 giorni e colloca l'Italia al
157esimo posto su 183 Paesi nelle graduatorie stilate dalla
Banca Mondiale; l'incertezza che ne deriva è un fattore potente
di attrito nel funzionamento dell'economia, oltre che di ingiustizia.
Nostre” (Banca d'Italia) “stime indicano che la perdita
annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia
civile potrebbe giungere ad un punto percentuale”.
Si tratta di ulteriore, importante, richiamo sullo stato della
giustizia civile nel nostro Paese nella scia di quanto già
in passato è stato affermato pure da autorevoli giuristi e
non solo, anche in occasione dell'apertura degli anni giudiziari
2009 e 2010 ove già l'allora primo Presidente della Suprema
Corte di Cassazione, dott. V. Carbone, aveva affermato che
“non possiamo andare avanti così. Il sistema giustizia
in Italia è peggiore di quello di molti Stati africani, come
il Gabon, l'Angola, la Guinea ecc.” (il dato è riportato
nell'articolo di B. Dalia in data 30 gennaio 2009 dal titolo
“Giustizia, Italia agli ultimi posti al mondo per efficienza
sistema” nel sito www.ilsole24ore.com). Analoghe
preoccupazioni sono state espresse anche dal Procuratore Generale
presso la Suprema Corte di Cassazione, dott. Vitaliano Esposito.
Nel rapporto Doing business 2008 della World Bank viene sottolineato
che “la lentezza dei processi costituisce uno dei principali
ostacoli allo sviluppo produttivo dell'Italia, in quanto genera
incertezza negli scambi e demotiva gli investitori: su 178
casi analizzati il nostro Paese risulta al 155esimo posto”.
Ricordo che già circa vent'anni fa - in occasione dell'entrata
in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353 (“provvedimenti
urgenti per il processo civile”) - si parlava, in convegno
svoltosi presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano, di “accelerazione del processo civile” nonché di “deflazione
del numero di procedimenti” (1).
Dal 1990 sono intervenute ancora numerose modifiche al codice
di procedura civile e purtroppo siamo ancora lontani da una
soluzione del problema che ha sicura incidenza anche sull'economia
nel nostro Paese costituendo sicuramente - l'attuale stato
della giustizia civile in Italia - forte deterrente per qualsivoglia
imprenditore, pure straniero, per eventuali investimenti con
conseguenti ripercussioni sulla crescita del nostro Paese.
C'è davvero da augurarsi che anche le recenti, condivisibili,
affermazioni del Governatore della Banca d'Italia al riguardo
siano da stimolo per cercare di sciogliere un nodo (quello
della giustizia civile) che contribuisce a frenare la crescita
del nostro Paese.
In tale contesto è, a mio giudizio, necessario guardare al
futuro e porsi con spirito assolutamente costruttivo per cercare
un auspicabile miglioramento della situazione. Se si pensa
che già circa 65 anni fa Francesco Carnelutti nell'articolo
“La crisi del diritto” pubblicato in Giurisprudenza Italiana
del 1946 lamentava l'inefficienza della giustizia - sottolineando
che “la diffusione del decreto legislativo, che ha sostanza
di legge e forma di decreto, è il sintomo della crisi giunta
al suo parossismo, onde il corso della legislazione sempre
più gonfio straripa e gli argini vetusti ne sono travolti”
- non è semplice trovare ancora giusti stimoli e coraggio,
ma non bisogna certamente essere pessimisti così come non
parrebbe opportuno crogiolarsi nella semplice speranza perchè
quest'ultima non risolve certamente i problemi essendo però
indispensabile al fine di poterli superare.
Non
dovrebbe essere particolarmente complicato pensare a qualche
innovativa soluzione, almeno per evitare che si creino lungaggini
dispendiose solo per la soluzione di questioni di carattere
pregiudiziale e/o preliminare che, il più delle volte, non
consentono al Giudice o all'Arbitro (in presenza di eventuale
clausola compromissoria) una pronunzia nel merito (in senso
stretto) della controversia: penso, ad esempio, alle questioni
in materia di giurisdizione, competenza, nonché ai profili
di inammissibilità e/o improponibilità e/o improcedibilità
della domanda giudiziale (in ipotesi in presenza di clausola
compromissoria per arbitrato irrituale).
Ad
esempio potrebbe pensarsi alla previsione di un procedimento,
esperibile nelle fasi iniziali del processo di primo grado
o di eventuale procedura arbitrale – con modalità e termini
da disciplinarsi – di tipo sommario che si concludesse, in
sostanza, con un provvedimento reclamabile e con esclusione
della previsione di ricorso ordinario per Cassazione, analogamente
a quanto si verifica per i provvedimenti emessi dal Giudice
in sede di reclamo avverso provvedimenti cautelari (v. art.
669 terdecies c.p.c.). Una
volta risolte le questioni di carattere pregiudiziale e/o
preliminare in specifica ipotizzata fase non dovrebbe più
esservi il pericolo, dopo molti anni, di ricominciare a trattare
lo stesso caso avanti altro Giudice (per effetto, ad esempio,
di pronunzia della Corte di Cassazione nel senso di difetto
di giurisdizione, o incompetenza o comunque di inammissibilità
o improponibilità della domanda giudiziale).
Ovviamente
si tratta solo di uno spunto di riflessione per ogni eventuale
discussione ed iniziativa non essendo questa la sede per approfondire
tale tematica. Parrebbe auspicabile porsi con spirito assolutamente
costruttivo in conclamata situazione di inefficienza della
giustizia civile all'esito di numerose autorevoli grida d'allarme
che sembrano, sino ad oggi, cadute nel vuoto, con grave ripercussione
sul nostro Paese che sin dai tempi più remoti ha sempre avuto
consolidate, importanti tradizioni forensi e non solo.
Oggi
– nell'attuale contesto economico e sociale – diventa fondamentale
per le imprese e non ottenere in tempi più rapidi pagamenti
e soddisfazione delle loro pretese che fossero conseguenza
dell'accoglimento di domande giudiziali e/o arbitrali. Fino
a qualche anno fa il malcostume largamente tuttora diffuso
nel nostro Paese – dei cronici ritardi nel pagamento di somme
di denaro e/o nell'ottenere quanto dovuto – è sempre stato
considerato problema grave ma comunque tollerato e non unica
causa di situazioni fallimentari.
Oggi
il quadro mi pare completamente cambiato ed occorre prenderne
atto con preoccupazione e spirito costruttivo: l'impresa che
non ricevesse il pagamento o quanto dovuto per un ritardo
significativo (ad esempio dai 3 ai 6 mesi) rischierebbe con
probabilità molto più ampia che in passato il fallimento,
con conseguente drastica e drammatica ripercussione sul livello
di occupazione con effetto negativo, a cascata, che finirebbe
per abbattersi ancor più pesantemente su tutte la famiglie
italiane. Occorrono, a mio giudizio, auspicabili interventi
legislativi per realizzare il c.d. “giusto processo” che la
Corte Costituzionale, la Convenzione europea ed il recente
Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009
considerano imprescindibile per la salvaguardia di diritti
fondamentali ed inviolabili della persona.
(1)
v., ad esempio, il mio scritto in Corriere Giuridico n. 8/1991,
pagg. 927 ss. che richiamo per comodità
*
avvocato , componente del Comitato tecnico giuridico dell'Osservatorio
Dossier
giustizia
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