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14 marzo 2010
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Riforma della Costituzione : restyling , non stravolgimento
di Antonio Antonuccio*

L’attività politica di questi ultimi anni, oltre ad essere stata interessata al cambiamento dell’assetto magistratura/giustizia - necessità “scriteriata e riconducibile all’esigenza del singolo” secondo una fazione; necessità che “misura il grado dell’evoluzione della democrazia” secondo l’altra - è stata impegnata – oltremodo - per sostenere quel processo di cambiamento della Nostra Carta Costituzionale. Secondo gli stessi fautori, tale cambiamento, invocato come panacea per la soluzione dei molteplici mali della Nostra Penisola, non potrà che traghettarci verso “una spiaggia più sicura e una terra più rigogliosa” dove gli italiani troveranno serenità e benessere.

Il dubbio – allo stato - è lecito e pone almeno tre domande: è ipotizzabile che ci sia un collegamento tra la disonestà di alcuni politici, il conflitto di interessi, l’eccessiva burocrazia, la limitata capacità industriale ed imprenditoriale, la disoccupazione, lo scarso senso civico degli italiani, l’evasione fiscale, piuttosto che la sempre immanente delinquenza organizzata associata (ma anche terreno di coltura) al – purtroppo - ancora basso generale livello culturale e la Costituzione vigente, ovvero i problemi del Paese sono di ordine politico, economico e culturale e non dipendono da quanto pensato dai Costituenti e contenuto nella Nostra Carta? Sono, o non sono questi – appena enunciati – soltanto alcuni tra i veri problemi dell'Italia? Per risolverli basta procedere ad una riforma della Costituzione?

Certamente, nulla è per sempre e anche per la Costituzione - per stare al passo con i tempi – è ipotizzabile un adeguamento. Per procedere in tal senso, tuttavia, sarà opportuno, quanto necessario, comprendere ed approfondire (certamente non con questo semplice contributo, che sarà soltanto un tentativo alla sollecitazione) gli aspetti sociologici, storici e politici che hanno portato alla stesura ed alla promulgazione della Costituzione Italiana. Essa è stata ed è lo strumento che ha avuto un ruolo fondamentale per condurci – nel bene, o nel male – a quello che è l’attuale status quo: della crescita sociale ed economica del nostro Paese; della qualità della sua democrazia; della difesa dei diritti delle persone. Tanto - tuttavia, sebbene rappresentazione inequivocabile di propensione alla democrazia - non è sufficiente per evitare legittime critiche per i limitati effetti sulla qualità della politica, ancorché su una reale e concreta raggiunta equità sociale e sulla qualità delle istituzioni, quali atti, opportunità e servizi per la compiutezza della stessa democrazia.

E’ sotto il sole, qualsiasi testata giornalistica, più o meno faziosa lo documenta, quanto la società italiana, la politica, le istituzioni non hanno saputo dare concreta applicazione e compiutezza, se non in una parte, a quanto enunciato con l’art. 3 della Carta, circa la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale. Gli attori in gioco non hanno saputo garantire fino in fondo l’uguaglianza di fronte alla legge e quella delle persone senza distinzione di razza, credo o posizione sociale, nonché il valore del lavoro, quello menzionato nell’art. 1, conditio sine qua non per l’emancipazione e la realizzazione delle persone. Non si può non parlare – sempre in tema di lavoro – di garanzia e continuità, quindi di lotta al precariato lavorativo; l’art. 36 – forse – non stabilisce che la retribuzione deve assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia “una esistenza libera e dignitosa”. Lavoro, uguaglianza tra uomini e donne, libertà personali e di espressione, tutela dell’ambiente sono i diritti riconosciuti nel testo, ma ancora lontani da una vera, pratica e concreta applicazione.

La Costituzione, nondimeno, grazie alla lungimiranza dei Padri Costituenti, appare ancora contemporanea e vitale. E’ un testo che - certamente - ha bisogno di un restyling, ma non di uno stravolgimento. Vanno affrontati - per esempio - temi squisitamente politici come i diritti per gli stranieri e quelli attinenti alla sicurezza, temi laici come i diritti delle coppie di fatto, nonché quello dell’eutanasia.

E’ da affrontare il tema della scuola che - nel tempo, per scriteriate e trasversali scelte politiche – non ha avuto la giusta attenzione che meritava e che merita. Non si può, pertanto, non parlare di diritto allo studio, specie quando – ormai, anche in maniera ostentata – si svilisce quotidianamente il lavoro dei docenti della scuola pubblica, lavoratori sempre più vilipesi e malpagati, tutto questo con il chiaro intento di indirizzare verso l’istruzione privata, con grave pregiudizio e nocumento per chi non ha la possibilità di pagarsela questa benedetta scuola privata. L’art. 34 della nostra Carta lo dice chiaramente: “La scuola è aperta a tutti. … L’istruzione … è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”. Oggi la scuola pubblica è – altresì - accusata di “inculcare” ai giovani valori contrari. Sono forse valori contrari incentivare la ricerca ed il sapere, insegnare il vero significato di democrazia e rispetto delle istituzioni?

Senza ombra di dubbio, è una partita che si fonda su un preciso bisogno: quello di costruire un Paese più equo e armonico, certamente più evoluto e al passo con i nuovi tempi. E’ necessario, pertanto, rafforzare gli strumenti che difendono e garantiscono il valore delle persone, sostenere la ricerca di processi sociali che garantiscano il riconoscimento dei meriti, l’autonomia e l’autorealizzazione degli individui, nonché le auspicate giuste opportunità e possibilità per tutti. Oggi, l’Italia è ancora un paese a più velocità, in cui il retaggio sociale di origine è ancora rappresentazione di disuguaglianze nel riconoscimento e sperequazioni nel trattamento. Una realtà in cui permangono significative le tensioni, ovvero le discrasie e - ancora, anche in misura abnorme - le ingiustizie. E’ un paese in cui il problema del lavoro, soprattutto, della sua qualità, intesa non solo come accezione ecologica, ma anche nella mera sicurezza, deve - quanto mai – campeggiare nell’agenda di ogni politico.

L’Italia è, ancora e purtroppo, un luogo in cui le regole ci sono ma non valgono per tutti e fino in fondo. I fatti di cronaca - lungi dall’entrare in faziosità partitiche - ne sono una pratica evidenza. Il concetto di giustizia assurge così a un nuovo ruolo e significato; diviene - superando ogni forma di demagogia - assunto, caposaldo e valore trasversale per un adeguato processo di miglioramento della società. Essa, la giustizia, diviene lo strumento che deve garantire le regole, la possibilità e la difesa delle capacità, quest’ultima, appunto, la capacità, intesa anche come “ingegno per fare sempre di più e meglio”, parametro naturale unico per una progressione verticale, ma - in generale - gli stessi quali presupposti indispensabili per il vivere in armonia nella società.

E’ la richiesta per rafforzare e migliorare gli strumenti capaci di offrire - evitando derive utopiche - al maggior numero possibile di cittadini di poter godere di auspicate migliori opportunità, quindi un maggiore benessere, la capacità – pertanto - di costruire e assicurare una uguale dignità a tutti. In questo scenario, la delusione può essere tanta e non è possibile non rappresentare - anche in maniera chiara, forte e con indignazione - la critica ai politici e al sistema politico nazionale. Rivolgendosi ai giovani, la delusione per questo sistema, tuttavia, non si deve tradurre in un ritiro dalla volontà di entrare nell’agone politico, ma nell’esigenza di affermare e fondare una nuova politica; bisogna sempre avere chiaro che ogni spazio lasciato libero - il più delle volte - viene occupato da qualcuno che, generalmente, può non essere il migliore. Essa - diversamente - dovrà concretizzarsi con la capacità di comprendere i processi sociali e fornire risposte alle esigenze delle persone che vivono in un’epoca storica e in una società in rapida trasformazione; quello che è successo in questi ultimi pochi anni - in passato - è successo anche in mezzo secolo.

E’ in questa direzione che devono andare le tensioni e le richieste di miglioramento della Costituzione, del suo ruolo guida, quale strumento per rafforzare il nostro Paese, ammodernarlo, per dare solidità alla nostra - ancor giovane - democrazia, alla società e alla politica.

* membro del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio e Coordinatore della Commissione 'Carcere' dell'Osservatorio


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