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Riforma
della giustizia e lotta alla criminalita'
di
Alessandro Balducci*
La settimana scorsa il governo ha “ufficialmente” riconosciuto
che la ‘ndrangheta ha messo le radici al Nord: il ministro
Maroni ha sciolto il Consiglio comunale di Bordighera (Liguria)
per infiltrazione mafiosa. Tutti ricordiamo le polemiche dei
Leghisti contro Roberto Saviano che, nel corso di “Vieni via
con me”, aveva “osato” parlare della ‘ndrangheta al Nord e
dell’intervento “riparatore” del ministro Maroni, nel corso
della stessa trasmissione, per rivendicare i meriti del governo
in fatto di lotta alla criminalita’ mafiosa, mentre diversi
politici della maggioranza ed alcuni alti funzionari pubblici
negavano addirittura l’esistenza di una “questione mafia”
al settentrione.
Adesso
possiamo trarre le dovute conclusioni e stabilire chi aveva
ragione e chi no. Magra soddisfazione, certo, constatare quanto
quelle denuncie e quegli allarmi fossero giustificati. Ma
in questa amara constatazione c’e’, o almeno ci dovrebbe essere,
una speranza alimentata da un ragionamento molto semplice:
per affrontare un problema e risolverlo e’ necessario almeno
riconoscerne l’esistenza e cominciare ad analizzarlo. Senza
questa condizione preliminare non si va avanti.
Possiamo
allora dire che sia fondata questa speranza alla luce di quanto
sta accadendo? Possiamo pensare che l’esecutivo e le forze
politiche di maggioranza, ma anche quelle principali dell’opposizione,
siano arrivati a maturare quella consapevolezza della gravita’
del fenomeno mafioso e dell’infiltrazione delle mafie nel
tessuto sociale ed economico (proprio di questi giorni sono
le allarmate dichiarazione del governatore di Bankitalia,
Draghi) tali da indurre finalmente governo e Parlamento ad
attrezzarsi coi necessari strumenti giuridici? Purtroppo sembra
proprio di no.
In
questi giorni il Consiglio dei ministri ha approvato la proposta
di riforma della giustizia definita “epocale” dal premier
(che risulta essere indagato da quel potere dello Stato, la
Magistratura, che verra’ profondamente modificato dalla riforma).
Ha ragione infatti il vice presidente del Csm, Vietti: la
riforma presentata dal governo - che prevede un iter parlamentare
lungo visto che andra’ a toccare anche diversi articoli della
Costituzione - non e’ in realta’ una riforma della giustizia,
ma una “riforma della Magistratura”. Al solito, per affrontare
un problema bisogna prima conoscerlo ed e’ bene quindi che
le cose siano chiamate col loro vero nome, altrimenti si fa
confusione e, a tal scopo, l’intervista di Vietti, concessa
ad un quotidiano di rilevanza nazionale, aiuta molto a fare
chiarezza.
Mi
permetto quindi di citare le parole del vice presidente del
Csm che, rispondendo alla domanda della giornalista, dichiara:
“Infine, l'obbligatorietà dell'azione penale da parte del
pm e la disponibilità della polizia giudiziaria non vengono
contraddetti, ma si consente al legislatore ordinario di rimodularli".
E poi ancora: “Il rischio è di mettere nelle mani delle maggioranze
del momento la declinazione concreta di alcuni principi fondamentali
posti a garanzia dell'uguaglianza dei cittadini e della parità
di trattamento davanti alla giurisdizione, con il conseguente
affievolirsi di una netta separazione dei poteri".
Per
entrare piu’ in dettaglio, bastera’ ricordare che nella proposta
di riforma del governo, viene modificato, tra gli altri, l’art.
112 della Costituzione che attualmente recita: “Il pubblico
ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”, mentre
nella modifica proposta diventa: "L'ufficio del Pubblico ministero
ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri
stabiliti dalla legge (ordinaria)".
Non
ci vuole molta fantasia per capire le conseguenze nefaste
e tragiche di questa presunta “riforma epocale” alla luce
dei comportamenti e dagli esempi fin qui dimostrati dall’attuale
classe politica: governo e Parlamento, salvo lodevoli eccezioni,
hanno finto di non accorgersi dell’assalto della ‘ndrangheta
alle altre regioni – a agli altri paesi europei ed extra-europei
- e, anzi, hanno impiegato il tempo a denigrare e dileggiare
quei pochi giornalisti ed onesti funzionari che avevano “osato”
parlare di queste cose; una classe politica intollerante verso
qualsiasi controllo di legalita’ esercitato dai magistrati,
anche in presenza di accuse particolarmente gravi ed infamanti
come la collusione e la complicita’ con le organizzazioni
criminali (valga, come esempio, il caso dell’on. Cosentino)
che ci ha bombardato per anni sulla pericolosita’ degli zingari
e dei clandestini come se l’Italia fosse invasa da orde di
terroristi, di stupratori o di rapinatori provenienti dai
campi nomadi o dal mare.
Succedera’
che un ceto politico caratterizzato da un cosi’ elevato tasso
di incoscienza, nonche’ da una bassissima tendenza all’osservanza
delle leggi e al buon comportamento pubblico e privato, dovrebbe
dire – se la riforma dovesse essere approvata - alla magistratura
(ridotta ormai ad un simulacro) quali reati dovranno essere
perseguiti… Avremo magistrati impegnati 365 giorni all’anno
a perseguire delinquentelli di mezza tacca mentre i grandi
criminali mafiosi ed i ladri di stato protagonisti di tante
scorrerie nelle tasche dei contribuenti, potranno continuare
a saccheggiare impunemente le risorse pubbliche.
Il 12 marzo si sono tenute in numerose citta’ italiane diverse
iniziative e manifestazioni per difendere la Carta Fondamentale,
contro gli stravolgimenti dei Principii costituzionali secondo
le “mode” politiche del momento. Non che la Costituzione sia
immodificabile in linea di principio, pero’ le modifiche dovrebbero
andare nel senso di progressivo consolidamento dello stato
di diritto e verso l’ampliamento della partecipazione popolare
alle decisioni politiche. E dovrebbero essere, proprio perche’
si va a toccare il complesso sistema di pesi e contrappesi
che regola la comune convivenza, il piu’ possibile condivise
e non imposte a colpi di voti di fiducia.
Per
la prima volta dobbiamo registrare una positiva convergenza
su questo obiettivo di forze politiche molto diverse tra loro
come cultura e storia: pensiamo alla partecipazione, alla
manifestazione di Roma, di diversi esponenti di Futuro e liberta’,
oltre alla presenza di esponenti delle forze politiche tradizionali
di sinistra e liberali. Solo un nuovo spirito di condivisione
di regole che coinvolga persone e comunita’ di differenti
convinzioni puo’ ridare speranza al Paese, cosi’ come la Costituzione
elaborata dai padri fondatori diversi tra loro per convinzione
e concezione politica, alla fine di una sanguinosa guerra
ha permesso e guidato, nel bene e nel male, la crescita e
lo sviluppo dell’Italia.
*
Coordinatore della Commissione 'Cittadinanza e Costituzione'
dell'Osservatorio
 
Dossier
mafia e antimafia
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