Il
delitto di Perugia in America
di
Claudio Giusti*
Mi
è stato chiesto come si sarebbe svolto il processo di Perugia
se i fatti fossero accaduti in America.
Provo
a rispondere facendo due ipotesi e inizio togliendo di mezzo
la polemica sulla polizia scientifica e i forensic labs: ribadendo
che gli americani farebbero meglio a guardare in casa loro,
dove una quantità di laboratori di polizia sono stati investiti
da furiose polemiche e inchieste che hanno riempito le pagine
dei giornali. Mi limito a ricordare che il laboratorio dello
Houston Police Department è stato chiuso d’autorità. Fra le
molte ragioni quella che ci pioveva dentro, come del resto
pioveva in quello di Dallas. In quelle due contee hanno avuto
fatto più del 10% delle esecuzioni americane e lo stato della
scienza forense texana (vedi il caso di Cameron Todd Willingham)
è così penoso da avere indotto il Parlamento del Texas a istituire
una commissione d’inchiesta.
Tornando
a Perugia, iniziamo notando che il sistema giudiziario americano
è completamente diverso dal nostro (come lo è dagli altri
sistemi di common law) ed è basato sull’assoluta libertà d’azione
di cui dispone il District Attorney. E’ il Procuratore che
decide chi incriminare e per quali reati ed è sempre il DA
che decide se patteggiare e in che termini. Questa incondizionata
autonomia consente una pressione enorme sugli accusati e produce
una totale arbitrarietà nell’imposizione della pena. La Procura
ha il completo controllo della situazione e decide se chiedere
o meno la pena di morte (magari dopo essersi consultata con
la famiglia della vittima) o se utilizzarne la minaccia per
ottenere un patteggiamento.
In Europa lo chiamiamo torturare la gente, ma in America accade
spesso che le cose vadano così: ”Sei in prigione da due anni
in attesa del processo quando si presenta un tizio che dice:
- Se ti dichiari colpevole questa è la condanna e fra due
anni sei fuori, ma, se ti ostini a proclamarti innocente,
fra un anno c’è il processo e se vinciamo noi ti ammazziamo
- Voi cosa fareste?” Questo immenso potere consente di patteggiare
il 70% delle condanne per omicidio e il 96% di quelle per
i felonies (crimini che prevedono una pena superiore all’anno).
In definitiva il processo americano è una specie in via d’estinzione,
visto che 15 milioni di arresti si riducono a 100.000 processi.
Nei
casi di omicidio con più complici la funzione del Procuratore
è stata paragonata a quella di un regista che assegna le parti
in una recita teatrale. Il paragone è calzante, non tanto
perché è lui che decide tutto, quanto perché gli americani
spezzettano il processo in tanti procedimenti quanti sono
gli imputati, ognuno dei quali avrà il suo dibattimento. In
ognuno di questi la Procura si sente libera di presentare
alle giurie una versione dei fatti completamente diversa dalle
altre, come di costringere un imputato, in cambio del patteggiamento,
a fornire la testimonianza adatta alla sua parte. (I casi
paradigmatici sono quelli di Jesse DeWayne Jacobs e di Napoleon
Beazley)
Questa recita è allestita a beneficio di un pubblico esiguo
ma scelto: i dodici giurati, le loro fobie e pregiudizi: con
il vantaggio che il loro gradimento non deve essere motivato,
perché essi non devono spiegare le ragioni per cui accettano
le tesi di una parte e non quelle dell’altra. I giurati decidono
all’unanimità se l’imputato è colpevole o non colpevole del
reato ascrittogli, ma non spiegano il ragionamento che li
porta a tale conclusione. Nel processo americano (in cui non
c’è la parte civile) vince chi inizia con gli opening statements
più facilmente comprensibili e conclude con le arringhe (closing
arguments) che raccontano una storia semplice da capire e
ricordare.
Quello che convince una giuria non è la solidità delle prove,
ma la coerenza del racconto. Se la storia che le viene esposta
funziona sotto l’aspetto narrativo è difficile che la giuria
vada poi a vedere se ci sono prove sufficienti della colpevolezza
dell’imputato. Solo così si spiegano tante condanne a morte
o alla prigione: la giuria ha gradito di più il racconto che
le ha fatto l’Accusa. Più che un processo un premio letterario.
In America, i tre di Perugia sarebbero passibili di pena capitale,
ma ben difficilmente questa sarebbe chiesta per tutti e gli
scenari possibili erano almeno due. Nella prima sceneggiatura,
che chiameremo “Impicca il negro”, la parte principale è assegnata
all’imputato di colore, per il quale si chiede la pena di
morte. Al ragazzo bianco sarà invece data la parte del complice
pentito che, in cambio di una condanna all’ergastolo, fornisce
alla giuria una versione concordata con l’Accusa. La ragazza
bianca, in questa versione della recita, se la caverebbe con
poco o nulla; l’importante è che si atteggi a vittima delle
circostanze.
La seconda sceneggiatura è ben più intrigante e originale
della prima e ha per titolo “Morte alla strega”. In essa la
parte principale è assegnata alla ragazza (che i tabloid inglesi
chiamano Foxy Knoxy), mentre i due maschi reciteranno quella
dei poveri coglioni irretiti dalla dark lady. La bionda dallo
sguardo di ghiaccio sarà dipinta come una perversa mangiatrice
di uomini che, nel suo delirio di onnipotenza, non si ferma
davanti a nulla. Una sadica pervertita che merita la morte.
Queste
sono ovviamente le mie fantasie di studioso, ma occorre tenere
presente che la realtà supera sempre la fantasia. Non per
nulla a Washington (lo Stato di Amanda Knox) un serial killer
ha patteggiato 48 omicidi.
Ricordo
infine che in America l’appello non è un diritto previsto
dalla Costituzione e che i nostri ragazzotti, non essendo
stati condannati a morte, non avrebbero nemmeno goduto del
beneficio della revisione formale del verbale del processo
da parte della locale Corte Suprema.
P.S. Credo sia doveroso ricordare che, al contrario di quanto
affermato da una rumorosa propaganda pseudo-garantista, giudici
e procuratori americani sono assolutamente immuni da cause
civili prodotte dalle decisioni prese nell’esercizio delle
loro funzioni. Possono essere perseguiti per via amministrativa
e penale, ma NON possono essere citati in un giudizio civile.
*
membro del Comitato scientifico e coordinatore della Commissione
"Pena di morte" dell'Osservatorio
Dossier
giustizia USA
Dossier
pena di morte
|