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Giovani
e violenza : non tutto e' perduto
riceviamo
e pubblichiamo
Sono
stato invitato a parlare in una scuola, da un giovane che
qualche tempo fa ha svolto opera di volontariato nella Comunità
Casa del Giovane, per partecipare a un dibattito sul tema
della violenza e della giustizia, sul disagio che incancrenisce
la società intera.
In un momento così atomizzato dalle incurie educative, occorre
davvero incontrarsi e discutere, soprattutto parlare e ascoltare,
e ancora dapprima ascoltare e poi parlare, senza lesinare
attenzione all’educazione che scaturisce dal confronto, educazione
alla pazienza, educazione al rispetto altrui, educazione alla
propria passione e fede, che non può permettersi di ammaccare
né emarginare alcuno, solo perché meno numeroso o rumoroso.
Il mondo dei giovani adulti non è poi così chiuso e concluso,
neanche sono vittime sacrificali di un assolutismo che non
c’è più, piuttosto nel chiedere aiuto agli altri, c’è tutta
la volontà a leggere bene ogni riga del libro della vita,
scorrerne le pagine, soffermandosi sulle pause, tratteggiando
una nuova punteggiatura. Quanto accade “normalmente”, nelle
strade, nelle case, nelle scuole, più o meno consensualmente,
è il risultato di un andazzo che non può essere licenziato
come qualcosa di sconosciuto, per cui ogni volta rimaniamo
sorpresi, poi tramortiti, dalle umiliazioni, dalle offese,
dalle minacce, anormalità che rumina normalità.
Educare non è una strategia da imparare in fretta, per fare
saltare il banco, quello della convivenza civile, della legalità,
della giustizia, più o meno intesa malamente dal mondo adulto,
figuriamoci da chi si beffa dell’autorità e delle regole condivise
perché adolescente. Non so se mi è stato chiesto di interloquire
sul disvalore della violenza per il mio ruolo nella Comunità
Casa del Giovane, o per la mia storia personale, o per quanto
sta attraversando le linee mediane del nostro paese, ciò che
importa è questa voglia di parlarne, di scambiare opinioni,
questa capacità dei ragazzi di non rimanere imprigionati in
una “suggestione”, una rappresentazione così falsata dal presente
da negare accesso al futuro, il loro futuro.
Questa
emergenza educativa non è altro che la conseguenza di una
cultura di ciò che si è diventati, del rispondere alla mancanza
di una ragione adeguata di vivere ( sopravvivere ), con l’atteggiamento
di chiuderci per stanchezza, e poi reagire sconsideratamente
come educatori-formatori.
Non è semplice discutere di violenza, di questa ricerca di
equità e di equilibrio della rendicontazione, è meno oneroso
ridurre i giovani a individui arrendevoli, confusi, additandoli
sbrigativamente per quelli del tutto e subito, senza mai passare
ai raggi x i nostri comportamenti nei loro riguardi. Parlare
di violenza, di disagio giovanile, di droga, di carcere, può
significare non solamente vincere un pregiudizio, la propria
inadeguatezza, la durezza di corrispondere all’eroe di turno,
spesso negativo e quasi sempre adulto, che insegna a liberarsi
dall’insopportabilità del limite, della regola, della rinuncia,
attraverso la violenza e i comportamenti devianti.
Forse
con questo incontro qualcuno riuscirà a consegnare ai propri
coetanei il peso di una giustizia che è rigetto della violenza,
e darà a me, dinosauro adulto, la speranza che non tutto è
perduto.
Vincenzo
Andraous
 
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