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Corte
diritti condanna la Russia per violazioni in Cecenia
di
Gabriella Mira Marq
La scorsa settimana la Corte europea dei diritti dell'uomo
ha reso note due sentenze di condanna riguardanti la Russia
per violazione dei diritti dei Ceceni, nessuna dei quali e'
definitiva. Entrambi i casi hanno riguardato le affermazioni
dei ricorrenti che i loro parenti erano stati rapiti dai militari
russi in Cecenia. Essi hanno inoltre lamentato che l'autorità
nazionale non era riuscita a condurre un'indagine efficace
sulle loro accuse.
In
un primo caso, due uomini di età compresa tra 20 e 29 sono
stati rapiti dalle loro case il 24 novembre 2002 da circa
12 uomini armati mascherati. Gli uomini sono entrati nei loro
cortili richiedendo i documenti di identita' e poi portandoli
via. Entrambi i veicoli avevano segni distintivi, come ad
esempio graffi su un lato e l'antenna, e un panno bianco sostituiva
i finestrini rotti. Pochi minuti dopo, i parenti di Abu-Sayd
e Selim inseguivano i veicoli in auto. Si fermarono solo dopo
un tecnico dell'ufficio del comandante militare usci' da uno
dei veicoli e disse loro che i veicoli appartenevano al Dipartimento
degli Interni del distretto di Urus-Martan in Cecenia e che,
se avessero continuato a seguirli rischiavano la fucilazione.
Il giorno seguente, il capo del dipartimento ha detto ai ricorrenti
che aveva contattato quelli che avevano rapito e Sayd Abu
Selim e aveva chiesto di non usare la forza contro di loro.
Non c'e' stata alcuna notizia di Abu Selim o Sayd da quel
momento, nonostante ripetute richieste dei ricorrenti a vari
organismi. Le indagini penali sulla loro scomparsa, che finora
sonoo durate oltre sette anni, non hanno prodotto risultati
tangibili.
La
Corte ha riconosciuto le seguenti violazioni della Convenzione
a carico della Russia: Violazione dell'articolo 2 (diritto
alla vita), dell'articolo 3 (trattamento disumano o degradante),
dell'articolo 5 (detenzione segreta), dell'articolo 13 (diritto
ad un ricorso effettivo), in combinato disposto con l'articolo
2.
Nel
caso invece di quattro cittadini russi parenti stretti di
Artur Akhmatkhanov, che la mattina del 2 aprile 2003, a detta
di alcuni vicini, dopo una sparatoria accanto ad un ex dispensario
era stato caricato con un sacchetto di plastica sulla testa
su un veicolo allontanatosi poi verso la citta'. Nel pomeriggio
dello stesso giorno, alcuni investigatori si recarono fino
al magazzino medico per raccogliere campioni di sangue e una
cartuccia, apparentemente per un esame medico-legale. Due
giorni dopo, e' tata aperta un'inchiesta sulla scomparsa di
Artur, ma via via e' emerso che le prove erano sparite e l'inchiesta
era ad un punto morto. Una lettera del febbraio 2007 del padre
di Artur al Procuratore della Repubblica, per chiedere informazioni
sullo stato di avanzamento delle indagini, non ha ricevuto
alcuna risposta. Il governo russo ha sostenuto che l'inchiesta
e' stata sospesa e ripresa piu' volte per la mancata individuazione
degli autori ed era ancora in corso, ma nonostante le richieste
specifiche da parte della Corte europea, il governo non ha
rivelato l'intero contenuto del procedimento penale, sostenendo
che un tale passo era incompatibile con la legislazione nazionale.
La
Corte ha riconosciuto le seguenti violazioni della Convenzione
a carico della Russia: Violazione dell'articolo 2 (diritto
alla vita), dell'articolo 3, dell'articolo 5 (detenzione segreta),
dell'articolo 13 (diritto ad un ricorso effettivo), in combinato
disposto con l'articolo 2. La Corte ha ritenuto che i parenti
degli uomini scomparsi aveva fornito una descrizione coerente
dei rapimenti. In entrambi i casi la Corte ha constatato che
vi era stata ulteriori violazioni dell'articolo 2, a causa
del fallimento delle autorita' nello svolgere indagini efficaci
sulle circostanze della scomparsa.
La
Corte ha inoltre stabilito che la madre di Sayd-Selim, i genitori
di Abu, così come i genitori, sorella e moglie di Artur, aveva
sofferto disagio e di angoscia a causa della scomparsa dei
loro parenti stretti e la loro incapacità di trovare quello
che era successo a loro. Il modo in cui tali ricorrenti denunce
era stato trattato dalle autorita' doveva essere considerato
un trattamento inumano, in violazione dell'articolo 3. Inoltre,
la Corte ha ritenuto che i tre giovani erano in detenzione
segreta, senza alcuna delle garanzie di cui all'articolo 5,
che costituiva una violazione particolarmente grave del diritto
alla liberta' e alla sicurezza.
La
Corte ha infine rilevato che, come le indagini penali relative
alla scomparsa e le uccisioni dei parenti dei ricorrenti era
stata inefficace e l'efficacia di qualsiasi altro rimedio
che avrebbe potuto sussistere era stata pertanto minato, per
cui lo Stato non aveva adempiuto l'obbligo di cui all'articolo
13. Di conseguenza vi era stata una violazione dell'articolo
13, in combinato disposto con l'articolo 2 in entrambi i casi.
Sia
nel primo che nel secondo caso, la Corte ha concessoai parenti
il danno patrimoniale e i danni non patrimoniali.
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