Aspiranti
giornalisti : strada sempre piu' in salita
di
Rita Guma*
Oggi
non e' indispensabile laurearsi in materia o passare l'esame
di professionista per accedere alla professione di giornalista,
ma basta un diploma qualsiasi (legge 69/1963) e operare due
anni presso una redazione con rapporto di collaborazione retribuito
producendo nei due anni precendenti alla richiesta d'iscrizione
un certo numero di articoli (da 24 fino a 90, a seconda della
periodicita' della testata e a seconda dell'Ordine regionale
di competenza) (NOTA 1).
Certo
e' un metodo che espone a molti problemi, per il fatto che
in quel periodo si e' totalmente in balia della testata, che
se non paga si perdono non solo i compensi, ma anche la validita'
della documentazione (ma non ci si puo' ribellare altrimenti
si perde la collaborazione e - perdendo la continuita' - si
perde tutto il pregresso ai fini dell'iscrizione all'Ordine).
Ma
il vero grave problema sono gli alti importi della retribuzione
richiesta da molti Ordini per la validita' del periodo di
"tirocinio", il che comporta il fatto che le redazioni tendano
a rifiutare la collaborazione a persone che non siano parenti
di un VIP. Prova ne sia una ricerca dell'Ordine dei giornalisti
del 18 maggio 2010 dal titolo "Smascheriamo gli editori",
che presenta un quadro nero della retribuzione media dei giornalisti
sulle grandi e medie testate italiane: le retribuzioni (lorde)
dei giornalisti in genere si aggirano sui 2,5-10 euro a notizia
oppure ad articolo (eccetto che per alcune testate nazionali,
con 30-50 euro), mentre per l'accesso alla professione gli
Ordini regionali dei giornalisti impongono una retribuzione
minima di 25 euro per la notizia, 60 per l'articolo (NOTA
2), cioe' quanto stabilito dal tariffario nazionale dei giornalisti
gia' iscritti all'Ordine.
Questo
significa che i giornali - pur pagando ai giornalisti iscritti
agli Albi cifre risibili - dovrebbero essere disponibili a
pagare 10 o 20 volte tanto i semplici aspiranti giornalisti.
E non per un articolo (che potrebbe essere uno scoop particolare),
ma per i 24-90 articoli richiesti in un biennio. Appare evidente
che o la norma e' fatta per impedire alla quasi totalita'
dei cittadini di iscriversi agli Ordini, oppure che chi riesce
ad iscriversi e' amico o parente del direttore, dell'editore
o di un politico o altro personaggio importante. Solo in questi
casi e' pensabile che le redazioni accettino di compensare
con 60 euro un lavoro che ad un giornalista professionista
pagherebbero mediamente un decimo o un ventesimo di tale cifra.
Il problema delle retribuzioni e' tanto attuale che qualche
giorni fa l'Ordine dei giornalisti rendeva nota l'esistenza
di alcune proposte di legge "per promuovere l’equità retributiva
nel lavoro giornalistico", alla Camera e al Senato. Uno dei
parlamentari denunciava con scandalo i "dati della vergogna"
contenuti nella ricerca fatta dall’Ordine. Ma
che i dati siano una vergogna lo diciamo anche qui, con riferimento
tuttavia non ai giornalisti gia' iscritti, ma ai requisiti
richiesti dall'Ordine per l'iscrizione agli Albi dei giornalisti.
E non e' pensabile che gli Ordini non lo sappiano, sia perche'
sono essi stessi fatti da giornalisti, sia per via della ufficializzazione
dei risultati della ricerca di cui sopra.
Tuttavia
ad oggi - almeno teoricamente - qualsiasi cittadino diplomato
potrebbe divenire giornalista, mentre la legge di riforma
che l'Ordine dei Giornalisti sta cercando di far approvare
lo impedira', consentendolo solo a chi ha fatto un preciso
corso di studi universitari riconosciuti dall'Ordine (NOTA
3). Questo significa anche che per 5 anni (cioe' fino alla
laurea) ci saranno pochissimi nuovi giornalisti e che i giornalisti
che verranno infine fuori dal cilindro saranno specializzati
solo in giornalismo, e difficilmente si avra' un avvocato-giornalista,
un tecnico-giornalista, un economista-giornalista e meno che
mai un diplomato-giornalista. Tutti gravi danni, a mio avviso,
per la professione e l'informazione.
La motivazione che cosi' ci sara' maggiore deontologia e maggiore
preparazione e' inconsistente, dato che moltissimi giornalisti
di vecchia data perfettamente al corrente della deontologia
l'hanno piu' volte bellamente ignorata e che questa non si
impara, ma si decide di rispettare o ignorare in base al proprio
codice morale (e anche in base al numero degli interventi
disciplinari degli Ordini). Per la preparazione, invece, basta
considerare che una laurea in giornalismo non offrira' certo
competenze su tutto lo scibile umano - non essendo una superlaurea
per supereroi - il che significa che tali giornalisti trasmetteranno
ogni informazione ricevuta da 'esperti' e non ci saranno giornalisti
esperti in grado di confutarla o vagliarla con competenza.
E se il controllo di tali scuole sara' preso da qualcuno orientato
politicamente? Si potrebbero avere insegnamenti e selezioni
dirottate in un senso ben determinato. Ma, cio' che piu' ci
interessa, cosa ne sara' dello spirito della norma, che mirava
a garantire ad ogni cittadino con una preparazione di base
accettabile la possibilita' di divenire giornalista, per la
piena attuazione della liberta' di parola e la reale completezza
dell'informazione?
A
questa obiezione l'Ordine nazionale, nella presentazione della
riforma per l'accesso alla professione, risponde che occorre
"distinguere tra l'informazione e altre libere manifestazioni,
come le opinioni e più in generale ogni tipo di espressione.
L'informazione, in regime democratico, non soltanto è un diritto,
ma anche un dovere. Del diritto sono titolari sia i giornalisti
(libertà di stampa) sia i cittadini tutti (diritto di essere
informati); il dovere, invece, è in capo ai soli giornalisti,
come esplicita la legge Gonella all'art. 2. Dire dunque che
l'informazione la fanno i giornalisti, ed essi soltanto, lungi
dal configurare una esclusione o una limitazione di diritti
di tutti, rappresenta invece una garanzia democratica; e soprattutto
non viola in alcun modo l'art. 21 della Carta Costituzionale,
dove si riconosce a tutti il diritto 'di manifestare liberamente
il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione'. In concreto, non potrebbe, e non è riservata
ai soli iscritti all'Ordine la facoltà di scrivere sui giornali
o esprimersi con altri mezzi che ad essi si possono assimilare".
Ma
non e' vero, perche' se un cittadino normale scrivesse ogni
giorno (come in un blog) od ogni settimana un articolo come
quello che ho scritto qui (per forza di cose comprendente
informazioni per motivare le proprie critiche) potrebbe essere
tacciato di fare un periodico (le cui caratteristiche sono
la periodicita' ed il fatto di pubblicare informazioni) senza
averne il diritto in quanto non giornalista. Quindi, delle
due l'una, o i normali cittadini dovrebbero parlare 'una tantum'
o omettere ogni informazione dai loro articoli (quindi parlare
del nulla) oppure potrebbero essere accusati dei reati di
stampa clandestina ed esercizio abusivo della professione.
A meno - beninteso - di non prendersi una (magari seconda
o terza) laurea in giornalismo.
L'alternativa - qualora passasse la riforma - consisterebbe
nell'ottenere ospitalita' per le proprie riflessioni su una
testata registrata, eventualita' rarissima per persone e organizzazioni
normali (soprattutto per persone critiche) che non abbiano
i giusti agganci.
Come
sopra, insomma, sempre 'in onore' dell'art. 21 della Costituzione.
(NOTA
1) Legge n. 69/1963:
Art 1. (...) Sono pubblicisti coloro che svolgono attività
giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano
altre professioni o impieghi. (...)
Art 35. Per l'iscrizione all'elenco dei pubblicisti la domanda
deve essere corredata oltre che dai documenti di cui ai numeri
1), 2) e 4) del primo comma dell'art. 31 (*), anche dai giornali
e periodici contenenti scritti a firma del richiedente, e
da certificati dei direttori delle pubblicazioni, che comprovino
l'attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno
due anni.
(*) estratto dell'atto di nascita; 2) certificato di residenza;
4) attestazione di versamento della tassa di concessione governativa,
nella misura prevista dalle disposizioni vigenti per le iscrizioni
negli Albi professionali).
DPR
n. 115/1965 e successive modificazioni:
Art. 34 Ai fini dell'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti,
la documentazione prevista dall'art. 35 della legge deve contenere
elementi circa l'effettivo svolgimento dell'attività giornalistica
nell'ultimo biennio. (...) Il Consiglio regionale o interregionale
può richiedere gli ulteriori elementi che riterrà opportuni
in merito all'esercizio dell'attività giornalistica da parte
degli interessati.
(NOTA 2) Ad es:
L'Ordine dei giornalisti della Sicilia chiede nel biennio
attestazioni di pagamento per almeno 1000 euro per 60/90 articoli
(16 euro ad articolo)
L'Ordine dei giornalisti del Piemonte si rifa' al tariffario
nazionale dei giornalisti, dove per i piccoli giornali e'
previsto un compenso di 25 euro per le notizie brevi e 60
per gli articoli, e richiede un totale di almeno 1.600 euro
nel biennio
Per l'Ordine dei giornalisti del Lazio la retribuzione deve
essere di minimo 5.000 euro lordi nel biennio per 80 articoli
(62,5 euro ad articolo!).
(NOTA
3) La riforma dell'accesso alla professione di giornalista
prevede un canale di accesso unico attraverso:
a) una fase di formazione preliminare coincidente con la laurea
(laurea triennale se ci riferisce al nuovo ordinamento oggi
in vigore) conseguita nelle università italiane e nelle università
estere i cui stati riconoscano la reciprocità.
b) una seconda fase di specializzazione, di due anni, da realizzare
in forme diverse, e cioè:
1) laurea magistrale in giornalismo che conduca all'esame
professionale
2) master specifico riconosciuto dall'Ordine dei giornalisti
3) scuole di giornalismo collegate ad una struttura universitaria.
Per un periodo transitorio straordinario di cinque anni gli
editori potranno continuare ad usufruire della chiamata diretta
in redazione di giovani laureati, ma esclusivamente con il
contratto di praticantato, da accompagnare con un percorso
di formazione stabilito e verificato dall'Ordine dei giornalisti.
.
*
presidente nazionale dell'Osservatorio sulla
legalita' e sui diritti Onlus
 
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