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14 luglio 2010
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Fondazioni : ma che roba e' ?
di Rodolfo Roselli*

Ingenuamente abbiamo sempre pensato che le fondazioni fossero organizzazioni dedite al mecenatismo, alla sponsorizzazione temporanea di eventi o a fini benefici, ma ci siamo sbagliati perché non abbiano tenuto conto che anche sulle fondazioni ha messo le mani la politica. Da qualche tempo in Italia stanno nascendo fondazioni legate a politici che sono stati eletti con il voto dei cittadini e sostenuti dal finanziamento pubblico. Per molti elettori questi organismi sono oggetti misteriosi dei quali si ha difficoltà a capire la loro vera funzione.

Ufficialmente vengono spiegate come derivate dalla cultura politica tedesca. Infatti nella Repubblica Federale ciascuno dei tre principali partiti ha una fondazione che svolge soprattutto attività di studio, ricerca e riflessione politica. Sono in sostanza dei pensatoi di supporto ai partiti. Ma da noi le cose sono molto diverse, non fanno capo al partito, ma ad una persona, e sono una diretta conseguenza del declino del partito politico tradizionale e svolgono una importante funzione economica perché da una parte traggono vantaggio dai benefici fiscali riservati dalla legge sulle fondazioni, e dall'altra parte sono uno strumento per consentire anche il finanziamento privato dei partiti, in aggiunta a quello pubblico.

Il finanziamento pubblico era stato creato per evitare che le spese politiche fossero coperte da privati e quindi condizionassero la politica, con le fondazioni tutto questo è stato furbescamente aggirato e quindi i partiti possono contare anche su cospicui fondi privati. In sostanza i partiti sono stati sostituiti dalle fondazioni, cioè da entità private che sono create da gruppi misti di politici, finanzieri e personaggi molto facoltosi, al di fuori dei partiti che, con il pretesto di svolgere attività sociali e culturali, raccolgono finanziamenti da banche e da multinazionali.

Da tempo queste fondazioni esistono negli Stati Uniti, dove in pratica non esistono i partiti Democratico e Repubblicano come da noi intesi, ma ci sono decine di fondazioni che raccolgono fondi miliardari per loro, da aziende e grandi finanzieri, che poi si mobilitano per influenzare in modo determinante sia le elezioni sia i provvedimenti legislativi importanti. Ma negli Stati Uniti non esiste il finanziamento pubblico e tanto meno i rimborsi elettorali e quindi il tutto è logico (e comunque ci sono regole ferree sui limiti delle donazioni e sulla pubblicita' alle stesse, e ulteriori ne sono state introdotte di recente, ndr).

Da noi invece è un modo delle elites politiche e finanziarie di non dare nell'occhio, dichiarando di occuparsi di scopi culturali, di promuovere nuove idee e di cause sociali, per le quali impegnano e pagano lautamente anche professori e studiosi, e questi ultimi, con il loro autorevole parere di parte, forniscono credibilità alle idee, ma in realtà sono lobby nelle quali lavorano in modo indiretto anche i politici, i finanzieri, le dinastie economiche e i top managers, ed è in quelle sedi che si decidono le cose da fare, per poi trasferirle in proposte politiche.

Questi contatti ci sono sempre stati, ma le fondazioni li hanno istituzionalizzati e i finanziamenti che passano per le fondazioni sono milionari, sono alla base del potere e vengono considerati, da chi li distribuisce, dei vantaggiosi investimenti che facilitano gli affari delle grandi aziende. Del resto nessuno dà niente per nulla. In questo modo i politici non hanno più una base di potere nel partito e nelle sue correnti, ma la posseggono nelle fondazioni, con il vantaggio di non discutere ed incontrarsi con i militanti di base, e tanto meno con gli elettori, ma con eredi di famiglie miliardarie e con i banchieri.

In Italia il primo che le ha lanciate è stato Massimo D'Alema con la sua fondazione Italianieuropei finanziata, tra gli altri, dalla British American Tobacco e dalla Philip Morris. Non è da meno Gianfranco Fini, con la sua fondazione Fare Futuro, finanziata anche da Jacopo Biondi Santi, il re del vino, ed erede degli inventori del Brunello. Ma nel libro paga della British American Tobacco, tanto per non sbagliare, vi sono anche la Fondazione Formica di Marco Follini e la Magna Carta di Gaetano Quagliarello oltre ai finanziamenti dei petrolieri Moratti e Garrone. Vini, fumo e petrolio. Ma anche acciai, telefoni, gomme e assicurazioni, energia e tv, banche e compagnie elettriche, cemento e auto, cliniche e medicinali, senza trascurare finanza e armamenti. Dietro al ruolo crescente delle fondazioni c'è il meglio dell'economia. In queste sedi non prevale solo la qualità delle idee ma anche la forza degli sponsor che le propongono, in effetti non prevalgono le buone idee ma i buoni patrimoni.

Una cifra precisa che permette di far parte dei finanziatori non esiste, ma le prefetture che vigilano sulle fondazioni riconosciute, se non esercitano controlli sulla loro gestione finanziaria almeno su questo sono severe: la dote deve essere credibile. Di solito si parte dai 50 mila euro per arrivare anche oltre il milione. Soldi che vanno immobilizzati in investimenti sicuri e non possono essere utilizzati per le attività correnti. E qui si entra in una zona d'ombra, dove si aggirano le vecchie leggi sul finanziamento dei partiti, e dove vengono reperite le risorse necessarie ai partiti per i loro convegni, riviste e centri studi e probabilmente per gestire il voto di scambio. Dunque i fondi ministeriali, surrogato delle sovvenzioni pubbliche ai movimenti politici, sono solo degli specchietti per le allodole per far credere agli ingenui dell'indipendenza della politica dalla pesante ingerenza aziendale.

Alle fondazioni ricorrono un po' tutte le parti, e oltre a quelle già citate, anche la Fondazione Nuova Italia di Gianni Alemanno, che da quest'anno si è anche attrezzata per incassare le donazioni Irpef del 5 per mille. Per il resto puntano sui contributi degli associati e sugli assegni dei grandi donatori. Ma tracciare un identikit degli sponsor, che mettano mano al portafogli per i patrimoni o per le spese, non è facile. Le fondazioni non hanno infatti alcun obbligo a rendere pubblici bilanci e fonti di finanziamento, e quindi è assai complicato capire le attività delle fondazioni, ma di alcune è stato possibile reperire informazioni storicamente più illuminanti. Il fatto di avere bilanci segreti è esattamente il contrario di quanto la democrazia vorrebbe nei partiti politici, ma è proprio per questo che sono nate le fondazioni politiche.

La già citata Italianieuropei fu costituita nel 1999 da Giuliano Amato e da Massimo D'Alema, in quel momento Presidente del Consiglio, e dal costruttore Alfio Marchini, dal presidente della Lega cooperative Ivano Barberini e dal consulente aziendale Leonello Giuseppe Clementi. Dotazione iniziale un miliardo di lire fornito da una nutrita lista di sostenitori: 200 milioni di lire li offrì la Cooperaiva Estense, 100 l'Associazione Nazionale Cooperative e la Lega Coop di Modena e altre aziende. Tra i privati, con cifre intorno ai 50 milioni spiccano l'industriale Claudio Cavazza, gli stessi Clementi e Marchini, mentre 1 milione ciascuno hanno versato Amato e Barberini. Con il ritorno di Amato al governo, venne nominato presidente della fondazione D'Alema che, comunque, non ci ha mai messo una lira, a differenza di altri noti benefattori che rimpinguarono successivamente la dotazione patrimoniale con offerte fino a 80 mila euro. Tra loro, la Romed di Carlo De Benedetti, la Fiat Geva di Gianni Agnelli, la Wate Management (discariche), e un gruppo di aziende farmaceutiche della famiglia Angelucci) e altri imprenditori.

La Fondazione Fare Futuro nasce invece nel 2007 grazie a Fini, Adolfo Urso e Ferruccio Ferranti, un manager ora indagato a Bari per una storia di appalti sanitari. Patrimonio iniziale: un milione di euro, 930 mila dei quali versati da un comitato. Tra i promotori, c'è chi continua a versare ogni anno fino a 20 mila euro: Emilio Cremona, presidente di Assofond, la federazione delle fonderie; Lia Viviani, titolare dell'omonima casa editrice; gli imprenditori metallurgici Michele Mazzucconi e Giancarlo Ongis e Sergio Vittadello, della Intercantieri. Seguono, oltre a Biondi Santi, personaggi come il sociologo Sabino Acquaviva, l'avvocato Nicolò Amato, l'attore e deputato Luca Barbareschi, la presentatrice Rita Dalla Chiesa, la cantante Cecilia Gasdia.

Natali nobili anche per Magna Carta, varata nel 2004 su impulso di Marcello Pera, allora presidente del Senato. Motore operativo è da sempre stato Gaetano Quagliariello, che è stato anche il primo presidente. Tra i fondatori, Giuseppe Calderisi (parlamentare di Fi), Giuseppe Morbidelli (professore di diritto alla Sapienza) e soprattutto la Erg petroli della famiglia Garrone, la Fondiaria di Ligresti e la Nuova Editoriale, una srl di Firenze. Ciascuno ha versato 100mila euro ai quali si aggiungono più tardi identiche cifre da Mediaset, Gianmarco Moratti con la Secofin Holding, Acqua Pia Antica Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone e British American Tobacco, il cui precedente amministratore delegato Francesco Valli è l'attuale presidente di Magna carta. Tra i donatori compare anche il nome del sen. Pdl Filippo Piccone, indagato a Pescara per la compravendita di candidature.

Nel maggio 1996 nasce la Fondazione Liberal di Adornato: 200 milioni di lire di patrimonio versati da Diego Della Valle, il già noto Alfio Marchini, Vittorio Merloni e Marco Tronchetti Provera e Cesare Romiti. Altra fondazione è Medidea, varata nel 2008 da Giuseppe Pisanu, ex ministro dell'Interno e ora presidente dell'Antimafia, con il figlio Angelo e a Massimo Pini, stretto collaboratore di Ligresti. Insieme a Ben Ammar, alleato storico di Berlusconi.

Le fondazioni sono diventate macchine complesse e costose e le loro spese spaziano in ogni settore ove la politica possa avere poi dei ritorni elettorali. Non importano i temi trattati, ma devono tutti essere stimolanti per il pubblico e invogliarlo a partecipare a convegni, acquistare libri e giornali, finanziare manifestazioni locali etc. Per esempio Italianieuropei riesce ad avere un fatturato di circa un milione anno, una sede romana che costa 7000 euro mensili, e altre due sono a Milano e Napoli (in coabitazione con la Fondazione Mezzogiorno Europa, voluta da Giorgio Napolitano), ha un sito Internet, produce libri, i quaderni e la rivista, oltre alla nutrita agenda di convegni.

Ma per affrontare queste spese le fondazioni si affidano al mercato, trasformandosi non più in pensatoi, ma in vere e proprie aziende che vendono pubblicità sulle loro riviste: pacchetti da 30 mila euro acquistati tra gli altri da Allianz, Sisal, MPS, Banco di Roma, Sky, Enel, Eni, Telecom, Rai, Novartis etc., in piena concorrenza con le aziende editoriali dei quotidiani, pubblicità che - data la loro diffusione molto limitata - lascia molti dubbi sull'essere una vera pubblicità.

Ottengono contributi per i gruppi di lavoro, come quello sulla sanità animato dal senatore Ignazio Marino. Poi ci sono i convegni ordinati su commissione, come la British Tobacco che, sborsando 20 mila euro, ne ha chiesto uno sui danni del fumo minorile. Infine, altri proventi arrivano proponendosi come consulenti per feste e festival, come quello della Salute di Viareggio che ha fruttato 100 mila euro.

A ben vedere il vorticoso giro di denaro ben poco ha a che fare con eventuali centri studi, supporto a proposte innovative, ma invece è centrato sulla gestione e al successo di nuove correnti di partito che, tenendo conto dei livelli dei personaggi promotori, possono più facilmente usufruire di ulteriori finanziamenti statali, pronti ad avvantaggiarsi di nuove norme legislative, penetrare nel tessuto dell'opinione pubblica anche in settori commerciali che normalmente dovrebbero essere di competenza di aziende specializzate e che in questo modo vengono marginalizzate.

Fa sorridere l'enfasi data alla riduzione dei contributi elettorali ai partiti, che da una parte non pregiudicheranno la loro attività e dall'altra, tramite le fondazioni, possono recuperare e accentuare i finanziamenti privati in modo tale che i partiti diverranno sempre di più delle filiali aziendali. Dunque le fondazioni, creando una stretta alleanza monetaria tra forze politiche e lobby imprenditoriali, consentono ai grandi imprenditori di entrare nella "stanza dei bottoni" aggirando il Parlamento, gli attivisti di partito e anche lo stesso elettorato che, ignaro di tutto questo, crede di essere un attore della politica della nazione e invece né è un triste burattino.

* intervento su Radio Gamma 5 del 14.07.2010 e su Challenger TV satellitare Sky 922 ogni giorno dal lunedì al venerdì

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