Sedia
elettrica e ago letale
di
Claudio Giusti*
Venerdì
prossimo fucilano un tizio nello Utah.
La
cosa sta suscitando clamore e discussioni, come accade ormai
solo per le rarissime esecuzioni con la sedia elettrica (non
più di una all’anno negli ultimi dieci anni). Al contrario
è un fatto alquanto straordinario che un’esecuzione con l’iniezione
letale attiri l’attenzione dell’opinione pubblica (se non
per qualche malaugurato accidente) ed esca dai ristretti circoli
abolizionisti, come sta accadendo per David Powell (che ammazzano
martedì).
Lui
è del 1951 e ha passato gli ultimi 32 anni nel braccio della
morte. Non è un fatto straordinario, sono più di cento quelli
come lui. Comunque sembra che agli americani ripugnino gli
strumenti che hanno utilizzato tanto a lungo e questo nonostante
le varie Yellow Mama e Old Sparky abbiano onestamente cotto
vivo un buon quarto dei 20.000 uccisi dalla giustizia americana
dal 1608 (sempre se non consideriamo i 10.000 linciaggi) mentre
fu proprio la fucilazione che riaprì le danze il 17 gennaio
1977, quando Gary Gilmore si consegnò volontariamente al boia
dello Utah, inaugurando la new and improved american death
penalty.
Il
difetto di codesti obsoleti sistemi di morte è che attirano
troppo l’attenzione e questa è una delle molte contraddizioni
della pena capitale statunitense perché, se uccidete la gente,
dovreste farlo sapere. Le fiamme e gli spari, per non parlare
delle impiccagioni che nessuno sa più fare e delle antiecologiche
camere a gas, sono stati sostituiti dall’igenizzazione dell’ago
avvelenato. Così la morte è stata sterilizzata, banalizzate
e le coscienze sono state anestetizzate.
La
sedia elettrica è stata il secondo tentativo, in ordine di
tempo, di umanizzare il patibolo, almeno per chi guarda. Iniziarono
i francesi al tempo della rivoluzione introducendo la ghigliottina
e fu lo stesso re a proporre che il taglio della lama fosse
posto di traverso, in modo da migliorarne l’efficacia. Qualche
tempo dopo ci vollero lo stesso tre colpi per staccargli la
regale capoccia. La ghigliottina fu considerata un grande
passo in avanti perché sostituiva i vecchi feroci supplizi:
ruota, rogo, squartamento, mazzolata, eccetera. (non c’era
la tv) La stessa impiccagione era atroce. Il boia legava un
capo della corda attorno al collo del condannato e lo tirava
su per una scala appoggiata al patibolo (una sorta di porta
da calcio), fissava l’altro capo e poi lo buttava giù, salendogli
sulle spalle per spezzargli le vertebre cervicali (atlante
ed epistrofeo). Poi, vivo o morto che fosse, il poveretto
era squartato e i pezzi appesi alle porte della città (poi
si domandavano perché c’erano le epidemie).
La ghigliottina non ha mai superato di molto i confini geografici
francesi, ma di parecchio quelli ideologici: lo Stato della
chiesa la utilizzò con entusiasmo. Più fortunata è stata la
globalizzazione dell’iniezione letale, con la Cina in prima
fila. Qui però conta il trapianto degli organi estratti ai
condannati che a Taiwan fanno da trent’anni senza che questo
susciti particolari problemi.
Gli
inglesi invece sono sempre rimasti affezionati al “long drop”.
Se avete visto l’inizio del film “Quella sporca dozzina” sapete
di cosa parlo: il condannato incappucciato, la botola che
si apre, il corpo che precipita. Però questa impiccagione
richiede un boia ben addestrato (un artista direbbe Duff).
Perché la lunghezza della corda non deve essere solamente
proporzionata al peso del condannato, ma anche alla sua struttura
fisica. Se la corda risulta troppo corta bisogna andare sotto
al palco e tirarlo per i piedi, mentre se è troppo lunga si
rischia la decapitazione che ha il difetto di inondare di
sangue gli astanti.
Un
paio di disastri del genere convinsero le autorità di New
York, nel 1888, a cercare aiuto nella tecnologia. Chiesero
a un elettricista di costruire un marchingegno che desse la
morte istantanea e costui si rivolse a Edison. L’inventore
era contrario alla pena di morte ma voleva danneggiare il
suo concorrente Westinghouse che patrocinava l’elettrificazione
dell’America con la corrente alternata, mentre Edison aveva
interessi in quella continua. La prima è molto più pericolosa
della seconda, ma notevolmente più facile da distribuire e,
in effetti, fu quella che vinse la gara: in tutti i sensi.
Edison procurò un alternatore di seconda mano al tecnico che
stava costruendo la sedia elettrica, mentre Westinghouse,
contrario a Edison se non alla pena di morte, passava denaro
a Kemmler: il primo destinato a fare da cavia. La
Corte Suprema federale (In Re Kemmler) non trovò nulla da
ridire sul nuovo attrezzo di morte e la prima “electrocution”
ebbe luogo il 6 agosto del 1890.
I condannati ricevono una scarica a 2.200 volt con un forte
amperaggio, poi la tensione viene abbassata, come gli ampere,
e poi di nuovo portata a 2.200 volt e si ripete due o tre
volte. Poi si deve attendere che il corpo si raffreddi per
stabilire il decesso. Se non è morto si ricomincia. A volte
i condannati prendono fuoco, come l’innocente Tafero, in altre
occasioni si strozzano nel loro stesso sangue come “Ciccio”
Davis o restano vivi come Francis nel 1946 (poi irrevocabilmente
cotto l’anno successivo con la benedizione della Corte Suprema).
Il neonazista Leuchter che si guadagnava da vivere costruendo
patiboli ha paragonato l’effetto della sedia elettrica a quella
del forno a microonde e deve essere stata la puzza di carne
bruciata a convincere quasi tutti gli stati a passare all’iniezione
letale.
Il primo a proporla fu l’allora governatore della California
Ronald Regan che, da esperto allevatore di cavalli, propose
il colpo di pistola o l’iniezione. Fu un vero peccato che
il colpo di pistola fosse immediatamente scartato perché,
nella sua brutalità, quel sistema di morte sovietico aveva
degli aspetti positivi. Il condannato era tenuto all’oscuro
di tutto e, il giorno dell’esecuzione, gli si faceva credere
che veniva trasferito nel carcere del tribunale per un appello.
Il boia, vestito da poliziotto, gli si metteva dietro e gli
sparava un colpo alla testa all’improvviso e poi uno di grazia.
Sempre meglio dell’incubo giapponese.
I condannati nipponici non conoscono la data della loro esecuzione,
però sanno che il boia può arrivare in qualsiasi momento senza
preavviso. Questa attesa quotidiana dura decenni. Il Giappone
si ammanta di ipocrita riservatezza e solo da poco si degna
di pubblicare la lista di chi è stato impiccato. Prima ci
volevano giorni per conoscere il numero e i nomi degli uccisi.
L’iniezione letale non è una passeggiata. Bisogna trovare
una vena e, come sa ogni donatore di sangue, non sempre le
cose filano lisce. Spesso occorrono parecchi tentativi e la
collaborazione del condannato per trovare la vena in cui inserire
l’ago. [Antonio saresti così gentile da stringere il pugno?]
In caso di bisogno il medico, se c’è, apre l’inguine del condannato
per inserirvi un catetere. Una storia che può durare anche
ore, fino al recente assurdo di Romel Broom, riportato in
cella dopo 18 tentativi e tre ore di intenso lavoro. A volte
il condannato è costretto ad attendere a lungo, con gli aghi
nel collo, che una qualche corte decida il suo destino e non
è raro che si debba smontare tutto per ricominciare dopo un’ora,
un giorno o una settimana.
Tutto
questo non è mostrato al pubblico che interviene solo a cose
fatte. Nemmeno gli viene mostrato come si impedisce che la
perdita di controllo degli sfinteri rovini l’effetto “sala
operatoria”. La macelleria vera ha però inizio quando nel
condannato arriva la successione di tre sostanze mortali.
In Ohio hanno cambiato, ora li uccidono con una overdose di
Pentotal e tengono di riserva un paio di intramuscolari. La
sedia elettrica e la siringa si sono incontrate in Florida.
Crocifiggere
Thomas Harrison Provenzano? La Corte Suprema della Florida
si è sempre coerentemente rifiutata di considerare la cottura
(alla fiamma o al sangue) un sistema di morte “crudele”, ma
i politici del posto avevano paura che, dopo le fiamme che
avevano avvolto Pedro Medina e il sangue che aveva strozzato
“Ciccio” Davis, lo facesse un giudice federale. Se fosse accaduto
si sarebbero trovati senza un sistema di morte di ricambio,
così decisero di passare alla siringa avvelenata.
Purtroppo il primo condannato disponibile era Thomas Provenzano,
un pazzo furioso che si credeva Gesù e per il quale era in
corso una disputa legale. Il tema del contendere non era se
Provenzano fosse pazzo, ma se lo fosse abbastanza da evitare
l’esecuzione, o se invece in lui vi fosse ancora un barlume
di razionalità sufficiente a consegnarlo al boia in serena
coscienza. (Nel solito Arkansas hanno ingozzato di farmaci
Charles Singleton fino a farlo diventare sano da morire).
Intanto che si discuteva della follia del povero Thomas la
follia dei governanti discuteva della “crudeltà” dei vari
sistemi di morte e un politicante, particolarmente dotato
di senso dell’umorismo, propose che Provenzano fosse crocifisso,
in modo tale che, essendo lui convinto di essere il Cristo,
nessun giudice federale osasse intervenire.
La disputa venne infine risolta da un giudice che sentenziò
che, non essendo Provenzano in grado di camminare sulle acque,
non era nemmeno in grado di provare la sua follia e che quindi
valeva quanto previsto dal Comma 22: “Chi è pazzo può chiedere
di essere esentato dalla pena di morte, ma chi chiede di essere
esentato dalla pena di morte non è pazzo.” Thomas Harrison
Provenzano morì, al secondo tentativo, il primo giorno dell’estate
del 2000: gli altri pazzi sono ancora a piede libero.
Dio
salvi gli Stati Uniti d’America.
*membro
del Comitato scientifico dell'Osservatorio, testo predisposto
per la conferenza "Due
sedie elettriche"
Speciale
pena di morte
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