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Il
processo di Perugia e la propaganda di Roma . L'opinione
di
Luca Baiada*
Perché
tanto interesse per il processo di Perugia, per l’assassinio
della studentessa britannica Meredith Kercher avvenuto nel
2007? Serve ad altro? Vediamo meglio. Il 13 ottobre 2009 il
ministro Frattini diffonde, tramite un quotidiano e sul sito
del Ministero degli esteri, una lettera breve come un’omelia
e vivace come un solitario a carte: La vera Italia da raccontare
agli stranieri1. Frattini la prende larga, loda lo sport italiano,
e chiama la notorietà circense delle frequentazioni sessuali
di Berlusconi «visibilità degli affetti familiari del nostro
presidente del Consiglio». Soprattutto, è in apprensione per
l’immagine dell’Italia, accusa malvagi denigratori, e aggiunge:
«L’anomalia – prima che il cosiddetto conflitto di interessi
che è in Italia regolato da una legge (qui almeno meglio che
a New York. O sbaglio?) – è poi rappresentata dal fatto che
la pace non si può fare perché un manipolo di magistrati appartenenti
– alla luce del sole – a spezzoni o frange ideologiche organizzate
in “correnti” che hanno nei loro documenti fondativi l’obiettivo
di cambiare la società o di contribuire alla lotta tra le
classi e che hanno perduto la battaglia e la credibilità politica
in Italia, continuano in questo modo ad “amministrare giustizia”.
Questa non sarebbe la prima delle anomalie da denunciare in
Italia e all’estero? O di cui dovrebbe temere un cittadino
straniero in Italia?».
Attenzione all’ultimo passaggio. Non fa riferimento a un cittadino
italiano all’estero, ma a qualcosa di oscuro: un cittadino
straniero in Italia. Di cosa sta parlando? Un paio di mesi
dopo, forse si capirà meglio. Un elemento, però, va detto
subito. È in un altro passo della lettera. Frattini non vuole
critiche e discordie, cioè chiede ubbidienza al governo, e
prosegue: «I nostri 150 anni potrebbero essere un traguardo
per arrivare a questa voglia di ricominciare, una pace-pacificazione
che interrompa il circuito e l’azione di chi è ormai un professionista
dello scavo nella Prima Repubblica». Le parole «professionista
dello scavo» esprimono un concetto diffuso, a destra. Per
esempio, l’articolo di agosto sul «Giornale» con cui è stato
aggredito Boffo, il direttore di «Avvenire», riuscendo ad
allontanarlo, dice che il quotidiano «la Repubblica» «si dedica
alla speleologia». Insomma, la destra si preoccupa di qualcosa,
e teme un approfondimento. In realtà, dall’inizio di autunno
2009 è ripresa l’attenzione sulle vicende dei patti tra mafia
e politica negli anni 1992 e 1993. Un ruolo importante l’ha
avuto il quotidiano «il Fatto», che ha cominciato le pubblicazioni
il 23 settembre e che quasi subito si è concentrato sul tema,
annunciando e sottolineando le deposizioni di alcuni mafiosi.
E proprio a metà ottobre, la vicenda del papello ha tenuto
la scena.
Ma adesso spostiamoci a dicembre 2009. Per l’omicidio di una
ragazza britannica, Meredith Kercher, la Corte di assise di
Perugia condanna due persone. Una è Amanda Knox, cittadina
statunitense. Il suo avvocato, Luciano Ghirga, riconosce che
il processo è stato «regolare, con un contraddittorio garantito».
Ma il caso ha avuto clamore, e negli Stati Uniti qualcuno
muove critiche all’Italia e alla sua giustizia. Tutte critiche
legittime, certo, ma c’è solo questo? In realtà, persino la
segretaria di Stato Hillary Clinton, a seguito di un interessamento
della parlamentare Usa Maria Cantwell, dichiara qualcosa.
Presto, in Italia si cerca di strumentalizzare l’accaduto
per insinuare che qui la giustizia non sarebbe mai affidabile.
Un suggerimento che torna utile a qualcuno, nel momento in
cui Dell’Utri è sotto processo e dalle file della mafia si
sta facendo il nome di Berlusconi. Persino «il Fatto Quotidiano»,
che segue questi temi, non riesce a fiutare la trappola. Il
suo commento è un po’ di grana grossa, anche se ha il pregio
di cogliere la contraddizione fra la pretesa statunitense
di insegnare regole al mondo, e la guerra di aggressione in
Afghanistan. Del resto, anche «la Repubblica» commenta la
vicenda in modo deludente. Vi si legge che «lo standard dei
processi americani è molto alto». Forse, ma solo per quelli
che ricevono un processo. Per anni i detenuti a Guantanamo,
alcuni imprigionati adolescenti, hanno atteso invano non un
processo con uno standard molto alto, ma un processo qualsiasi.
Altri sono stati incarcerati e torturati persino in luoghi
segreti. Non è una prerogativa italiana, lo sdoppiamento del
diritto penale fra diritto dei galantuomini e diritto dei
briganti.
Ma sul processo di Perugia, sentiamo cosa dice su «La Stampa»
Lucia Annunziata. Il suo intervento è significativo, perché
si tratta di una persona che si è costruita una visibilità
professionale e politica presentandosi come intellettuale
scomoda e osservatrice di sinistra, anche grazie a una trasmissione
televisiva intramontabile, In ½ ora, dove conduce interviste
in cui la grinta dell’intransigenza spesso nasconde l’adulazione.
Lucia Annunziata accenna a passati contrasti fra Italia e
Usa, che non c’entrano col caso. Poi estende il discorso:
«Quello alla Knox è solo l’ultimo di una serie di processi
che hanno lasciato la nostra pubblica opinione con l’amaro
in bocca dei dubbi», e cita l’infanticidio a Cogne e l’omicidio
Poggi. Sta citando, in realtà, non errori giudiziari, piuttosto
vicende complesse che un pessimo sistema informativo ha presentato
male, specialmente per l’opera pesantemente negativa di giornalisti
come Bruno Vespa. E anche per lo sciacallaggio di altri commentatori.
Ma alla fine dell’articolo, cade la maschera: «Ma come non
vedere che il fallimento di tanti processi penali getta dubbi
anche sui procedimenti “politici”? Un paese che non riesce
a dare giustizia certa a due cittadini comuni, con che autorevolezza
saprà mai processare il suo premier?». Cita solo tre processi,
di cui uno è davvero chiuso, due sono in corso, ma vede il
«fallimento di tanti processi penali».
È
come se io vedessi il fallimento del giornalismo, perché qualcuno
strizza l’occhio all’impunità del ceto politico italiano,
bagnando il pennino nel sangue di un omicidio atroce. E poi,
che due imputati appena condannati dicano di non aver avuto
giustizia, è un loro diritto, ma da questo è frettoloso trarre
conclusioni. E ancora, le persone imputate a Perugia sono
davvero comuni? Una è così comune, che ha ottenuto l’interessamento
del segretario di Stato Usa. E infine, il legame tra il processo
di Perugia e le pendenze giudiziarie di Berlusconi è un artefatto.
A volergli dare credito, ci sarebbe da attendere il parere
di Hillary Clinton su un caso di omicidio in Umbria, prima
di dare corso a un qualsiasi processo nei confronti di un
italiano che abbia un’importante carica istituzionale. Tutto
questo è così pretestuoso, che viene da chiedersi se il fatto
che la cittadina Usa si sia rivolta a Hillary Clinton abbia
avuto in Italia qualche suggerimento o avallo, in vista di
uno sfruttamento del caso per la politica italiana. Ma di
questo, non c’è alcuna prova. È più verosimile, semplicemente,
che l’ambizione di Lucia Annunziata abbia voluto dare prova
di massiccia muscolarità, in una fase di incertezza istituzionale.
Va
riconosciuto che lo stesso quotidiano, poco dopo, ha il merito
di dare spazio alle osservazioni ponderate del docente universitario
Ugo Mattei e alle parole sobrie del segretario dell’Anm Giuseppe
Cascini. E anche di offrire un intervento di Boris Biancheri,
che ricorda il caso del trattamento fatto dagli Usa a Silvia
Baraldini, e soprattutto mette in guardia contro i rischi
di un esame animoso del processo di Perugia. Ma purtroppo,
a queste parole piene di misura segue una brutta sortita,
sempre su «La Stampa».
Dagli
Stati Uniti, si esprime un giurista celebre e potente: Alan
Dershowitz13. In ambito politico e culturale, Dershowitz è
noto per il suo orientamento favorevole a ogni guerra, e per
le sue posizioni che gli consentono di considerare praticamente
qualsiasi critica a Israele come antisemitismo. Da segnalare,
è anche il modo in cui ha attaccato Norman Finkelstein, l’autore
di L’industria dell’Olocausto. Un libro scomodo, riguardo
al comportamento delle organizzazioni ebraiche statunitensi,
e a quelle che il «Times» ha chiamato le campagne «Holo-cash».
Ai giuristi, Dershowitz è più noto per aver proposto semplicemente
la legalizzazione della tortura, persino fantasticando i dettagli
di come secondo lui dovrebbe essere praticata (il suo pensiero
corre preferibilmente agli aghi conficcati sotto le unghie).
Sulla tortura, ha insistito in termini favorevoli, con varie
pubblicazioni16. Dershowitz è un giurista forcaiolo, insomma,
che non si fa scrupolo di sostenere leggi violente, anche
se a volte propone di sostituirle con istruzioni da macellaio.
Eppure un giornalista, Maurizio Molinari, lo ammira parecchio,
e lo chiama «giurista di razza»17. L’apprezzamento di Molinari
per Dershowitz è espresso in un libro sui democratici statunitensi.
A proposito, anche la parlamentare Usa Cantwell, che si è
mossa a sostegno di Amanda Knox, è democratica.
Nell’intervista per l’Italia, Dershowitz fa scivolare un’insinuazione
furbesca. Prima osa lanciare un sasso, dicendo che il DNA
può essere fabbricato da qualcuno e posizionato in modo da
incolpare la persona imputata. Poi nasconde la mano, aggiungendo
che non gli sembra questo il caso accaduto alla cittadina
Usa. L’allusione complottista offende l’autorità giudiziaria
di Perugia e dà la misura di questo personaggio. Ma nel seguito
del suo discorso, cade un’altra maschera. Secondo lui, «gli
occhi del mondo sono puntati sul sistema giudiziario italiano».
Si noti, non sul processo di Perugia, ma sul sistema giudiziario
in genere. In questione, cioè, ci sono processi ben più importanti.
Naturalmente, tutta questa campagna è riassunta sul settimanale
di Berlusconi «Panorama», che tiene a sottolineare il «processo
alla giustizia italiana» e dà spazio a «una teoria generale
dell’inferiorità del sistema giuridico italiano, applicabile
non solo al caso Knox». Qui l’intento è chiaro, ma il giornalista
non è solo destro, è anche maldestro. Ce l’ha col sistema
giudiziario, ma scrive «giuridico». È proprio il sistema giuridico,
anche in tema di conflitto d’interessi, che consente a Berlusconi
di controllare innumerevoli organi d’informazione, compreso
«Panorama». Forse il giornalista non si rende conto che sta
pestando i piedi al suo datore di lavoro.
Sullo stesso numero di «Panorama» Bruno Vespa è più furbo,
difende direttamente il padrone. E senza riferirsi al caso
di Perugia, per denigrare la magistratura si permette persino
di vomitare questa sconcezza: «A Palermo come a Milano, […]
i magistrati si dividono in due categorie: quelli che ce l’hanno
con Berlusconi (e ieri con Giulio Andreotti) e quelli in maggioranza
che non ce l’hanno con nessuno, ma hanno paura di ritorsioni».
Che il giornalismo coltivi dubbi su casi di cronaca nera è
non solo un diritto, ma un dovere, spesso nell’interesse della
giustizia. La storia dell’assassinio di Stefano Cucchi a Roma
lo dimostra. Di attenzione, di luce, di controllo c’è un gran
bisogno. Ma è evidente che in molti casi non interessano i
fatti, piuttosto piegare la vicenda, ottenere informazioni,
manipolare l’opinione pubblica con altri scopi. In altro contesto,
anni fa Giorgio Bocca ha chiamato l’avvocato Taormina «avvocato
di regime». Il riferimento non riguarda tanto lo schieramento
politico di Taormina, quanto un presenzialismo su casi grigi
dal punto di vista politico, ma che assicurano visibilità,
possibilità di intervenire su orientamenti di vario tipo,
opportunità di notizie, aggiornamenti tecnici, frequentazioni.
Ebbene,
c’è da chiedersi se si sia creata in Italia anche la figura
del «giornalista di regime», proprio su casi di cronaca, accanto
all’«avvocato di regime». Accanto, o piuttosto più giù. Infatti,
ogni avvocato ha pur sempre il diritto di costruirsi la sua
professione difendendo chiunque, frequentando chiunque, e
sostenendo qualunque tesi. Ma da un giornalista ci si aspetta
altro. La Costituzione non prevede il diritto alla sincerità
degli avvocati, ma garantisce il diritto all’informazione,
che senza un giornalismo all’altezza dei suoi compiti non
funziona. Ciò che accade ora, è che i dubbi sulla cronaca
nera coltivati da un certo giornalismo portano a incertezze
persino sulla processabilità in Italia del presidente del
consiglio. Se si tratta di processare un potente, cioè, è
incerto persino se il sistema giudiziario sia degno di lui.
Si è fatto un gran discutere se Berlusconi debba o possa difendersi
da un processo, oltre che in un processo. Ma a qualcuno piacerebbero
dubbi ancora più profondi, e si suggerisce che egli non possa
affatto essere giudicato in Italia.
Ma
torniamo indietro, e precisamente alla metà di ottobre, alla
lettera di Frattini. C’è qualcosa che a questo punto dobbiamo
rileggere. Frattini sta avversando la consapevolezza civica
e politica dei magistrati italiani, e scrive: «Questa non
sarebbe la prima delle anomalie da denunciare in Italia e
all’estero? O di cui dovrebbe temere un cittadino straniero
in Italia?». Si sentono tante offese contro la magistratura,
ma qui compare un elemento nuovo, assente nel repertorio consueto
della destra: un cittadino straniero in pericolo. Questo personaggio,
a ottobre avvolto nel mistero, a dicembre prende corpo in
una ragazza statunitense: Amanda Knox. A
ottobre 2009, Frattini poteva prevedere l’esito del processo
di Perugia? Lo escludo. E gli va dato atto di avere assunto,
dopo la sentenza, un atteggiamento articolato, dovuto alla
preoccupazione di non urtare né gli Usa né la Gran Bretagna.
Eppure mi chiedo perché alcuni interventi contro la giustizia
italiana, subito dopo la sentenza, siano stati così pronti
in Italia e negli Stati Uniti, persino travolgendo iniziali
commenti ragionevoli. Se si tratta di criticare la giustizia
in Italia, nessun rilievo sarà abbastanza severo.
Se
si tratta di parlar male dei magistrati, lo faccio anch’io
quando lo meritano, a cominciare da quello che critico più
volentieri: me stesso. Ma alcune critiche sono inascoltabili
perché palesemente strumentali. Come inascoltabile è che compaiano,
anche nelle parole di Dershowitz, il DNA, il sangue, l’arma,
e tutto l’apparato fantasmatico delle trasmissioni di cronaca
nera, quando sotto questa trama si vede chiaro l’ordito di
un discorso giustificazionista sui patti tra mafia e politica,
e più in generale sui metodi del potere, anche economico.
Un
esempio? Ecco, quasi coevo alla sentenza di primo grado per
il delitto di Perugia, un caso emblematico che deve aver urtato
illustrissime suscettibilità, ma che forse ha lasciato indifferente
Berlusconi. Il 10 dicembre, a Torino, inizia un processo che
per alcuni aspetti indelebili pesa più delle vicende di Dell’Utri
e Berlusconi, esseri mortali: il caso Eternit. Gli imputati
sono solo due, ma i morti sono oltre duemila, le richieste
di risarcimento sono immense, le questioni giuridiche in gioco
sono epocali. Quando Dell’Utri, Berlusconi, voi che leggete
e io che scrivo non saremo più, la devastazione dell’ambiente
farà ancora effetto.
Il processo Eternit è una vera Norimberga del tempo di pace,
e il raffronto non è solo mio: Giorgio Bocca ha paragonato
l’inquinamento ambientale, lento e ordinato, allo sterminio
nazista22. Occorre anche chiedersi, sulle critiche alla giustizia
italiana fatte con secondi fini, a chi giovino, persino oltre
le apparenze. Chiedersi, cioè, se sollevare il coperchio su
Berlusconi possa portare alla luce anche altri, che hanno
sguazzato nel fondo della pentola. Altri, che ora vorrebbero
un coperchio molto saldo. Non posseggo una risposta certa,
ma in questo approfondimento ho notato che l’articolo di Lucia
Annunziata e l’intervista a Dershowitz compaiono sullo stesso
quotidiano, «La Stampa». Invece, la lettera con cui Frattini
insegna cosa dire agli stranieri compare, oltre che sul sito
del Ministero, anche su «La Stampa». Diversamente, Maurizio
Molinari, ammiratore di Dershowitz sin da prima dell’elezione
di Obama, scrive su «La Stampa», e proprio lui intervista
Dershowitz, però su «La Stampa». A parte la lucida pausa dell’8
dicembre, «La Stampa» si è distinta per gli interventi più
ambigui.
In
tutto questo, poco visibile, ma sotto traccia, è che qualcuno
percepisca con allarme, insieme all’attendibilità di larga
parte del lavoro giudiziario, i possibili strascichi del «No
B. Day» del 5 dicembre 2009, le conseguenze delle rivelazioni
provenienti da ambienti mafiosi, e gli scricchiolii interni
alla destra al governo. Maleodorante, è la strumentalizzazione
di un orrendo delitto, l’assassinio di una giovanissima a
Perugia, per un attacco subdolo alla giustizia in Italia,
e per un discorso peloso che all’apparenza difende solo Berlusconi,
ma che in concreto protegge la continuità del potere in Italia.
*
per gentile concessione dell'autore, che
e' magistrato. Pubblicato su «Il Ponte», LXVI n. 1 (gennaio
2010), p. 38
Dossier
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