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23 febbraio 2010
tutti gli speciali

Il processo di Perugia e la propaganda di Roma . L'opinione
di Luca Baiada*

Perché tanto interesse per il processo di Perugia, per l’assassinio della studentessa britannica Meredith Kercher avvenuto nel 2007? Serve ad altro? Vediamo meglio. Il 13 ottobre 2009 il ministro Frattini diffonde, tramite un quotidiano e sul sito del Ministero degli esteri, una lettera breve come un’omelia e vivace come un solitario a carte: La vera Italia da raccontare agli stranieri1. Frattini la prende larga, loda lo sport italiano, e chiama la notorietà circense delle frequentazioni sessuali di Berlusconi «visibilità degli affetti familiari del nostro presidente del Consiglio». Soprattutto, è in apprensione per l’immagine dell’Italia, accusa malvagi denigratori, e aggiunge: «L’anomalia – prima che il cosiddetto conflitto di interessi che è in Italia regolato da una legge (qui almeno meglio che a New York. O sbaglio?) – è poi rappresentata dal fatto che la pace non si può fare perché un manipolo di magistrati appartenenti – alla luce del sole – a spezzoni o frange ideologiche organizzate in “correnti” che hanno nei loro documenti fondativi l’obiettivo di cambiare la società o di contribuire alla lotta tra le classi e che hanno perduto la battaglia e la credibilità politica in Italia, continuano in questo modo ad “amministrare giustizia”. Questa non sarebbe la prima delle anomalie da denunciare in Italia e all’estero? O di cui dovrebbe temere un cittadino straniero in Italia?».

Attenzione all’ultimo passaggio. Non fa riferimento a un cittadino italiano all’estero, ma a qualcosa di oscuro: un cittadino straniero in Italia. Di cosa sta parlando? Un paio di mesi dopo, forse si capirà meglio. Un elemento, però, va detto subito. È in un altro passo della lettera. Frattini non vuole critiche e discordie, cioè chiede ubbidienza al governo, e prosegue: «I nostri 150 anni potrebbero essere un traguardo per arrivare a questa voglia di ricominciare, una pace-pacificazione che interrompa il circuito e l’azione di chi è ormai un professionista dello scavo nella Prima Repubblica». Le parole «professionista dello scavo» esprimono un concetto diffuso, a destra. Per esempio, l’articolo di agosto sul «Giornale» con cui è stato aggredito Boffo, il direttore di «Avvenire», riuscendo ad allontanarlo, dice che il quotidiano «la Repubblica» «si dedica alla speleologia». Insomma, la destra si preoccupa di qualcosa, e teme un approfondimento. In realtà, dall’inizio di autunno 2009 è ripresa l’attenzione sulle vicende dei patti tra mafia e politica negli anni 1992 e 1993. Un ruolo importante l’ha avuto il quotidiano «il Fatto», che ha cominciato le pubblicazioni il 23 settembre e che quasi subito si è concentrato sul tema, annunciando e sottolineando le deposizioni di alcuni mafiosi. E proprio a metà ottobre, la vicenda del papello ha tenuto la scena.

Ma adesso spostiamoci a dicembre 2009. Per l’omicidio di una ragazza britannica, Meredith Kercher, la Corte di assise di Perugia condanna due persone. Una è Amanda Knox, cittadina statunitense. Il suo avvocato, Luciano Ghirga, riconosce che il processo è stato «regolare, con un contraddittorio garantito». Ma il caso ha avuto clamore, e negli Stati Uniti qualcuno muove critiche all’Italia e alla sua giustizia. Tutte critiche legittime, certo, ma c’è solo questo? In realtà, persino la segretaria di Stato Hillary Clinton, a seguito di un interessamento della parlamentare Usa Maria Cantwell, dichiara qualcosa. Presto, in Italia si cerca di strumentalizzare l’accaduto per insinuare che qui la giustizia non sarebbe mai affidabile. Un suggerimento che torna utile a qualcuno, nel momento in cui Dell’Utri è sotto processo e dalle file della mafia si sta facendo il nome di Berlusconi. Persino «il Fatto Quotidiano», che segue questi temi, non riesce a fiutare la trappola. Il suo commento è un po’ di grana grossa, anche se ha il pregio di cogliere la contraddizione fra la pretesa statunitense di insegnare regole al mondo, e la guerra di aggressione in Afghanistan. Del resto, anche «la Repubblica» commenta la vicenda in modo deludente. Vi si legge che «lo standard dei processi americani è molto alto». Forse, ma solo per quelli che ricevono un processo. Per anni i detenuti a Guantanamo, alcuni imprigionati adolescenti, hanno atteso invano non un processo con uno standard molto alto, ma un processo qualsiasi. Altri sono stati incarcerati e torturati persino in luoghi segreti. Non è una prerogativa italiana, lo sdoppiamento del diritto penale fra diritto dei galantuomini e diritto dei briganti.

Ma sul processo di Perugia, sentiamo cosa dice su «La Stampa» Lucia Annunziata. Il suo intervento è significativo, perché si tratta di una persona che si è costruita una visibilità professionale e politica presentandosi come intellettuale scomoda e osservatrice di sinistra, anche grazie a una trasmissione televisiva intramontabile, In ½ ora, dove conduce interviste in cui la grinta dell’intransigenza spesso nasconde l’adulazione. Lucia Annunziata accenna a passati contrasti fra Italia e Usa, che non c’entrano col caso. Poi estende il discorso: «Quello alla Knox è solo l’ultimo di una serie di processi che hanno lasciato la nostra pubblica opinione con l’amaro in bocca dei dubbi», e cita l’infanticidio a Cogne e l’omicidio Poggi. Sta citando, in realtà, non errori giudiziari, piuttosto vicende complesse che un pessimo sistema informativo ha presentato male, specialmente per l’opera pesantemente negativa di giornalisti come Bruno Vespa. E anche per lo sciacallaggio di altri commentatori. Ma alla fine dell’articolo, cade la maschera: «Ma come non vedere che il fallimento di tanti processi penali getta dubbi anche sui procedimenti “politici”? Un paese che non riesce a dare giustizia certa a due cittadini comuni, con che autorevolezza saprà mai processare il suo premier?». Cita solo tre processi, di cui uno è davvero chiuso, due sono in corso, ma vede il «fallimento di tanti processi penali».

È come se io vedessi il fallimento del giornalismo, perché qualcuno strizza l’occhio all’impunità del ceto politico italiano, bagnando il pennino nel sangue di un omicidio atroce. E poi, che due imputati appena condannati dicano di non aver avuto giustizia, è un loro diritto, ma da questo è frettoloso trarre conclusioni. E ancora, le persone imputate a Perugia sono davvero comuni? Una è così comune, che ha ottenuto l’interessamento del segretario di Stato Usa. E infine, il legame tra il processo di Perugia e le pendenze giudiziarie di Berlusconi è un artefatto. A volergli dare credito, ci sarebbe da attendere il parere di Hillary Clinton su un caso di omicidio in Umbria, prima di dare corso a un qualsiasi processo nei confronti di un italiano che abbia un’importante carica istituzionale. Tutto questo è così pretestuoso, che viene da chiedersi se il fatto che la cittadina Usa si sia rivolta a Hillary Clinton abbia avuto in Italia qualche suggerimento o avallo, in vista di uno sfruttamento del caso per la politica italiana. Ma di questo, non c’è alcuna prova. È più verosimile, semplicemente, che l’ambizione di Lucia Annunziata abbia voluto dare prova di massiccia muscolarità, in una fase di incertezza istituzionale. Va riconosciuto che lo stesso quotidiano, poco dopo, ha il merito di dare spazio alle osservazioni ponderate del docente universitario Ugo Mattei e alle parole sobrie del segretario dell’Anm Giuseppe Cascini. E anche di offrire un intervento di Boris Biancheri, che ricorda il caso del trattamento fatto dagli Usa a Silvia Baraldini, e soprattutto mette in guardia contro i rischi di un esame animoso del processo di Perugia. Ma purtroppo, a queste parole piene di misura segue una brutta sortita, sempre su «La Stampa».

Dagli Stati Uniti, si esprime un giurista celebre e potente: Alan Dershowitz13. In ambito politico e culturale, Dershowitz è noto per il suo orientamento favorevole a ogni guerra, e per le sue posizioni che gli consentono di considerare praticamente qualsiasi critica a Israele come antisemitismo. Da segnalare, è anche il modo in cui ha attaccato Norman Finkelstein, l’autore di L’industria dell’Olocausto. Un libro scomodo, riguardo al comportamento delle organizzazioni ebraiche statunitensi, e a quelle che il «Times» ha chiamato le campagne «Holo-cash». Ai giuristi, Dershowitz è più noto per aver proposto semplicemente la legalizzazione della tortura, persino fantasticando i dettagli di come secondo lui dovrebbe essere praticata (il suo pensiero corre preferibilmente agli aghi conficcati sotto le unghie). Sulla tortura, ha insistito in termini favorevoli, con varie pubblicazioni16. Dershowitz è un giurista forcaiolo, insomma, che non si fa scrupolo di sostenere leggi violente, anche se a volte propone di sostituirle con istruzioni da macellaio. Eppure un giornalista, Maurizio Molinari, lo ammira parecchio, e lo chiama «giurista di razza»17. L’apprezzamento di Molinari per Dershowitz è espresso in un libro sui democratici statunitensi. A proposito, anche la parlamentare Usa Cantwell, che si è mossa a sostegno di Amanda Knox, è democratica.

Nell’intervista per l’Italia, Dershowitz fa scivolare un’insinuazione furbesca. Prima osa lanciare un sasso, dicendo che il DNA può essere fabbricato da qualcuno e posizionato in modo da incolpare la persona imputata. Poi nasconde la mano, aggiungendo che non gli sembra questo il caso accaduto alla cittadina Usa. L’allusione complottista offende l’autorità giudiziaria di Perugia e dà la misura di questo personaggio. Ma nel seguito del suo discorso, cade un’altra maschera. Secondo lui, «gli occhi del mondo sono puntati sul sistema giudiziario italiano». Si noti, non sul processo di Perugia, ma sul sistema giudiziario in genere. In questione, cioè, ci sono processi ben più importanti. Naturalmente, tutta questa campagna è riassunta sul settimanale di Berlusconi «Panorama», che tiene a sottolineare il «processo alla giustizia italiana» e dà spazio a «una teoria generale dell’inferiorità del sistema giuridico italiano, applicabile non solo al caso Knox». Qui l’intento è chiaro, ma il giornalista non è solo destro, è anche maldestro. Ce l’ha col sistema giudiziario, ma scrive «giuridico». È proprio il sistema giuridico, anche in tema di conflitto d’interessi, che consente a Berlusconi di controllare innumerevoli organi d’informazione, compreso «Panorama». Forse il giornalista non si rende conto che sta pestando i piedi al suo datore di lavoro.

Sullo stesso numero di «Panorama» Bruno Vespa è più furbo, difende direttamente il padrone. E senza riferirsi al caso di Perugia, per denigrare la magistratura si permette persino di vomitare questa sconcezza: «A Palermo come a Milano, […] i magistrati si dividono in due categorie: quelli che ce l’hanno con Berlusconi (e ieri con Giulio Andreotti) e quelli in maggioranza che non ce l’hanno con nessuno, ma hanno paura di ritorsioni». Che il giornalismo coltivi dubbi su casi di cronaca nera è non solo un diritto, ma un dovere, spesso nell’interesse della giustizia. La storia dell’assassinio di Stefano Cucchi a Roma lo dimostra. Di attenzione, di luce, di controllo c’è un gran bisogno. Ma è evidente che in molti casi non interessano i fatti, piuttosto piegare la vicenda, ottenere informazioni, manipolare l’opinione pubblica con altri scopi. In altro contesto, anni fa Giorgio Bocca ha chiamato l’avvocato Taormina «avvocato di regime». Il riferimento non riguarda tanto lo schieramento politico di Taormina, quanto un presenzialismo su casi grigi dal punto di vista politico, ma che assicurano visibilità, possibilità di intervenire su orientamenti di vario tipo, opportunità di notizie, aggiornamenti tecnici, frequentazioni.

Ebbene, c’è da chiedersi se si sia creata in Italia anche la figura del «giornalista di regime», proprio su casi di cronaca, accanto all’«avvocato di regime». Accanto, o piuttosto più giù. Infatti, ogni avvocato ha pur sempre il diritto di costruirsi la sua professione difendendo chiunque, frequentando chiunque, e sostenendo qualunque tesi. Ma da un giornalista ci si aspetta altro. La Costituzione non prevede il diritto alla sincerità degli avvocati, ma garantisce il diritto all’informazione, che senza un giornalismo all’altezza dei suoi compiti non funziona. Ciò che accade ora, è che i dubbi sulla cronaca nera coltivati da un certo giornalismo portano a incertezze persino sulla processabilità in Italia del presidente del consiglio. Se si tratta di processare un potente, cioè, è incerto persino se il sistema giudiziario sia degno di lui. Si è fatto un gran discutere se Berlusconi debba o possa difendersi da un processo, oltre che in un processo. Ma a qualcuno piacerebbero dubbi ancora più profondi, e si suggerisce che egli non possa affatto essere giudicato in Italia.

Ma torniamo indietro, e precisamente alla metà di ottobre, alla lettera di Frattini. C’è qualcosa che a questo punto dobbiamo rileggere. Frattini sta avversando la consapevolezza civica e politica dei magistrati italiani, e scrive: «Questa non sarebbe la prima delle anomalie da denunciare in Italia e all’estero? O di cui dovrebbe temere un cittadino straniero in Italia?». Si sentono tante offese contro la magistratura, ma qui compare un elemento nuovo, assente nel repertorio consueto della destra: un cittadino straniero in pericolo. Questo personaggio, a ottobre avvolto nel mistero, a dicembre prende corpo in una ragazza statunitense: Amanda Knox. A ottobre 2009, Frattini poteva prevedere l’esito del processo di Perugia? Lo escludo. E gli va dato atto di avere assunto, dopo la sentenza, un atteggiamento articolato, dovuto alla preoccupazione di non urtare né gli Usa né la Gran Bretagna. Eppure mi chiedo perché alcuni interventi contro la giustizia italiana, subito dopo la sentenza, siano stati così pronti in Italia e negli Stati Uniti, persino travolgendo iniziali commenti ragionevoli. Se si tratta di criticare la giustizia in Italia, nessun rilievo sarà abbastanza severo.

Se si tratta di parlar male dei magistrati, lo faccio anch’io quando lo meritano, a cominciare da quello che critico più volentieri: me stesso. Ma alcune critiche sono inascoltabili perché palesemente strumentali. Come inascoltabile è che compaiano, anche nelle parole di Dershowitz, il DNA, il sangue, l’arma, e tutto l’apparato fantasmatico delle trasmissioni di cronaca nera, quando sotto questa trama si vede chiaro l’ordito di un discorso giustificazionista sui patti tra mafia e politica, e più in generale sui metodi del potere, anche economico. Un esempio? Ecco, quasi coevo alla sentenza di primo grado per il delitto di Perugia, un caso emblematico che deve aver urtato illustrissime suscettibilità, ma che forse ha lasciato indifferente Berlusconi. Il 10 dicembre, a Torino, inizia un processo che per alcuni aspetti indelebili pesa più delle vicende di Dell’Utri e Berlusconi, esseri mortali: il caso Eternit. Gli imputati sono solo due, ma i morti sono oltre duemila, le richieste di risarcimento sono immense, le questioni giuridiche in gioco sono epocali. Quando Dell’Utri, Berlusconi, voi che leggete e io che scrivo non saremo più, la devastazione dell’ambiente farà ancora effetto.

Il processo Eternit è una vera Norimberga del tempo di pace, e il raffronto non è solo mio: Giorgio Bocca ha paragonato l’inquinamento ambientale, lento e ordinato, allo sterminio nazista22. Occorre anche chiedersi, sulle critiche alla giustizia italiana fatte con secondi fini, a chi giovino, persino oltre le apparenze. Chiedersi, cioè, se sollevare il coperchio su Berlusconi possa portare alla luce anche altri, che hanno sguazzato nel fondo della pentola. Altri, che ora vorrebbero un coperchio molto saldo. Non posseggo una risposta certa, ma in questo approfondimento ho notato che l’articolo di Lucia Annunziata e l’intervista a Dershowitz compaiono sullo stesso quotidiano, «La Stampa». Invece, la lettera con cui Frattini insegna cosa dire agli stranieri compare, oltre che sul sito del Ministero, anche su «La Stampa». Diversamente, Maurizio Molinari, ammiratore di Dershowitz sin da prima dell’elezione di Obama, scrive su «La Stampa», e proprio lui intervista Dershowitz, però su «La Stampa». A parte la lucida pausa dell’8 dicembre, «La Stampa» si è distinta per gli interventi più ambigui.

In tutto questo, poco visibile, ma sotto traccia, è che qualcuno percepisca con allarme, insieme all’attendibilità di larga parte del lavoro giudiziario, i possibili strascichi del «No B. Day» del 5 dicembre 2009, le conseguenze delle rivelazioni provenienti da ambienti mafiosi, e gli scricchiolii interni alla destra al governo. Maleodorante, è la strumentalizzazione di un orrendo delitto, l’assassinio di una giovanissima a Perugia, per un attacco subdolo alla giustizia in Italia, e per un discorso peloso che all’apparenza difende solo Berlusconi, ma che in concreto protegge la continuità del potere in Italia.

* per gentile concessione dell'autore, che e' magistrato. Pubblicato su «Il Ponte», LXVI n. 1 (gennaio 2010), p. 38

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