 |
Spese
gonfiate e frode : immunita' parlamentare alla prova in Gran
Bretagna
di
Giulia Alliani
“E’ un’offesa alla gente. Un modo per distruggere la fiducia
tra i parlamentari e gli elettori. Mi auguro soltanto che
i deputati più giovani capiscano di non poter seguire la vecchia
strada, che non va da nessuna parte” cosi il liberaldemocratico
Nick Clegg commenta le conclusioni cui e' giunta in Gran Bretagna
un’inchiesta indipendente, condotta da Sir Thomas Legg, che,
dopo lo scandalo suscitato da alcuni servizi del quotidiano
Daily Telegraph, ha eseguito una verifica sulle richieste
di rimborso spese presentate dai parlamentari inglesi.
I risultati sono stati definiti sconcertanti, almeno per i
criteri di Oltremanica, secondo i quali i contributi previsti
per affrontare le spese per la seconda casa dei parlamentari
non residenti a Londra hanno trovato impieghi non del tutto
ortodossi. I soldi dei contribuenti sono stati impiegati per
mutui inesistenti, per costose ristrutturazioni, e per interi
arredamenti. In particolare, nei giardini delle case, la passione
tutta britannica per il pittoresco ha trovato sfogo nella
costruzione di casette per le anatre e addirittura di un ponte
levatoio da Gothic revival, il tutto a carico della comunita',
come anche gli svaghi per il tempo libero, comprendenti i
film porno della tv via cavo.
Per
farla breve, 390 su su 752 parlamentari di Westminster dovranno
restituire oltre 1,12 milioni di sterline ai contribuenti.
Alcuni si sono gia' affrettati a farlo, mentre i ritardatari
si vedranno decurtata l'indennita' mensile fino al raggiungimento
delle somme dovute. L'inchiesta è costata ai contribuenti
piu' della somma recuperata: 1,16 milioni di sterline. In
quattro casi sono stati ravvisati gli estremi che giustificano
un'incriminazione dei parlamentari da parte della Public Prosecution
per aver frodato sulle somme di cui viene chiesta la restituzione.
Il direttore della Pubblica Accusa, Keir Starmer, ha reso
nota la decisione dei quattro, che rischiano anche sette anni
di reclusione, di appellarsi all'immunità loro garantita dal
nono articolo del Bill of Rights del 1689, ma ha comunicato
che l'applicabilità e l'estensione della pretesa immunità
dovra' essere vagliata in tribunale. Intanto hanno già espresso
il loro parere in merito alcuni insigni avvocati e giuristi,
citati ieri dal Guardian. Hugh Tomlinson, dello studio Matrix,
ha detto: "I membri del Parlamento non godono di nessun tipo
di immunità dalle normali leggi penali. Reputo improbabile
che l'argomento dell'immunità abbia successo perché i presunti
reati sono in sostanza solo dei reati comuni, in nulla diversi
dal tipo di reato di cui chiunque potrebbe esser accusato
nello svolgimento del proprio lavoro".
Secondo gli esperti - scrive il Guardian - negli anni recenti
e' aumentata la propensione dei tribunali a qualche forma
di verifica sui membri del Parlamento, anche se, in questo
caso, la decisione di incriminarli potrebbe rivelarsi un sistema
per testare la dottrina dell'immunità parlamentare dai processi.
In Gran Bretagna e' il Bill of Rights del 1689 che prevede
l'immunità per le parole pronunciate o le azioni compiute
in Parlamento (Bill of Rights 1689, Art. 9 : "That the freedom
of speech, and debates or proceedings in parliament, ought
not to be impeached or questioned in any court or place out
of parliament"). La legge sul punto non e' chiara ma, probabilmente,
l'immunita' si estende all'attivita' di un membro del Parlamento,
se agisce in tale ruolo, anche al di fuori dei palazzi di
Westminster.
I
dubbi sul punto sono gia' stati oggetto di dibattito e un'apposita
commissione, nel 1999, aveva concluso i suoi lavori con la
raccomandazione al Parlamento di rendere "piu' chiare e meglio
definite" le attivita' parlamentari protette da immunita',
soprattutto in relazione al reato di corruzione, "poiche'
tale reato e' grave e insidioso e puo' essere affrontato efficacemente
solo con l'intervento della polizia e dei tribunali, che rappresentano
l'unico rimedio e deterrente credibile".
Sono ormai passati piu' di dieci anni senza che il Parlamento
abbia apportato le necessarie modifiche legislative nel senso
auspicato dalla commissione ma, sempre a detta degli esperti,
reati come quello di corruzione dovrebbero poter essere ascritti,
se del caso, anche ai parlamentari, inquadrandosi tale orientamento
nella tendenza sempre piu marcata a esigere che anche i rappresentanti
del popolo debbano render conto nei tribunali. Dice Eoin O'Shea,
partner dello studio legale LG: "Se oggi un membro del parlamento
venisse accusato di corruzione, dubito che potrebbe farsi
scudo dell'immunita' parlamentare, salvo forse in casi rarissimi.
Ci sono buoni argomenti per affermare che l'immunita' non
dovrebbe permettere ai parlamentari di respingere un'accusa
di frode contabile, anche se loro sostengono che si tratta
di un diritto riconosciuto e che fa parte delle regole".
Secondo
Michael Smyth, dello studio legale Clifford Chance "nel 1689
c'era una particolare necessita' di introdurre il principio
dell'immunita' parlamentare: si trattava di definire i termini
del rapporto tra il re ed il parlamento. Ora il quadro costituzionale
e' mutato e sarebbe piuttosto difficile convincere il pubblico
che il parlamento dovrebbe avere una specie di giurisdizione
tutta sua, separata dai normali tribunali". D'altra parte
gli avvocati riconoscono la difficolta' cui si andrebbe incontro
chiedendo ai tribunali di prendere in esame regolamenti e
procedure interni al Parlamento, la cui violazione e' tuttavia
alla base delle accuse di frode contabile mosse ai parlamentari.
"Va detto - aggiunge Hugh Tomlinson - che i tribunali sono
profondamente riluttanti a mettere il naso nei palazzi di
Westminster per vedere che cosa vi accade".
Ed, effettivamente, nel 2008, la High Court ha definito l'immunità
come il mezzo per "evitare ogni rischio di interferenza con
la libertà di parola in Parlamento" sottolineando che l'immunità
preserva anche "il principio della separazione dei poteri,
per cui il potere giudiziario non interferisce e non critica
il corso della legislatura". C'e' anche chi ha riesumato un
caso dell'anno passato, quando quattro membri della Camera
dei Lord furono accusati di aver garantito la loro collaborazione,
in cambio di consulenze pagate profumatamente, per portare
a buon fine alcuni emendamenti legislativi: Scotland Yard
si rifiuto' di condurre un'indagine sul caso perche' l'immunita'
parlamentare creava evidenti difficolta' in ordine all'ottenimento
delle prove.
O'Shea
porta tuttavia nel concreto qualsiasi discussione astratta:
"Nel caso attuale saranno i tribunali a dover decidere, ma
francamente non capisco tutta questa discussione sull'immunita'
parlamentare. Dal punto di vista politico ci si dovrebbe sentire
a disagio volendo sfruttare l'immunita' per un caso che non
riguarda la liberta' di espressione in Parlamento, ma le personali
richieste di rimborso spese di alcuni parlamentari. Non credo
che questo approccio fosse nelle intenzioni dei compilatori
del Bill of Rights, nel diciassettesimo secolo, e se anche
lo fosse stato, oggi dovremmo prenderne le distanze".
 
Dossier
diritti
|
|