Il
mobbing : dal disagio alla denuncia
di
Antonio Antonuccio*
Il
mobbing generalmente indica la presenza di uno stato di disagio
nell’organizzazione e gestione di un ambiente di lavoro. In
verità, è un atto umano degenerativo che è possibile riscontrare
nelle comuni dinamiche sociali; di fatto è sempre esistito
e lo troviamo: negli uffici, nelle caserme, nella scuola -
primaria istituzione di formazione - persino nei luoghi deputati
all’aiuto come i reparti e le corsie di un ospedale e, non
ultimo, in casa.
In
letteratura, il termine mobbing è usato per definire l’insieme
di azioni e reazioni che ha luogo in una situazione di prevaricazione
con “terrorismo psicologico” esercitata sul posto di lavoro.
Questo termine è mutuato dal lessico dell’etologia. Fu infatti
l’etologo Konrad Lorenz ad introdurre nel 1971 il vocabolo,
utilizzandolo per indicare l’attacco di un gruppo di animali
ai danni di un altro animale e perpetuato con l’intento di
isolarlo, ovvero espellerlo dallo stesso branco.
Nei
primi anni ‘80, in Svezia, il Prof. Heinz Leymann, uno dei
primi a studiare il fenomeno, utilizzò la parola mobbing per
descrivere, nel contesto degli ambienti di lavoro, situazioni
nelle quali sono presenti forme di violenza psicologica, persecuzioni,
aggressioni sia fisiche sia verbali, protratte nel tempo e
che si esprimono in un insieme di comportamenti messi in atto
ai danni di colleghi o superiori. Secondo l’analisi di Leymann
tutti prima o poi siamo stati soggetti a mobbing, ma anche
noi, prima o poi, mettiamo in moto con una frase, con uno
sguardo, con una maldicenza, con una mancanza di attenzione
i processi di mobbing. Altri
studiosi lo descrivono come “un comportamento ripetuto, irragionevole,
rivolto contro un dipendente o un gruppo di dipendenti, tale
da creare un rischio per la salute e la sicurezza”.
Chiunque,
in qualsiasi organizzazione, può essere vittima del mobbing.
I dati hanno messo in luce aspetti di un fenomeno, in continua
evoluzione, che solo in Italia coinvolge un milione di lavoratori,
su oltre 21 milioni di occupati, maggiormente nelle regioni
del Nord (65%). Il mobbing nel nostro Paese si presenta in
contesti diversi con caratteristiche diverse, ma può colpire
chiunque, indipendentemente da età, sesso e posizione gerarchica.
Una peculiarità del tutto italiana è la massiccia diffusione
del mobbing nel settore pubblico.
Le
caratteristiche dei mobbizzati in Italia sinteticamente possono
essere le seguenti:
Età la distribuzione del mobbing è piuttosto omogenea,
con la sola, significativa eccezione dei giovani tra i 21
e i 30 anni, che costituiscono una piccola percentuale dei
mobbizzati;
Sesso
a differenza dell’Europa, dove le più colpite dal mobbing
sono le donne, in Italia la percentuale è leggermente più
alta per gli uomini;
Titolo
di studio i lavoratori con titoli di studio più bassi
sono i meno colpiti dal mobbing: l’1% delle vittime possiede
solo la licenza elementare, pertanto sono i lavoratori con
i titoli di studio superiori che rappresentano il target più
coinvolto rispetto alla composizione del mercato del lavoro
italiano.
In
letteratura si possono distinguere due tipi di mobbing:
quale
conseguenza dell’escalation di un conflitto interpersonale;
quando la vittima non è coinvolta in un conflitto, ma si trova
accidentalmente in una situazione in cui vengono compiuti
atti di aggressione da parte di un “mobber”. In questo caso
il mobber farà della vittima un “capro espiatorio”.
Nelle dinamiche sui posti di lavoro esistono quelli che sono
i fattori d’incidenza che tendono a far aumentare la probabilità
del mobbing, essi comprendono:
una
cultura organizzativa che non riconosce il mobbing come un
problema e/o lo tollera;
una politica del personale inadeguata ed un basso profilo
dei valori comuni;
i livelli particolarmente elevati delle richieste a cui è
sottoposto il lavoratore;
un diffuso aumento del livello di stress legato all’attività
lavorativa;
rapidi cambiamenti nella leadership e nell’organizzazione;
l’insicurezza del posto di lavoro;
la scarsa qualità del rapporto tra il personale e la direzione
con un basso livello di soddisfazione nei confronti della
leadership;
la scarsa qualità del rapporto tra i colleghi;
conflitti di ruolo.
Le situazioni più frequentemente riscontrate per esercitare
il mobbing di norma sono:
minacce di trasferimento e utilizzo di generiche minacce esplicite
o implicite;
assegnazione di obiettivi impossibili per il tempo concesso
non adeguato al compito e/o alle funzioni della vittima;
ripetute variazioni di orientamento sul lavoro da svolgere;
valutazioni di profitto non adeguate alla reale qualità del
lavoro svolto;
declassamento delle mansioni rispetto alla qualifica attribuita
ed esclusione dalle riunioni di lavoro;
attribuzione di compiti superiori a subordinati della vittima
o a pari grado;
assegnazione con urgenza di compiti non necessari o previsti
e non controllati dopo lo svolgimento;
accuse di scarsa produttività, generiche critiche per lo svolgimento
del lavoro e conseguente rifiuto delle motivazioni;
richiami immotivati e contestazioni disciplinari non rispondenti
all’entità della mancanza;
ossessivo controllo dell’orario di lavoro e, in caso di malattia,
eccessivo ricorso a visite fiscali;
ricerca dell’uso del tono arrogante in presenza di colleghi;
richiesta ai colleghi di non parlare con la vittima.
Per le vittime del mobbing le conseguenze possono essere rilevanti.
Essi rappresentano sintomi fisici o psicologici come escursione
di un malessere che conduce anche a grave nocumento per l’intera
sfera della salute fisica. I
fenomeni più frequenti sono apparentemente semplici come disturbi
per problemi agli organi o agli apparati digestivi e muscoloscheletrici,
fino a situazioni via via più complesse come eccessivo autobiasimo,
calo dell’autostima, stress, depressione, disturbi del sonno
e fobie. Questi sintomi possono persistere anche per anni
dopo i fatti che li hanno originati. Altre conseguenze non
trascurabili possono essere l’isolamento sociale, l’insorgere
di problemi familiari o finanziari a causa dell’assenza o
dell’allontanamento dal lavoro.
Anche
il sistema organizzativo del posto di lavoro subisce gli effetti
del mobbing che si traducono anche in danni ai singoli e sociali
che possono consistere in un maggior assenteismo e rotazione
del personale, quindi minor efficacia e produttività poiché
non sono coinvolte soltanto per le vittime del mobbing, ma
anche gli altri colleghi, che risentono del clima psicosociale
negativo dell’ambiente di lavoro.
L’attore mobbizzato per difendersi deve porre in essere delle
vere e proprie strategie ed evitare certi errori che possono
compromettere maggiormente il suo benessere. E’ necessaria
la consapevolezza di non prendere decisioni irreversibili
come dimissioni per disperazione o accettazione di prepensionamenti
forzati. E’ efficace un certo comportamento per agevolare
le azioni di chi lo potrà assistere. E’ importante riuscire
a parlare razionalmente con i familiari e gli amici; è proprio
questo che aiuta ad acquisire la consapevolezza e a creare
un baluardo contro l’aggressore. Il mobbizzato, di contro,
nel chiedere aiuto non deve cadere nell’errore opposto, cioè
non deve lasciare agli altri la ricerca della soluzione. Questa
reazione potrebbe rendere insofferenti le persone che lo circondano
causando ulteriore solitudine e conflittualità.
E’
utile ricorrere ai servizi sociali, ovvero - ove presenti
- a centri specializzati, per un supporto psicologico, per
partecipare a gruppi di auto-aiuto, al fine di evitare per
quanto possibile che anche la famiglia e la vita sociale della
vittima vengano eccessivamente coinvolti dai conflitti lavorativi.
Può risultare altresì efficace tentare il dialogo con l’attore
mobber per possibili percorsi di soluzione del conflitto;
esperito tale tentativo di conciliazione con l’altra parte
l’ultima via che rimane è quella legale. Bisogna essere coscienti
però del fatto che intraprendere le vie legali comporta un
notevole dispendio di energie psico-fisiche ed economiche.
Senza
dubbio l’arma più potente che la vittima ha a disposizione
nella guerra al mobbing è la denuncia. Denunciare una situazione
di persecuzione psicologica sul luogo di lavoro non significa
necessariamente rivolgersi all’autorità giudiziaria o ai propri
superiori gerarchici. Ci sono altri modi per rivelare il proprio
status di mobbizzato cercando strategicamente l’effetto boomerang
verso il mobber, in particolare rompendo il silenzio del quale
il mobbing si nutre. In tal senso sono utili il coinvolgimento
di colleghi più sensibili e solidali, le denuncie ai giornali,
interventi in occasioni pubbliche. E’ importante spiegare
con calma i fatti e fare i nomi dei propri persecutori; spiegare
in quale occasione si è subito violenza psicologica e, soprattutto,
dichiarare di non essere più disponibile a sostenere il ruolo
della vittima.
Un’azione importante per il mobbizzato è documentarsi e rafforzare
se stesso. E’ necessario raggiungere quella consapevolezza
della propria situazione mettendosi in gioco in prima persona,
comprendendo che il supporto esterno (assistenti sociali,
psicologi, sindacati e avvocati) potranno essere dei validi
aiuti, ma non potranno sostituirsi all’azione della stessa
vittima. E’ utile rispondere ai tentativi di prevaricazione
in modo calmo, ma chiaro e deciso a far notare all’aggressore
e ai testimoni che la via intrapresa si identifica con un
termine specifico - il mobbing - per la conclusione del quale
si contrappone la presa di posizione pacata ma risoluta -
stessa propria - dell’attore mobbizzato, ovvero, extrema ratio,
esistono anche le vie legali.
Nel panorama del mobbing, certamente non trascurabile è l’azione
della prevenzione del fenomeno; prevenire è sempre meglio
che curare, pertanto, essa è un elemento ineludibile se si
vuole ricercare il benessere nella vita lavorativa ed evitare
l'emarginazione sociale. Importante per i responsabili del
processo lavorativo è intervenire per tempo, anticipando l’insorgere
di un ambiente di lavoro ostile, senza aspettare che siano
le vittime a lamentarsi.
Studi specifici hanno dimostrato che per un miglioramento
psicosociale generalizzato dell’ambiente di lavoro, laddove
possibile, è importante: contenere la parte delle attività
lavorative monotone e ripetitive; aumentare in maniera significativa
la comunicazione e, nel particolare, le informazioni concernenti
la mission; dare ai lavoratori, nei limiti della propria autonomia,
la possibilità di scegliere, tra possibili opzioni, le modalità
di esecuzione del proprio lavoro; sviluppare e sedimentare
- con le buone prassi - uno stile di leadership; evitare definizioni
inadeguate o imprecise e zone d’ombra di ruoli e mansioni.
E’, altresì, importante lo sviluppo di una politica e una
cultura organizzativa in cui lo standard e i valori siano
contro il mobbing, agendo con una formazione mirata per una
migliore e più esaustiva conoscenza del fenomeno. In tal senso
è quanto mai utile migliorare la responsabilità e la competenza
del management per quanto riguarda la gestione dei conflitti
e la comunicazione nel senso verticale ed orizzontale.
In
tal senso è determinante:
monitorare
le dinamiche e, nell’insorgenza di conflitti, indagare e definire
l’estensione e la natura del fenomeno;
predisporre una politica e definire chiari interventi validi
per tutti a prescindere dal ruolo e dalle mansioni;
facilitare una ragionevole consapevolezza dell’intero organigramma
sul significato del mobbing, coinvolgendo attivamente i dipendenti
ed i loro rappresentanti di base nella valutazione del rischio
e nell’utilità della prevenzione del mobbing;
impegnarsi deontologicamente ad impedire che i fatti segnalati
producano “rappresaglie” e/o mantenere la riservatezza;
fornire, laddove possibile, o informare sui servizi di consulenza
e di supporto disponibili per la vittima e per il mobber;
incentivare l’appropriazione attiva ed efficace dello standard
e dei valori dell’organizzazione a tutti i livelli organizzativi;
definire chiaramente le conseguenze dell’inosservanza dello
standard e dei valori dell’organizzazione, con le relative
sanzioni;
regolarizzare la comunicazione circolare tra il personale
con riunioni di lavoro, favorendo l’informazione con documenti
cartacei (promemoria, bollettini, manuali, ecc.);
definire la responsabilità del management e migliorare con
la formazione continua la sua competenza per quanto riguarda
la gestione dei conflitti e la comunicazione.
La formulazione di una politica contenente orientamenti chiari
- tra i lavoratori - per interazioni sociali positive è un
dovere per l’amministrazione che accoglie, ma, ancor di più,
è un diritto per ogni lavoratore e sinonimo del grado di efficienza
dello stesso mondo del lavoro ed evoluzione della società
che lo predispone.
*
Membro del Comitato
Tecnico-Giuridico dell'Osservatorio
 
Dossier
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