2010
dedicato alle donne dai diritti negati
di
Margherita Corriere*
Un nuovo anno è appena giunto: si festeggia, c’è aria di mille
buoni propositi, si spera in un anno migliore in cui il mondo
cambi veramente in meglio.
In questo inizio di un nuovo anno non possiamo non soffermarci
a dare voce alle donne afgane, donne che hanno avuto la sola
colpa di essere nate in un paese che non riconosce l’uguaglianza
tra l’uomo e la donna ed in cui ataviche leggi e regole maschiliste
e un assurdo integralismo religioso relegano la donna in una
condizione di disumana inferiorità. È importante non lasciare
mai nel dimenticatoio il loro dramma, ma parlarne sempre e
tanto.
Quanti
i divieti per le donne afgane!! Tutti lesivi della loro dignità
e dei primari diritti di ogni essere umano. Ecco che cosa
le donne afgane non possono fare: Non possono vestirsi di
colori vivaci , perché sarebbero sessualmente attraenti e
potrebbero “corrompere” l’uomo. Non possono – per lo stesso
motivo - usare cosmetici: guai ad essere scoperte! Ad alcune
donne sono state tagliate le dita solamente perché avevano
“ osato” dipingersi le unghie. Non possono scoprirsi le caviglie,
pena la lapidazione. Non possono portare i pantaloni, nemmeno
sotto il burqa.
Non possono uscire senza il burqa, ovvero l’abito “sacco”
imposto soprattutto dai Talebani e che deve coprire le donne
dalla testa ai piedi. Le donne che trasgrediscono a tale regola
possono essere aggredite, picchiate ed anche frustate. Non
possono portare le scarpe con il tacco, perché nessun uomo
deve essere “disturbato” dal rumore del passo di una donna.
Non possono studiare: solo alle bambine dei ceti più altolocati
è permesso di frequentare le scuole elementari femminili.
Non possono lavorare fuori casa; sono pochissime quelle che
lo fanno , alcune delle quali sono infermiere nell’ospedale
di Kabul ed esclusivamente nei reparti totalmente femminili.
Non possono viaggiare su mezzi pubblici tranne che non siano
quelli ad uso esclusivo per le donne. Non possono praticare
sport.
Non possono partecipare a trasmissioni televisive, radiofoniche,
né possono farsi fotografare o apparire in libri e giornali.
Non possono sostare e affacciarsi sui balconi di casa. Non
possono intrattenere discorsi, parlare o dare la mano ad uomo
tranne che non sia un parente stretto, cioè un mahram (padre,
fratello, marito). Non possono svolgere nessuna attività fuori
casa, nemmeno prendere un taxi se non accompagnate da un mahram.
Non possono andare in bicicletta o in moto da sole, ma sempre
accompagnate da un mahram.
Non possono avviare azioni legali: ciò spetta solo esclusivamente
agli uomini. A tal riguardo c’è da stigmatizzare, tra l’altro,
che la testimonianza di una donna vale meno della metà di
quella di un uomo. Nessuno in Afganistan può usare la parola
“donna”; anche nei nomi dei luoghi è vietata: “i giardini
delle donne” sono ora chiamati “ i giardini di primavera”.
Non
scordiamo il dramma quotidiano di queste donne, nostre contemporanee,
ma costrette a vivere in una società distante per cultura,
leggi e costumi anni luce dalla nostra. Parliamone, diamo
voce al silenzio doloroso di queste nostre sorelle, cerchiamo
di smuovere quella cortina di indifferenza che spesso circonda
le problematiche e le traversie patite ancora oggi dalle donne,
specialmente in alcune zone del mondo, dove diventano vittime
ed ostaggi di fondamentalismi pseudoreligiosi e ancestrali
tradizioni maschiliste.
*
Componente Comitato Tecnico-giuridico Osservatorio
sulla Legalità ed i Diritti Onlus
 
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