Il
caffe' di Sindona
di
staff
"Ristabilire la verità dei fatti è un debito che sentiamo
nei confronti della memoria di Ambrosoli. Inoltre ci sembra
che in questo nostro paese, dove troppi misteri rimangono
ancora avvolti nella nebbia più fitta, possa essere utile
un contributo che getta uno spiraglio di luce su circostanze
che misteriose non sono più, ma sulle quali permangono disinformazione
e pregiudizio."
Gianni Simoni e Giuliano Turone
La storia d’Italia è punteggiata di misteri. Uno dei più inquietanti
è probabilmente quello della morte di Michele Sindona nel
marzo del 1986. Conosciamo
la causa del decesso: un caffè al cianuro bevuto nella sua
cella nel carcere di Voghera, un caffé simile a quello alla
stricnina che uccise Gaspare Pisciotta ai tempi del bandito
Giuliano. Ma chi mise il veleno nella tazzina? E perché?
Per
capirlo, è necessario in primo luogo ricostruire la biografia
e la personalità del banchiere siciliano. Sindona è stato
senz’altro un grande protagonista dei nostri anni Sessanta
e Settanta. Finanziere potentissimo, intratteneva rapporti
con importanti uomini politici al di qua e al di là dell’oceano:
nel 1973 Andreotti lo definì «salvatore della lira» e nel
1974 l’ambasciatore usa in Italia lo premiò come «Uomo dell’anno»;
era uno degli uomini di fiducia del Vaticano, e in particolare
dello ior diretto da Paul Marcinkus, ma aveva anche legami
con la mafia.
Iscritto
alla P2 di Licio Gelli, fu lui a introdurre Roberto Calvi
negli ambienti di quella loggia segreta, oltre che in quelli
vaticani e in quelli mafiosi: i due banchieri erano infatti
legati da un intrico di affari avventurosi che avrebbero portato
entrambi alla rovina. Sindona fu processato e condannato per
bancarotta fraudolenta sia negli Stati Uniti sia in Italia
e successivamente fu anche condannato all’ergastolo come mandante
dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario
liquidatore della sua Banca Privata Italiana. Quando bevve
il caffè avvelenato, un paio di giorni dopo quest’ultima condanna,
era l’unico ospite di un’ala super-sorvegliata del carcere
di Voghera.
Delineato il contesto, il secondo e fondamentale aspetto che
il libro "Il caffè di Sindona" approfondisce riguarda
le circostanze della morte del banchiere siciliano: i tempi
e i modi dell’avvelenamento, ma anche le condizioni di detenzione,
i metodi di sorveglianza, i possibili rapporti con il mondo
esterno e i problemi che lo affliggevano nell’ultimo scorcio
di vita. Gianni Simoni e Giuliano Turone ricostruiscono lo
scenario generale e i dettagli di quel giorno fatale, ripercorrendo
la storia di quegli anni e le carte processuali. Ne esce un
racconto avvincente come un romanzo, che fa luce su una personalità
al centro di mille trame e sulla sua tragica fine.
Giuliano Turone, ex magistrato, si è accupato per molti anni
di criminalità mafiosa e di criminalità economica. Come giudice
istruttore, ha condotto insieme con Gherardo Colombo l’inchiesta
giudiziaria milanese sull’omicidio Ambrosoli nel corso della
quale vennero scoperti gli elenchi della Loggia massonica
P2. Insegna tecniche dell’investigazione all’Università Cattolica
di Milano.
Gianni
Simoni, ex magistrato, ha condotto quale giudice istruttore
indagini in materia di criminalità organizzata, di eversione
nera e di terrorismo. Presso la Procura generale milanese
ha sostenuto l’accusa nel processo d’appello per l’omicidio
Ambrosoli e ha condotto l’inchiesta giudiziaria sulla morte
di Michele Sindona nel carcere di Voghera.
Il caffè di Sindona
Un finanziere d’avventura tra politica,
Vaticano e mafia
di Gianni Simoni e Giuliano Turone
ed Garzanti 2009
 
Dossier
mafia e antimafia
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