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25 novembre 2009
tutti gli speciali

Tessera del tifoso : fra marketing e attenuazione dei diritti
di Biagio Rizzo*

La tessera del tifoso è una card dedicata a tutti i tifosi di calcio e rappresenta una modalità di fidelizzazione messa in atto dai club calcistici al fine di creare la categoria degli “spettatori ufficiali”. I possessori della tessera possono godere di una serie di vantaggi: percorsi preferenziali e con controlli limitati negli impianti sportivi, ottenimento di sconti su altre manifestazioni organizzate dalle società, sconti su enti convenzionati (es. ferrovie dello Stato, Autogrill) ed agevolazioni commerciali nei punti vendita (raccolta punti, sconti negli store ufficiali delle società), diritto di prelazione e possibilità di poter acquistare altri tagliandi oltre al proprio.

In sostanza, si tratta di una tessera multi-servizi con lo scopo di rendere il supporter sempre più legato alla società, in un’ottica di commercializzazione e consolidamento del rapporto società-tifoso. La tessera, che inizialmente sarebbe dovuta entrare in vigore obbligatoriamente il 31 dicembre di quest’anno, è stata contestata aspramente da tutte le tifoserie organizzate, ma anche da molti addetti ai lavori, che ne hanno sottolineato gli aspetti ambigui. Vediamo perché.

La tessera del tifoso unisce all’aspetto commerciale un risvolto legato alla sicurezza ed al controllo (forse sarebbe meglio dire “schedatura”) del tifoso che, a detta di molti, risulterebbe tra l’altro inutile(perché duplica altri provvedimenti in vigore), fino a sfiorare importanti profili di costituzionalità. Secondo gli ideatori invece, la tessera è un utile strumento che contribuirà ad aumentare gli standard di sicurezza all’interno degli stadi. Per ottenere la tessera è necessario ottenere il nulla osta dalla Questura, che autorizza le società a rilasciare la carta. La questura rilascia l’autorizzazione solo dopo una serie di verifiche: è necessario non essere destinatari di DASPO ( divieto di accedere a manifestazioni sportive) in corso o non aver subito condanne per “reati da stadio” negli ultimi cinque anni.

Secondo il disegno originario, dal 31 dicembre la tessera sarebbe dovuta essere obbligatoria per accedere al settore ospiti degli impianti sportivi e quindi, di fatto vietava le trasferte ad i non possessori della card. Questo è stato uno degli spunti che ha provocato più di tutti l’ira degli ultras, che hanno fatto sentire la loro voce organizzando una serie di manifestazioni, scioperi e sit-in contro l’ennesimo provvedimento repressivo nei loro confronti.

Procedendo con ordine, risulta vantaggioso riferire un po’ di storia della tessera, e capire da dove essa prenda le mosse: ovviamente l’idea nasce in Inghilterra, la nazione che forse più di tutte dovette affrontare il problema della violenza ultras e che, prima di tutte, adottò strumenti (a volte discutibili) per risolverla. Uno dei provvedimenti adottati dalle autorità per combattere il fenomeno degli hooligans fu, per l’appunto, la tessera del tifoso (membership card). Il Chelsea FC fece da società pilota al progetto, creando una fidelizzazione del tifoso al marchio della società. Trattandosi di una sorta di contratto normato dalla disciplina civilistica britannica, la società Chelsea FC poteva rifiutarsi di concedere la “membership card” a singoli tifosi che risultavano non graditi, ad esempio per pregresse intemperanze o comportamenti connotati da violenza o ubriachezza.

Veniamo ora all’analisi dei fondamenti normativi della tessera. L’articolo che, di fatto, la istituisce è contenuto all’interno della Legge Amato n. 41/2007 ( quella emanata all’indomani della morte dell’ispettore Raciti a Catania), precisamente all’articolo 9: “E' fatto divieto alle società organizzatrici di competizioni riguardanti il gioco del calcio, responsabili dell'emissione, distribuzione, vendita e cessione del titolo di accesso […], di mettere, vendere o distribuire titoli di accesso a soggetti che siano stati destinatari di provvedimenti di cui all'art. 6 della legge 13 dicembre 1989 n. 401[DASPO] ovvero a soggetti che siano stati, comunque, condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive”.

E’ utile ricordare che il Daspo è provvedimento amministrativo, immediatamente efficace, che vieta l’accesso ad una manifestazione sportiva, per un periodo di tempo. Dalla lettera dell’articolo sembrerebbe che il tifoso, che in passato è stato raggiunto da DASPO o che è stato condannato per reati “da stadio” anche con una sentenza non definitiva, non potrà mai più acquistare la Tessera del Tifoso e di conseguenza non potrà accedere allo stadio, in trasferta.

La norma è oscura e quanto meno ambigua. E’ giusto che un tifoso, raggiunto da DASPO regolarmente scontato, o che magari abbia vinto il ricorso al Tar con conseguente annullamento del provvedimento non possa, oggi, acquistare la Tessera del Tifoso? Possono comprare la tessera coloro i quali hanno avuto una sentenza di condanna di primo grado ma poi sono stati assolti in appello o chi, invece, ha patteggiato la pena? Può acquistare la tessera chi ha avuto un Daspo di tre mesi tra un campionato e l’altro e non ha fatto ricorso solo per poter riprendere ad andare allo stadio la stagione successiva?

Le intenzioni del legislatore, dunque, non risultano chiare e proprio per questo è intervenuto l’Osservatorio sulle manifestazioni sportive che, attraverso un documento, ha attenuato la portata repressiva della legge, indicando che risultano esclusi dalla possibilità di acquistare la Tessera del Tifoso solo coloro che hanno, al momento dell'acquisto, un DASPO in corso. Non puntualizzano nulla, invece, riguardo le sentenze di condanna per reati da stadio, anche non definitive. E’ chiaro che occorrerebbe una correzione alla norma, sostituendo il “siano stati destinatari” con un più congruo “siano destinatari” di provvedimenti. In ogni caso, per quanto riguarda le condanne ai reati da stadio la norma è chiara e non ammetterebbe deroghe: chi è stato condannato, anche nel solo primo grado non potrà più acquistare la Tessera del Tifoso. Risulta palese la violazione dell’articolo 27 della Costituzione che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva.

Il problema maggiore si verifica nei confronti di chi non è mai stato condannato o nemmeno raggiunto da DASPO, ma subisce la notifica di una diffida (c.d. “preventiva”) basata sull'ultimo capoverso dell’art. 6 c. 1 l. 401/89 (legge che introdusse il DASPO) come introdotto dalla Novella Amato: “Il divieto di cui al presente comma può essere, altresì, disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi [es. semplice frequentazione di un gruppo ultras, frequentazione contemporanea di un gruppo politico e ultras assieme, frequentazione di un settore della curva ritenuto non pacifico ecc.] risulta avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse”. Queste persone non avranno diritto alla tessera, senza aver avuto la possibilità di difendersi in un regolare processo.

Ecco perché il movimento ultras è in fibrillazione. Vede nel provvedimento un subdolo tentativo di eliminare le tifoserie organizzate a vantaggio del semplice tifoso consumatore e, dal punto di vista giuridico, teme la reintroduzione della c.d. “pericolosità presunta”, da tempo eliminata nel nostro ordinamento e l’aggiramento di ogni dimensione temporale data dalla legge stessa al DASPO. Anche dal punto di vista culturale il provvedimento in esame risulta discutibile, perché è il frutto di quel concetto di “animalizzazione” del tifoso, privato di alcuni diritti, perché imprevedibile e pericoloso. In questo senso il tifoso va ad inserirsi nella tipica legislazione settoriale che tende a normare, ma forse anche a ghettizzare alcune categorie di soggetti ritenute pericolose per l’ordine sociale: si pensi all’extracomunitario, al bullo, al guidatore del sabato sera.

In conclusione, è proprio l’ambiguità del provvedimento a renderlo criticabile. La tessera del tifoso è progetto di fidelizzazione del tifoso in ottica commerciale da un lato e strumento per contrastare la violenza negli stadi dall’altro. Una doppia valenza che non lascia intravedere la vera ratio della norma. E’ sacrosanto, benché inquietante, per le società di calcio proseguire sulla strada del consumismo estremo (d’altronde sono delle aziende ed in quanto tali adottano una logica di profitto) e, in quest’ottica, la tessera del tifoso si inserisce perfettamente nel meccanismo turbo-capitalista in atto nel calcio-business moderno. Ma perché legare a questo progetto un fine statale, collettivo come quello della pubblica sicurezza? Forse il progetto del tifoso-consumatore passa strategicamente dal controllo e dalla selezione dei tifosi?

Questo interrogativo aleggia, purtroppo, attorno a questo contestato provvedimento. E’ notizia di pochi giorni fa che l’entrata in vigore della tessera è stata fissata per la prossima stagione calcistica. I motivi dello slittamento risiedono probabilmente nelle proteste di molte tifoserie, ma più realisticamente dalla pressione di alcune società, contrarie alla tessera e dalle dichiarazioni scettiche di alcuni esponenti di rilievo del mondo calcistico. Il pericolo, per il momento, è scampato.

Rimane, comunque, il vulnus giuridico dell’articolo 9, non certamente colmabile dai comunicati riparatori del ministero. L’impressione è che, a ridosso dell’entrata in vigore della tessera, le polemiche divamperanno più forti di adesso, con i tifosi organizzati nuovamente sul piede di guerra per non vedere calpestati i loro diritti.

* giurista, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio

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