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Tessera
del tifoso : fra marketing e attenuazione dei diritti
di
Biagio Rizzo*
La
tessera del tifoso è una card dedicata a tutti i tifosi di
calcio e rappresenta una modalità di fidelizzazione messa
in atto dai club calcistici al fine di creare la categoria
degli “spettatori ufficiali”. I possessori della tessera possono
godere di una serie di vantaggi: percorsi preferenziali e
con controlli limitati negli impianti sportivi, ottenimento
di sconti su altre manifestazioni organizzate dalle società,
sconti su enti convenzionati (es. ferrovie dello Stato, Autogrill)
ed agevolazioni commerciali nei punti vendita (raccolta punti,
sconti negli store ufficiali delle società), diritto di prelazione
e possibilità di poter acquistare altri tagliandi oltre al
proprio.
In sostanza, si tratta di una tessera multi-servizi con lo
scopo di rendere il supporter sempre più legato alla società,
in un’ottica di commercializzazione e consolidamento del rapporto
società-tifoso. La
tessera, che inizialmente sarebbe dovuta entrare in vigore
obbligatoriamente il 31 dicembre di quest’anno, è stata contestata
aspramente da tutte le tifoserie organizzate, ma anche da
molti addetti ai lavori, che ne hanno sottolineato gli aspetti
ambigui. Vediamo perché.
La tessera del tifoso unisce all’aspetto commerciale un risvolto
legato alla sicurezza ed al controllo (forse sarebbe meglio
dire “schedatura”) del tifoso che, a detta di molti, risulterebbe
tra l’altro inutile(perché duplica altri provvedimenti in
vigore), fino a sfiorare importanti profili di costituzionalità.
Secondo gli ideatori invece, la tessera è un utile strumento
che contribuirà ad aumentare gli standard di sicurezza all’interno
degli stadi. Per ottenere la tessera è necessario ottenere
il nulla osta dalla Questura, che autorizza le società a rilasciare
la carta. La questura rilascia l’autorizzazione solo dopo
una serie di verifiche: è necessario non essere destinatari
di DASPO ( divieto di accedere a manifestazioni sportive)
in corso o non aver subito condanne per “reati da stadio”
negli ultimi cinque anni.
Secondo il disegno originario, dal 31 dicembre la tessera
sarebbe dovuta essere obbligatoria per accedere al settore
ospiti degli impianti sportivi e quindi, di fatto vietava
le trasferte ad i non possessori della card. Questo è stato
uno degli spunti che ha provocato più di tutti l’ira degli
ultras, che hanno fatto sentire la loro voce organizzando
una serie di manifestazioni, scioperi e sit-in contro l’ennesimo
provvedimento repressivo nei loro confronti.
Procedendo con ordine, risulta vantaggioso riferire un po’
di storia della tessera, e capire da dove essa prenda le mosse:
ovviamente l’idea nasce in Inghilterra, la nazione che forse
più di tutte dovette affrontare il problema della violenza
ultras e che, prima di tutte, adottò strumenti (a volte discutibili)
per risolverla. Uno dei provvedimenti adottati dalle autorità
per combattere il fenomeno degli hooligans fu, per l’appunto,
la tessera del tifoso (membership card). Il Chelsea FC fece
da società pilota al progetto, creando una fidelizzazione
del tifoso al marchio della società. Trattandosi di una sorta
di contratto normato dalla disciplina civilistica britannica,
la società Chelsea FC poteva rifiutarsi di concedere la “membership
card” a singoli tifosi che risultavano non graditi, ad esempio
per pregresse intemperanze o comportamenti connotati da violenza
o ubriachezza.
Veniamo
ora all’analisi dei fondamenti normativi della tessera. L’articolo
che, di fatto, la istituisce è contenuto all’interno della
Legge Amato n. 41/2007 ( quella emanata all’indomani della
morte dell’ispettore Raciti a Catania), precisamente all’articolo
9: “E' fatto divieto alle società organizzatrici di competizioni
riguardanti il gioco del calcio, responsabili dell'emissione,
distribuzione, vendita e cessione del titolo di accesso […],
di mettere, vendere o distribuire titoli di accesso a soggetti
che siano stati destinatari di provvedimenti di cui all'art.
6 della legge 13 dicembre 1989 n. 401[DASPO] ovvero a soggetti
che siano stati, comunque, condannati, anche con sentenza
non definitiva, per i reati commessi in occasione o a causa
di manifestazioni sportive”.
E’ utile ricordare che il Daspo è provvedimento amministrativo,
immediatamente efficace, che vieta l’accesso ad una manifestazione
sportiva, per un periodo di tempo. Dalla lettera dell’articolo
sembrerebbe che il tifoso, che in passato è stato raggiunto
da DASPO o che è stato condannato per reati “da stadio” anche
con una sentenza non definitiva, non potrà mai più acquistare
la Tessera del Tifoso e di conseguenza non potrà accedere
allo stadio, in trasferta.
La norma è oscura e quanto meno ambigua. E’ giusto che un
tifoso, raggiunto da DASPO regolarmente scontato, o che magari
abbia vinto il ricorso al Tar con conseguente annullamento
del provvedimento non possa, oggi, acquistare la Tessera del
Tifoso? Possono comprare la tessera coloro i quali hanno avuto
una sentenza di condanna di primo grado ma poi sono stati
assolti in appello o chi, invece, ha patteggiato la pena?
Può acquistare la tessera chi ha avuto un Daspo di tre mesi
tra un campionato e l’altro e non ha fatto ricorso solo per
poter riprendere ad andare allo stadio la stagione successiva?
Le intenzioni del legislatore, dunque, non risultano chiare
e proprio per questo è intervenuto l’Osservatorio sulle manifestazioni
sportive che, attraverso un documento, ha attenuato la portata
repressiva della legge, indicando che risultano esclusi dalla
possibilità di acquistare la Tessera del Tifoso solo coloro
che hanno, al momento dell'acquisto, un DASPO in corso. Non
puntualizzano nulla, invece, riguardo le sentenze di condanna
per reati da stadio, anche non definitive. E’ chiaro che occorrerebbe
una correzione alla norma, sostituendo il “siano stati destinatari”
con un più congruo “siano destinatari” di provvedimenti. In
ogni caso, per quanto riguarda le condanne ai reati da stadio
la norma è chiara e non ammetterebbe deroghe: chi è stato
condannato, anche nel solo primo grado non potrà più acquistare
la Tessera del Tifoso.
Risulta palese la violazione dell’articolo 27 della Costituzione
che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva.
Il problema maggiore si verifica nei confronti di chi non
è mai stato condannato o nemmeno raggiunto da DASPO, ma subisce
la notifica di una diffida (c.d. “preventiva”) basata sull'ultimo
capoverso dell’art. 6 c. 1 l. 401/89 (legge che introdusse
il DASPO) come introdotto dalla Novella Amato: “Il divieto
di cui al presente comma può essere, altresì, disposto nei
confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi [es. semplice
frequentazione di un gruppo ultras, frequentazione contemporanea
di un gruppo politico e ultras assieme, frequentazione di
un settore della curva ritenuto non pacifico ecc.] risulta
avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione
attiva ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni
sportive o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica
in occasione o a causa delle manifestazioni stesse”. Queste
persone non avranno diritto alla tessera, senza aver avuto
la possibilità di difendersi in un regolare processo.
Ecco
perché il movimento ultras è in fibrillazione. Vede nel provvedimento
un subdolo tentativo di eliminare le tifoserie organizzate
a vantaggio del semplice tifoso consumatore e, dal punto di
vista giuridico, teme la reintroduzione della c.d. “pericolosità
presunta”, da tempo eliminata nel nostro ordinamento e l’aggiramento
di ogni dimensione temporale data dalla legge stessa al DASPO.
Anche dal punto di vista culturale il provvedimento in esame
risulta discutibile, perché è il frutto di quel concetto di
“animalizzazione” del tifoso, privato di alcuni diritti, perché
imprevedibile e pericoloso. In questo senso il tifoso va ad
inserirsi nella tipica legislazione settoriale che tende a
normare, ma forse anche a ghettizzare alcune categorie di
soggetti ritenute pericolose per l’ordine sociale: si pensi
all’extracomunitario, al bullo, al guidatore del sabato sera.
In
conclusione, è proprio l’ambiguità del provvedimento a renderlo
criticabile. La tessera del tifoso è progetto di fidelizzazione
del tifoso in ottica commerciale da un lato e strumento per
contrastare la violenza negli stadi dall’altro. Una doppia
valenza che non lascia intravedere la vera ratio della norma.
E’ sacrosanto, benché inquietante, per le società di calcio
proseguire sulla strada del consumismo estremo (d’altronde
sono delle aziende ed in quanto tali adottano una logica di
profitto) e, in quest’ottica, la tessera del tifoso si inserisce
perfettamente nel meccanismo turbo-capitalista in atto nel
calcio-business moderno. Ma
perché legare a questo progetto un fine statale, collettivo
come quello della pubblica sicurezza? Forse il progetto del
tifoso-consumatore passa strategicamente dal controllo e dalla
selezione dei tifosi?
Questo
interrogativo aleggia, purtroppo, attorno a questo contestato
provvedimento. E’ notizia di pochi giorni fa che l’entrata
in vigore della tessera è stata fissata per la prossima stagione
calcistica. I motivi dello slittamento risiedono probabilmente
nelle proteste di molte tifoserie, ma più realisticamente
dalla pressione di alcune società, contrarie alla tessera
e dalle dichiarazioni scettiche di alcuni esponenti di rilievo
del mondo calcistico. Il pericolo, per il momento, è scampato.
Rimane,
comunque, il vulnus giuridico dell’articolo 9, non certamente
colmabile dai comunicati riparatori del ministero. L’impressione
è che, a ridosso dell’entrata in vigore della tessera, le
polemiche divamperanno più forti di adesso, con i tifosi organizzati
nuovamente sul piede di guerra per non vedere calpestati i
loro diritti.
*
giurista, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
Dossier
sport e legalita'
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