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29 ottobre 2009
tutti gli speciali

Immigrazione : rapporto Caritas , pregiudizi infondati
di Tamara Gallera

In Italia sono oltre quattro milioni gli immigrati (comunitari e non), ma le migrazioni vanno collocate nel contesto socioeconomico mondiale e spiegate con lo squilibrio della ricchezza fra le varie aree del pianeta. Queste alcune delle conclusioni del rapporto Caritas-Migrantes presentato ieri a Roma.

I NUMERI

L'immigrazione non ha arrestato la sua crescita, spiega il rapporto, aggiungendo che "L’aumento annuo di 250 mila unità, considerato nelle previsioni dell’Istat come scenario alto, è risultato inferiore a quanto effettivamente avvenuto (+458.644 residenti nel 2008, +13,4% rispetto all’anno precedente)". L'Italia oltrepassa abbondantemente i 4,5 milioni di presenze: siamo sulla scia della Spagna (oltre 5 milioni) e non tanto distanti dalla Germania (circa 7 milioni). Nei Paesi di più antica tradizione migratoria, però, è molto più elevato il numero di cittadini nazionali di origine immigrata, essendo più agevole la normativa sull’accesso alla cittadinanza: in Francia il 23% della popolazione ha genitori o nonni di origine immigrata; in Germania, mentre i cittadini stranieri sono scesi a circa l’8%, quelli con un passato migratorio raggiungono ben il 18%. In Italia, dove questa distinzione non è statisticamente agevole, nel 2008 si è giunti a quasi 40 mila casi di acquisizione di cittadinanza a seguito di matrimonio o di anzianità di residenza.

Nel nostro Paese continua a prevalere la presenza di origine europea (53,6%, per più della metà da Paesi comunitari). Seguono gli africani (22,4%), gli asiatici (15,8%) e gli americani (8,1%). Risulta fortemente attenuato il policentrismo delle provenienze, che per molti anni è stato una spiccata caratteristica dell’immigrazione italiana: le prime 5 collettività superano la metà dell’intera presenza (800 mila Romeni, 440 mila Albanesi, 400 mila Marocchini, 170 mila Cinesi e 150 mila Ucraini). A livello territoriale il Centro (25,1%) e il Meridione (12,8%) sono molto distanziati dal Nord quanto a numero di residenti stranieri (62,1%), così come il Lazio (11,6%) lo è dalla Lombardia (23,3%), tra l’altro preceduto, seppure di poco, dal Veneto (11,7%).

Secondo lo studio, "Il dinamismo della popolazione straniera è da ricondurre principalmente alla sua evoluzione demografica da una parte e alla domanda di occupazione del Paese dall’altra, mentre influiscono in misura veramente minima le poche decine di 2 migliaia di sbarchi, pari a meno dell’1% della presenza regolare. Nel 2008 sono state 36.951 le persone sbarcate sulle coste italiane, 17.880 i rimpatri forzati, 10.539 gli stranieri transitati nei centri di identificazione ed espulsione e 6.358 quelli respinti alle frontiere. Non si tratta neppure di un cinquantesimo rispetto alla presenza di immigrati regolari in Italia, eppure il contrasto dei flussi irregolari ha monopolizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e le decisioni politiche; tanto più che il rapporto tra allontanati e intercettati è di 34 ogni 100 (il più basso dal 2004) e si registra una crescente confusione tra immigrati 'clandestini', irregolari, richiedenti asilo e persone aventi diritto alla protezione umanitaria".

In Italia, 1 abitante su 14 (7,2%) è di cittadinanza straniera. L’incidenza è maggiore tra i minori e i giovani adulti (18-44 anni), con conseguente maggiore visibilità a scuola e nel mercato del lavoro. Più di un quinto della popolazione straniera è costituito da minori (862.453), 5 punti percentuali in più rispetto a quanto avviene tra gli italiani (22% contro 16,7%). I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (72.472) hanno inciso nel 2008 per il 12,6% sulle nascite totali registrate in Italia, ma il loro apporto è pari a un sesto se si considerano anche i figli di un solo genitore straniero. Ad essi si sono aggiunti altri 40.000 minori venuti a seguito di ricongiungimento. Tra nati in Italia e ricongiunti, il 2008 è stato l’anno in cui i minori, per la prima volta, sono aumentati di oltre 100 mila unità. A chiedere il ricongiungimento il più delle volte (65,6%) è una persona sola; negli altri casi l’interessato vive con uno o più individui, a testimonianza di un processo di inserimento sempre più avanzato. L’età media degli stranieri è di 31 anni, contro i 43 degli italiani. Tra i cittadini stranieri gli ultrasessantacinquenni sono solo il 2%. L’immigrazione è dunque anche una ricchezza demografica per la popolazione italiana, che va incontro al futuro con un tasso di invecchiamento accentuato; e lo è specialmente per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, molti dei quali senza questo supporto sarebbero in prospettiva a rischio di spopolamento.

MIGRANTI PER BISOGNO

Per la Caritas, "Le migrazioni si collocano nel contesto di un mondo ingiusto e inducono a prendere in considerazione le ragioni dei Paesi di origine. La ricchezza mondiale è tale da poter assicurare a ogni abitante i mezzi per vivere dignitosamente (a parità di potere d’acquisto, il PIL pro capite è di 10.206 dollari): una finalità attualmente impossibile a causa della sua ineguale distribuzione. I Pvs, dove vive l’85% della popolazione, non hanno a disposizione neppure la metà della ricchezza mondiale (46,1%) e si attestano su un reddito medio pro capite di 5.500 dollari, contro i 36.000 dollari dei Psa. Le condizioni dei singoli Paesi sono molto differenziate e ancora troppe persone vivono in condizioni di povertà strutturale, concentrate specialmente in Africa e in Asia. Le pesone che soffrono la fame sono aumentate e arrivano a un miliardo. Alla fine del 2008 sono state 42 milioni le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni. Vi sono milioni di persone che non dispongono neppure di 1 dollaro al giorno, e altre, nei Paesi ricchi, che in media ne hanno a disposizione 100 al giorno".

"Si ripete lo slogan di 'aiutare gli immigrati a casa loro', con l’intento di far passare per sagge politiche restrittive alle quali corrisponde il disimpegno sul piano degli aiuti - commenta il rapporto - I 'grandi della Terra', nei loro incontri, rinnovano le promesse di intervento, ma si tratta degli stessi impegni presi nel passato e finora non mantenuti", dato che molti Paesi, in particolare l’Italia, sono ben lontani dal devolvere per lo sviluppo lo 0,7% del Prodotto interno lordo, stabilito come obiettivo minimo a livello internazionale. "È vero - osserva la Caritas - che l’Italia è un Paese con molti problemi (povertà, usura, stipendi bassi, questione del Mezzogiorno ecc.), ma ciò non giustifica il disimpegno rispetto al problema dello sviluppo mondiale e neppure la chiusura nei confronti dell’immigrazione".

CRIMINALITA' E SFRUTTAMENTO

Tra gli Italiani intervistati di recente, 6 su 10 attribuiscono agli stranieri un tasso di criminalità più alto e, perciò, è necessario approfondire i dati statistici disponibili e rispondere in maniera argomentata a tre questioni: è quanto ha cercato di fare il Dossier con l’agenzia “Redattore Sociale”. Prima questione: se l’aumento della criminalità sia dovuto in maniera più che proporzionale all’aumento della popolazione residente. La risposta è negativa. Nel periodo 2001- 2005 l’aumento degli stranieri residenti è stato del 101% e l’aumento delle denunce presentate contro stranieri del 46%. Alla stessa conclusione è giunta la Banca d’Italia in una ricerca imperniata sui dati relativi al periodo 1990-2003.

Seconda questione: se gli stranieri regolari siano caratterizzati da un tasso di criminalità superiore a quello degli italiani. A prima vista sembrerebbe proprio così: nel 2005 l’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente è stata del 4,5% e l’incidenza sulle denunce penali con autore noto del 23,7% (130.131 su 550.590). In realtà, solo nel 28,9% dei casi sono implicati stranieri legalmente presenti e ciò abbassa il loro tasso di criminalità, che scende ulteriormente ipotizzando che anche gli italiani che delinquono siano per il 92,5% concentrati tra i ventenni e i trentenni (come accade tra gli stranieri) e considerando che il confronto non tiene conto dei reati contro la normativa sull’immigrazione: alla fine, il tasso di criminalità risulta essere analogo per italiani e stranieri.

Terza questione: se gli stranieri irregolari si caratterizzino per i loro comportamenti delittuosi. È vero che, in proporzione, sono più elevate le denunce a loro carico, da riferire in parte al loro stato di maggiore precarietà e in parte anche al loro coinvolgimento nelle spire della criminalità organizzata. Tuttavia, risulta infondata l’equiparazione tra irregolare e delinquente, come dimostra il fatto che la metà degli attuali quattro milioni di residenti sono stati irregolari, come lo erano, fino al mese di agosto 2009, le 300 mila collaboratrici familiari prima della domanda di emersione. Il boom della criminalità era già avvenuto in Italia all’inizio degli anni ’90 e, rispetto ad allora, il livello delle denunce è rimasto lo stesso. Certamente anche gli immigrati possono delinquere e su questo bisogna vigilare, senza tuttavia trasformarli in un capro espiatorio del nostro disagio sociale.

Tra i 200 milioni di migranti nel mondo, si contano ben 12,3 milioni di vittime di sfruttamento lavorativo e 1,4 milioni di vittime di sfruttamento sessuale, con una vasta area di irregolarità che di per sé espone più facilmente alla precarietà e ai soprusi. Gli immigrati, associati in maniera ricorrente alla criminalità, evidenziano invece il basso tasso di legalità del nostro Paese, come dimostrano le assunzioni in nero, il ricorso al caporalato, l’evasione contributiva, l’inosservanza delle norme contrattuali, il mancato riconoscimento delle qualifiche. Per questi motivi, l’azione svolta per liberare le donne vittime della tratta è stata allargata anche alle vittime di sfruttamento lavorativo e, dal 2000, in media ogni anno sono state assistitite 1.200 persone con progetti finanziati dal Dipartimento delle Pari Opportunità.

LAVORO

Anche in un anno di crisi incipiente, come è stato il 2008, l’apporto degli immigrati è risultato così necessario da far aumentare il loro numero tra gli occupati di 200 mila unità. Del resto, nel mercato occupazionale italiano l’internazionalizzazione è in corso da tempo e i lavoratori nati all’estero sono il 15,5% del totale. Tra di essi non mancano gli italiani di ritorno (a testimonianza degli oltre 4 milioni di emigrati italiani residenti all’estero), ma la stragrande maggioranza è costituita da lavoratori stranieri, il cui afflusso si è incrementato specialmente nell’ultimo decennio. I lavoratori stranieri in senso stretto sono quasi un decimo degli occupati e contribuiscono per una analoga quota alla creazione della ricchezza del Paese, come posto in risalto, rispettivamente, dalle indagini trimestrali dell’Istat sulla forza lavoro e dalle ricerche di Unioncamere. Come risaputo, i motivi di lavoro sono, insieme ai motivi familiari, quelli che attestano il carattere di insediamento stabile dell’immigrazione.

Il rapporto Caritas rivela che si tratta di persone spesso inserite da molti anni sul posto di lavoro e che, superando difficili condizioni di partenza, oggi presentano queste caratteristiche:
• un tasso di attività di 11 punti più elevato rispetto alla media (73,3 vs 62,3);
• estrema motivazione a riuscire, per il fatto che per loro la migrazione rappresenta una scelta esistenziale forte;
• disponibilità a svolgere un’ampia gamma di lavori, da cui deriva anche la loro alta concentrazione nei settori meno appetibili per gli italiani;
• esposizione a maggiori condizioni di rischio sul lavoro (143.651 infortuni nel 2008, dei quali 176 mortali);
• scarso grado di gratificazione (soprattutto per via del mancato riconoscimento delle qualifiche e dell’inserimento in posti occupazionali di basso livello);
• necessità di sostenere i familiari rimasti in patria (ai quali nel 2008 hanno inviato 6,4 miliardi di € con le rimesse);
• sottoposizione ad atteggiamenti di diffidenza e, da ultimo, anche di ostilità, con ricorrenti atti di vero e proprio razzismo.

1 milione sono anche, secondo stime, le donne immigrate che si prendono cura delle nostre famiglie. La regolarizzazione realizzatasi a settembre 2009 e chiusasi con 294.744 domande di assunzione di lavoratori non comunitari come collaboratori familiari o badanti ha evidenziato ancora una volta la complementarità tra esigenze della popolazione italiana e disponibilità di quella immigrata. L’operazione ha fruttato anche 154 milioni di euro in contributi arretrati e marche, mentre nel periodo 2010-2012 farà entrare nelle casse dell’Inps 1,3 miliardi di euro supplementari. Nel settore del lavoro imprenditoriale, si contano 187.466 cittadini stranieri titolari di impresa, in prevalenza a carattere artigiano, che garantiscono il lavoro a loro stessi e anche a diversi dipendenti (attorno ai 200 mila, secondo la stima riportata nel libro ImmigratImprenditori della Fondazione Ethnoland).

Sul piano economico i dati relativi al 2007 evidenziano, innanzi tutto, il consistente apporto degli immigrati all’economia italiana: si tratta, secondo Unioncamere, di 134 miliardi di euro, pari al 9,5% del prodotto interno lordo. I versamenti contributivi effettuati all’Inps sono stati stimati dal Dossier pari a oltre 7 miliardi di euro, dei quali oltre 2,4 miliardi pagati direttamente dai lavoratori stranieri e la restante quota dai datori di lavoro. Invece, la stima del gettito fiscale, includendo le tasse più rilevanti, è di oltre 3,2 miliardi di euro. Ne deriva che, direttamente dalle buste paga dei lavoratori immigrati, provengono in totale 5,6 miliardi di euro (ma secondo la Cgia anche di più). Pur nella difficoltà di calcolare l’incidenza degli immigrati sulla spesa sociale, non mancano i tentativi in tal senso e la Banca d’Italia stima che agli immigrati vada il 2,5% di tutte le spese di istruzione, pensione, sanità e prestazioni di sostegno al reddito, all’incirca la metà di quello che assicurano in termini di gettito.

CONVIVENZA

Le acquisizioni di cittadinanza (39.484 nel 2008) sono quadruplicate rispetto al 2000 e più che quintuplicate (53.696) se si tiene conto anche delle cittadinanze riconosciute direttamente dai Comuni. Neppure la rigidità della normativa costituisce un freno al dinamismo dell’integrazione e ormai in 4 casi su 10 l’acquisizione della cittadinanza viene concessa a seguito della residenza previamente maturata. Nonostante ciò l’Italia resta nettamente distanziata dagli altri Paesi europei per numero di concessioni (solo settima in graduatoria), proprio in conseguenza di un impianto normativo restrittivo.

Un altro indicatore significativo sono i matrimoni misti. In 12 anni (1995-2007) sono stati celebrati 222.521 matrimoni misti, dei quali 23.560 nell’ultimo anno, pari a circa un decimo del totale. Non mancano tuttavia i fallimenti (il 6,7% delle separazioni e il 5,7% dei divorzi riguardano queste coppie), anche perché spesso manca, oltre che la preparazione individuale a un’approccio interculturale della relazione, anche un humus sociale che la sostenga. In ogni caso, considerando che separazioni e divorzi incidono nella stessa misura della popolazione straniera su quella complessiva e, soprattutto, in misura inferiore a quella dei matrimoni misti sul totale dei matrimoni celebrati in un anno, il dato non costituisce una particolare anomalia.

Gli alunni figli di genitori stranieri, nell’anno scolastico 2008/2009, sono saliti a 628.937 su un totale di 8.943.796 iscritti, per un’incidenza del 7%. L’aumento annuale è stato di 54.800 unità, pari a circa il 10%. Di questi studenti, 1 ogni 6 è romeno, 1 ogni 7 albanese e 1 ogni 8 marocchino, ma si rileva di fatto una miriade di nazionalità, veramente un “mondo in classe”, come mettono in evidenza i progetti interculturali. Si tratta di alunni “stranieri” per modo di dire, perché quasi 4 su 10 (37%) sono nati in Italia e di questo Paese si considerano cittadini; e il rapporto sale a ben 7 su 10 tra gli iscritti alla scuola dell’infanzia. Per costoro la lingua, spesso invocata come motivo di separazione, non costituisce un ostacolo; e così potrebbe essere anche per i ragazzi ricongiunti nel corso dell’anno, a condizione di potenziare le misure di sostegno per l’apprendimento dell’italiano. Questi giovani - rileva il rapporto - condividono con i coetanei italiani comportamenti, gusti, consumi, incertezze esistenziali. Soprattutto le ragazze puntano all’emancipazione economica e individuale, spesso con conseguenti strappi con la famiglia e le tradizioni di origine.

Sono dunque concordi gli indicatori statistici su questa voglia di integrazione, a cui purtroppo sembra corrispondere, da parte di molti Italiani, l’impulso a contrastarla. A causa del nostro atteggiamento chiuso, i giovani immigrati si sentono più cittadini del mondo che italiani (35% contro 24% delle risposte nell’indagine dell’Università Bocconi): parlano più lingue, ma paradossalmente rischiano di essere emarginati. A turbare molti Italiani, per una malintesa volontà di difesa della religione cristiana - sottolinea la Caritas - è il panorama multireligioso: in realtà oltre la metà degli immigrati è cristiana, i musulmani sono un terzo, le religioni delle tradizioni orientali meno di un decimo e poi, in misura più ridotta, seguono altre appartenenze. Secondo l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, l’Italia è tra gli Stati membri più intolleranti nei confronti dei musulmani: 1 intervistato su 3 ha dichiarato di aver subìto un atto discriminatorio negli ultimi 12 mesi. Più positiva è l’esperienza che si sta facendo con gli ortodossi, i cui preti celebrano il rito liturgico nelle chiese cattoliche.

Le remore da parte degli Iitaliani, a livello sociale, culturale e religioso, hanno trovato una sponda nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” (legge 94/2009), che si è occupato dell’immigrazione solo con misure di carattere restrittivo, così che, anche a prescindere dal merito delle misure previste, è proprio questa unilateralità che lascia insoddisfatti, afferma il rapporto. Tra i provvedimenti, del resto, si segnalano l’introduzione di un versamento di 200 euro a carico di chi richiede la cittadinanza o il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, come anche la previsione di un permesso di soggiorno a punti, che qualcuno ha paragonato a una patente a punti che di fatto è solo a perdere.

APRIRSI AGLI ALTRI

Per la Caritas e per la Migrantes e' invece fondamentale riconoscere la verità nella carità e unire, perciò, la conoscenza alla solidarietà, secondo l’insegnamento biblico ripreso da Papa Benedetto XVI nelle sue recenti encicliche e dalla Conferenza Episcopale Italiana con l’indicazione che “la vera sicurezza nasce dall’integrazione”. I dati del Dossier 2009 sottolineano che gli stranieri non sono persone dal tasso di delinquenza più alto, non stanno dando luogo a una invasione di carattere religioso, non consumano risorse pubbliche più di quanto versino con tasse e contributi, non sono disaffezionati al Paese che li ha accolti e, al contrario, sono un efficace ammortizzatore demografico e occupazionale.

La scelta da parte di Caritas e Migrantes dello slogan “conoscenza e solidarietà” è un invito a soffermarsi sull’impatto che l’immigrazione può esercitare sul piano della convivenza. Nell’attuale situazione, segnata da un tasso di natalità ancora molto basso, questo innesto va gestito e non contrastato per principio, portando gli immigrati a sentirsi inseriti nella società, a rispettarne le leggi, a coglierne le possibilità di partecipazione e a dare tutto il loro apporto per la crescita del Paese. L’auspicio di Caritas e Migrantes è che "come molti Paesi nel mondo hanno costruito il loro sviluppo con l’apporto degli italiani, così anche l’Italia sappia costruire il suo futuro con l’apporto degli immigrati. Il nostro futuro, infatti, ha sempre più bisogno di uno scambio positivo tra la popolazione autoctona e quella di origine immigrata."

per approfondire...

Dossier immigrazione

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