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Immigrazione
: rapporto Caritas , pregiudizi infondati
di
Tamara Gallera
In
Italia sono oltre quattro milioni gli immigrati (comunitari
e non), ma le migrazioni vanno collocate nel contesto socioeconomico
mondiale e spiegate con lo squilibrio della ricchezza fra
le varie aree del pianeta. Queste alcune delle conclusioni
del rapporto Caritas-Migrantes presentato ieri a Roma.
I
NUMERI
L'immigrazione
non ha arrestato la sua crescita, spiega il rapporto, aggiungendo
che "L’aumento annuo di 250 mila unità, considerato nelle
previsioni dell’Istat come scenario alto, è risultato inferiore
a quanto effettivamente avvenuto (+458.644 residenti nel 2008,
+13,4% rispetto all’anno precedente)". L'Italia oltrepassa
abbondantemente i 4,5 milioni di presenze: siamo sulla scia
della Spagna (oltre 5 milioni) e non tanto distanti dalla
Germania (circa 7 milioni). Nei Paesi di più antica tradizione
migratoria, però, è molto più elevato il numero di cittadini
nazionali di origine immigrata, essendo più agevole la normativa
sull’accesso alla cittadinanza: in Francia il 23% della popolazione
ha genitori o nonni di origine immigrata; in Germania, mentre
i cittadini stranieri sono scesi a circa l’8%, quelli con
un passato migratorio raggiungono ben il 18%. In Italia, dove
questa distinzione non è statisticamente agevole, nel 2008
si è giunti a quasi 40 mila casi di acquisizione di cittadinanza
a seguito di matrimonio o di anzianità di residenza.
Nel
nostro Paese continua a prevalere la presenza di origine europea
(53,6%, per più della metà da Paesi comunitari). Seguono gli
africani (22,4%), gli asiatici (15,8%) e gli americani (8,1%).
Risulta fortemente attenuato il policentrismo delle provenienze,
che per molti anni è stato una spiccata caratteristica dell’immigrazione
italiana: le prime 5 collettività superano la metà dell’intera
presenza (800 mila Romeni, 440 mila Albanesi, 400 mila Marocchini,
170 mila Cinesi e 150 mila Ucraini). A livello territoriale
il Centro (25,1%) e il Meridione (12,8%) sono molto distanziati
dal Nord quanto a numero di residenti stranieri (62,1%), così
come il Lazio (11,6%) lo è dalla Lombardia (23,3%), tra l’altro
preceduto, seppure di poco, dal Veneto (11,7%).
Secondo
lo studio, "Il dinamismo della popolazione straniera
è da ricondurre principalmente alla sua evoluzione demografica
da una parte e alla domanda di occupazione del Paese dall’altra,
mentre influiscono in misura veramente minima le poche decine
di 2 migliaia di sbarchi, pari a meno dell’1% della presenza
regolare. Nel 2008 sono state 36.951 le persone sbarcate sulle
coste italiane, 17.880 i rimpatri forzati, 10.539 gli stranieri
transitati nei centri di identificazione ed espulsione e 6.358
quelli respinti alle frontiere. Non si tratta neppure di un
cinquantesimo rispetto alla presenza di immigrati regolari
in Italia, eppure il contrasto dei flussi irregolari ha monopolizzato
l’attenzione dell’opinione pubblica e le decisioni politiche;
tanto più che il rapporto tra allontanati e intercettati è
di 34 ogni 100 (il più basso dal 2004) e si registra una crescente
confusione tra immigrati 'clandestini', irregolari, richiedenti
asilo e persone aventi diritto alla protezione umanitaria".
In
Italia, 1 abitante su 14 (7,2%) è di cittadinanza straniera.
L’incidenza è maggiore tra i minori e i giovani adulti (18-44
anni), con conseguente maggiore visibilità a scuola e nel
mercato del lavoro. Più di un quinto della popolazione straniera
è costituito da minori (862.453), 5 punti percentuali in più
rispetto a quanto avviene tra gli italiani (22% contro 16,7%).
I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (72.472) hanno
inciso nel 2008 per il 12,6% sulle nascite totali registrate
in Italia, ma il loro apporto è pari a un sesto se si considerano
anche i figli di un solo genitore straniero. Ad essi si sono
aggiunti altri 40.000 minori venuti a seguito di ricongiungimento.
Tra nati in Italia e ricongiunti, il 2008 è stato l’anno in
cui i minori, per la prima volta, sono aumentati di oltre
100 mila unità. A chiedere il ricongiungimento il più delle
volte (65,6%) è una persona sola; negli altri casi l’interessato
vive con uno o più individui, a testimonianza di un processo
di inserimento sempre più avanzato. L’età media degli stranieri
è di 31 anni, contro i 43 degli italiani. Tra i cittadini
stranieri gli ultrasessantacinquenni sono solo il 2%. L’immigrazione
è dunque anche una ricchezza demografica per la popolazione
italiana, che va incontro al futuro con un tasso di invecchiamento
accentuato; e lo è specialmente per i Comuni con meno di 5.000
abitanti, molti dei quali senza questo supporto sarebbero
in prospettiva a rischio di spopolamento.
MIGRANTI PER BISOGNO
Per
la Caritas, "Le migrazioni si collocano nel contesto
di un mondo ingiusto e inducono a prendere in considerazione
le ragioni dei Paesi di origine. La ricchezza mondiale è tale
da poter assicurare a ogni abitante i mezzi per vivere dignitosamente
(a parità di potere d’acquisto, il PIL pro capite è di 10.206
dollari): una finalità attualmente impossibile a causa della
sua ineguale distribuzione. I Pvs, dove vive l’85% della popolazione,
non hanno a disposizione neppure la metà della ricchezza mondiale
(46,1%) e si attestano su un reddito medio pro capite di 5.500
dollari, contro i 36.000 dollari dei Psa. Le condizioni dei
singoli Paesi sono molto differenziate e ancora troppe persone
vivono in condizioni di povertà strutturale, concentrate specialmente
in Africa e in Asia. Le pesone che soffrono la fame sono aumentate
e arrivano a un miliardo. Alla fine del 2008 sono state 42
milioni le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni.
Vi sono milioni di persone che non dispongono neppure di 1
dollaro al giorno, e altre, nei Paesi ricchi, che in media
ne hanno a disposizione 100 al giorno".
"Si
ripete lo slogan di 'aiutare gli immigrati a casa loro', con
l’intento di far passare per sagge politiche restrittive alle
quali corrisponde il disimpegno sul piano degli aiuti - commenta
il rapporto - I 'grandi della Terra', nei loro incontri, rinnovano
le promesse di intervento, ma si tratta degli stessi impegni
presi nel passato e finora non mantenuti", dato che molti
Paesi, in particolare l’Italia, sono ben lontani dal devolvere
per lo sviluppo lo 0,7% del Prodotto interno lordo, stabilito
come obiettivo minimo a livello internazionale. "È vero
- osserva la Caritas - che l’Italia è un Paese con molti problemi
(povertà, usura, stipendi bassi, questione del Mezzogiorno
ecc.), ma ciò non giustifica il disimpegno rispetto al problema
dello sviluppo mondiale e neppure la chiusura nei confronti
dell’immigrazione".
CRIMINALITA'
E SFRUTTAMENTO
Tra
gli Italiani intervistati di recente, 6 su 10 attribuiscono
agli stranieri un tasso di criminalità più alto e, perciò,
è necessario approfondire i dati statistici disponibili e
rispondere in maniera argomentata a tre questioni: è quanto
ha cercato di fare il Dossier con l’agenzia “Redattore Sociale”.
Prima questione: se l’aumento della criminalità sia dovuto
in maniera più che proporzionale all’aumento della popolazione
residente. La risposta è negativa. Nel periodo 2001- 2005
l’aumento degli stranieri residenti è stato del 101% e l’aumento
delle denunce presentate contro stranieri del 46%. Alla stessa
conclusione è giunta la Banca d’Italia in una ricerca imperniata
sui dati relativi al periodo 1990-2003.
Seconda questione: se gli stranieri regolari siano caratterizzati
da un tasso di criminalità superiore a quello degli italiani.
A prima vista sembrerebbe proprio così: nel 2005 l’incidenza
degli stranieri sulla popolazione residente è stata del 4,5%
e l’incidenza sulle denunce penali con autore noto del 23,7%
(130.131 su 550.590). In realtà, solo nel 28,9% dei casi sono
implicati stranieri legalmente presenti e ciò abbassa il loro
tasso di criminalità, che scende ulteriormente ipotizzando
che anche gli italiani che delinquono siano per il 92,5% concentrati
tra i ventenni e i trentenni (come accade tra gli stranieri)
e considerando che il confronto non tiene conto dei reati
contro la normativa sull’immigrazione: alla fine, il tasso
di criminalità risulta essere analogo per italiani e stranieri.
Terza questione: se gli stranieri irregolari si caratterizzino
per i loro comportamenti delittuosi. È vero che, in proporzione,
sono più elevate le denunce a loro carico, da riferire in
parte al loro stato di maggiore precarietà e in parte anche
al loro coinvolgimento nelle spire della criminalità organizzata.
Tuttavia, risulta infondata l’equiparazione tra irregolare
e delinquente, come dimostra il fatto che la metà degli attuali
quattro milioni di residenti sono stati irregolari, come lo
erano, fino al mese di agosto 2009, le 300 mila collaboratrici
familiari prima della domanda di emersione. Il boom della
criminalità era già avvenuto in Italia all’inizio degli anni
’90 e, rispetto ad allora, il livello delle denunce è rimasto
lo stesso. Certamente anche gli immigrati possono delinquere
e su questo bisogna vigilare, senza tuttavia trasformarli
in un capro espiatorio del nostro disagio sociale.
Tra
i 200 milioni di migranti nel mondo, si contano ben 12,3 milioni
di vittime di sfruttamento lavorativo e 1,4 milioni di vittime
di sfruttamento sessuale, con una vasta area di irregolarità
che di per sé espone più facilmente alla precarietà e ai soprusi.
Gli immigrati, associati in maniera ricorrente alla criminalità,
evidenziano invece il basso tasso di legalità del nostro Paese,
come dimostrano le assunzioni in nero, il ricorso al caporalato,
l’evasione contributiva, l’inosservanza delle norme contrattuali,
il mancato riconoscimento delle qualifiche. Per questi motivi,
l’azione svolta per liberare le donne vittime della tratta
è stata allargata anche alle vittime di sfruttamento lavorativo
e, dal 2000, in media ogni anno sono state assistitite 1.200
persone con progetti finanziati dal Dipartimento delle Pari
Opportunità.
LAVORO
Anche in un anno di crisi incipiente, come è stato il 2008,
l’apporto degli immigrati è risultato così necessario da far
aumentare il loro numero tra gli occupati di 200 mila unità.
Del resto, nel mercato occupazionale italiano l’internazionalizzazione
è in corso da tempo e i lavoratori nati all’estero sono il
15,5% del totale. Tra di essi non mancano gli italiani di
ritorno (a testimonianza degli oltre 4 milioni di emigrati
italiani residenti all’estero), ma la stragrande maggioranza
è costituita da lavoratori stranieri, il cui afflusso si è
incrementato specialmente nell’ultimo decennio. I lavoratori
stranieri in senso stretto sono quasi un decimo degli occupati
e contribuiscono per una analoga quota alla creazione della
ricchezza del Paese, come posto in risalto, rispettivamente,
dalle indagini trimestrali dell’Istat sulla forza lavoro e
dalle ricerche di Unioncamere. Come risaputo, i motivi di
lavoro sono, insieme ai motivi familiari, quelli che attestano
il carattere di insediamento stabile dell’immigrazione.
Il
rapporto Caritas rivela che si tratta di persone spesso inserite
da molti anni sul posto di lavoro e che, superando difficili
condizioni di partenza, oggi presentano queste caratteristiche:
• un tasso di attività di 11 punti più elevato rispetto alla
media (73,3 vs 62,3);
• estrema motivazione a riuscire, per il fatto che per loro
la migrazione rappresenta una scelta esistenziale forte;
• disponibilità a svolgere un’ampia gamma di lavori, da cui
deriva anche la loro alta concentrazione nei settori meno
appetibili per gli italiani;
• esposizione a maggiori condizioni di rischio sul lavoro
(143.651 infortuni nel 2008, dei quali 176 mortali);
• scarso grado di gratificazione (soprattutto per via del
mancato riconoscimento delle qualifiche e dell’inserimento
in posti occupazionali di basso livello);
• necessità di sostenere i familiari rimasti in patria (ai
quali nel 2008 hanno inviato 6,4 miliardi di € con le rimesse);
• sottoposizione ad atteggiamenti di diffidenza e, da ultimo,
anche di ostilità, con ricorrenti atti di vero e proprio razzismo.
1
milione sono anche, secondo stime, le donne immigrate che
si prendono cura delle nostre famiglie. La regolarizzazione
realizzatasi a settembre 2009 e chiusasi con 294.744 domande
di assunzione di lavoratori non comunitari come collaboratori
familiari o badanti ha evidenziato ancora una volta la complementarità
tra esigenze della popolazione italiana e disponibilità di
quella immigrata. L’operazione ha fruttato anche 154 milioni
di euro in contributi arretrati e marche, mentre nel periodo
2010-2012 farà entrare nelle casse dell’Inps 1,3 miliardi
di euro supplementari. Nel
settore del lavoro imprenditoriale, si contano 187.466 cittadini
stranieri titolari di impresa, in prevalenza a carattere artigiano,
che garantiscono il lavoro a loro stessi e anche a diversi
dipendenti (attorno ai 200 mila, secondo la stima riportata
nel libro ImmigratImprenditori della Fondazione Ethnoland).
Sul
piano economico i dati relativi al 2007 evidenziano, innanzi
tutto, il consistente apporto degli immigrati all’economia
italiana: si tratta, secondo Unioncamere, di 134 miliardi
di euro, pari al 9,5% del prodotto interno lordo. I versamenti
contributivi effettuati all’Inps sono stati stimati dal Dossier
pari a oltre 7 miliardi di euro, dei quali oltre 2,4 miliardi
pagati direttamente dai lavoratori stranieri e la restante
quota dai datori di lavoro. Invece, la stima del gettito fiscale,
includendo le tasse più rilevanti, è di oltre 3,2 miliardi
di euro. Ne deriva che, direttamente dalle buste paga dei
lavoratori immigrati, provengono in totale 5,6 miliardi di
euro (ma secondo la Cgia anche di più). Pur nella difficoltà
di calcolare l’incidenza degli immigrati sulla spesa sociale,
non mancano i tentativi in tal senso e la Banca d’Italia stima
che agli immigrati vada il 2,5% di tutte le spese di istruzione,
pensione, sanità e prestazioni di sostegno al reddito, all’incirca
la metà di quello che assicurano in termini di gettito.
CONVIVENZA
Le
acquisizioni di cittadinanza (39.484 nel 2008) sono quadruplicate
rispetto al 2000 e più che quintuplicate (53.696) se si tiene
conto anche delle cittadinanze riconosciute direttamente dai
Comuni. Neppure la rigidità della normativa costituisce un
freno al dinamismo dell’integrazione e ormai in 4 casi su
10 l’acquisizione della cittadinanza viene concessa a seguito
della residenza previamente maturata. Nonostante ciò l’Italia
resta nettamente distanziata dagli altri Paesi europei per
numero di concessioni (solo settima in graduatoria), proprio
in conseguenza di un impianto normativo restrittivo.
Un
altro indicatore significativo sono i matrimoni misti. In
12 anni (1995-2007) sono stati celebrati 222.521 matrimoni
misti, dei quali 23.560 nell’ultimo anno, pari a circa un
decimo del totale. Non mancano tuttavia i fallimenti (il 6,7%
delle separazioni e il 5,7% dei divorzi riguardano queste
coppie), anche perché spesso manca, oltre che la preparazione
individuale a un’approccio interculturale della relazione,
anche un humus sociale che la sostenga. In ogni caso, considerando
che separazioni e divorzi incidono nella stessa misura della
popolazione straniera su quella complessiva e, soprattutto,
in misura inferiore a quella dei matrimoni misti sul totale
dei matrimoni celebrati in un anno, il dato non costituisce
una particolare anomalia.
Gli
alunni figli di genitori stranieri, nell’anno scolastico 2008/2009,
sono saliti a 628.937 su un totale di 8.943.796 iscritti,
per un’incidenza del 7%. L’aumento annuale è stato di 54.800
unità, pari a circa il 10%. Di questi studenti, 1 ogni 6 è
romeno, 1 ogni 7 albanese e 1 ogni 8 marocchino, ma si rileva
di fatto una miriade di nazionalità, veramente un “mondo in
classe”, come mettono in evidenza i progetti interculturali.
Si tratta di alunni “stranieri” per modo di dire, perché quasi
4 su 10 (37%) sono nati in Italia e di questo Paese si considerano
cittadini; e il rapporto sale a ben 7 su 10 tra gli iscritti
alla scuola dell’infanzia. Per costoro la lingua, spesso invocata
come motivo di separazione, non costituisce un ostacolo; e
così potrebbe essere anche per i ragazzi ricongiunti nel corso
dell’anno, a condizione di potenziare le misure di sostegno
per l’apprendimento dell’italiano. Questi
giovani - rileva il rapporto - condividono con i coetanei
italiani comportamenti, gusti, consumi, incertezze esistenziali.
Soprattutto le ragazze puntano all’emancipazione economica
e individuale, spesso con conseguenti strappi con la famiglia
e le tradizioni di origine.
Sono dunque concordi gli indicatori statistici su questa voglia
di integrazione, a cui purtroppo sembra corrispondere, da
parte di molti Italiani, l’impulso a contrastarla. A causa
del nostro atteggiamento chiuso, i giovani immigrati si sentono
più cittadini del mondo che italiani (35% contro 24% delle
risposte nell’indagine dell’Università Bocconi): parlano più
lingue, ma paradossalmente rischiano di essere emarginati.
A turbare molti Italiani, per una malintesa volontà di difesa
della religione cristiana - sottolinea la Caritas - è il panorama
multireligioso: in realtà oltre la metà degli immigrati è
cristiana, i musulmani sono un terzo, le religioni delle tradizioni
orientali meno di un decimo e poi, in misura più ridotta,
seguono altre appartenenze. Secondo
l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, l’Italia è tra
gli Stati membri più intolleranti nei confronti dei musulmani:
1 intervistato su 3 ha dichiarato di aver subìto un atto discriminatorio
negli ultimi 12 mesi. Più positiva è l’esperienza che si sta
facendo con gli ortodossi, i cui preti celebrano il rito liturgico
nelle chiese cattoliche.
Le remore da parte degli Iitaliani, a livello sociale, culturale
e religioso, hanno trovato una sponda nel cosiddetto “pacchetto
sicurezza” (legge 94/2009), che si è occupato dell’immigrazione
solo con misure di carattere restrittivo, così che, anche
a prescindere dal merito delle misure previste, è proprio
questa unilateralità che lascia insoddisfatti, afferma il
rapporto. Tra i provvedimenti, del resto, si segnalano l’introduzione
di un versamento di 200 euro a carico di chi richiede la cittadinanza
o il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, come anche
la previsione di un permesso di soggiorno a punti, che qualcuno
ha paragonato a una patente a punti che di fatto è solo a
perdere.
APRIRSI
AGLI ALTRI
Per
la Caritas e per la Migrantes e' invece fondamentale riconoscere
la verità nella carità e unire, perciò, la conoscenza alla
solidarietà, secondo l’insegnamento biblico ripreso da Papa
Benedetto XVI nelle sue recenti encicliche e dalla Conferenza
Episcopale Italiana con l’indicazione che “la vera sicurezza
nasce dall’integrazione”. I
dati del Dossier 2009 sottolineano che gli stranieri non sono
persone dal tasso di delinquenza più alto, non stanno dando
luogo a una invasione di carattere religioso, non consumano
risorse pubbliche più di quanto versino con tasse e contributi,
non sono disaffezionati al Paese che li ha accolti e, al contrario,
sono un efficace ammortizzatore demografico e occupazionale.
La
scelta da parte di Caritas e Migrantes dello slogan “conoscenza
e solidarietà” è un invito a soffermarsi sull’impatto che
l’immigrazione può esercitare sul piano della convivenza.
Nell’attuale situazione, segnata da un tasso di natalità ancora
molto basso, questo innesto va gestito e non contrastato per
principio, portando gli immigrati a sentirsi inseriti nella
società, a rispettarne le leggi, a coglierne le possibilità
di partecipazione e a dare tutto il loro apporto per la crescita
del Paese. L’auspicio di Caritas e Migrantes è che "come
molti Paesi nel mondo hanno costruito il loro sviluppo con
l’apporto degli italiani, così anche l’Italia sappia costruire
il suo futuro con l’apporto degli immigrati. Il nostro futuro,
infatti, ha sempre più bisogno di uno scambio positivo tra
la popolazione autoctona e quella di origine immigrata."
Dossier
immigrazione
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