01 gennaio 2009

 
     

La pacificazione di Gaza
di Ran Hacohen*

Il ministro della Difesa Ehud Barak (il suo nome significa “lampo”, “blitz” in tedesco) l’ha fatto di nuovo: un record storico di più di 200 Palestinesi uccisi in un solo “Sabato lampo” il 27 dicembre. I sondaggi ora predicono 5 seggi in più per il suo partito laburista alle prossime elezioni legislative di febbraio. Questo fa 40 cadaveri di Palestinesi per seggio.

Non stupisce che prometta che è solo l’inizio: a questo ritmo basteranno al partito 2000 cadaveri in più per passare dalla miseria alla ricchezza, da un partito politico morto alla maggioranza assoluta in parlamento come ai bei vecchi tempi. Così per Barak i necrologi di Gaza sono un fatto di sopravvivenza politica, sono collegati alla necrologia del suo partito.

E’ la stessa logica nauseante che condusse l’allora Primo Ministro Shimon Peres (insignito del premio Nobel per la pace etc. etc.) a devastare nel 1996 il Sud Libano e risolvere una volta per tutte il problema di Hezbollah nell’operazione “radici di collera”, proprio qualche settimana prima delle elezioni legislative - nelle quali fu sconfitto da Netanyahu. Quando le sedicenti Colombe si comportano da Falchi, gli elettori preferiscono i falchi veri, secondo la parola del Talmud: “un vero uovo vale sempre di più di tutto ciò che può assomigliargli”.

Ma i guerrieri come Barak non imparano mai. E non sono i soli: solo due giorni prima dell’inizio del martellamento di Gaza, era il partito Meretz, che si pretende della “sinistra liberale”, che chiamava ufficialmente ad un’azione militare contro Hamas. Avete presente, Meretz: il partito (insignito del premio della Pace di Francoforte etc… etc…) di Amos Oz e di quelli della sua specie, quegli pseudo intellettuali che proclamano sempre di esser stati contro la guerra precedente. Senza eccezioni questa volta sono tutti là, dritti dietro i bombardieri o anche davanti.

Più di 200 cadaveri giacenti a cielo aperto dietro l’ospedale di Gaza, che, dopo più di un anno di assedio israeliano, non può offrire ai suoi pazienti nient’altro che analgesici in ogni modo. Indovinate qual era il titolo principale del più popolare quotidiano israeliano, Yediot Ahronot, il giorno dopo: “un milione e mezzo di abitanti di Gaza sotto il fuoco”? Ci siete vicini ma non avete ancora indovinato, il vero titolo del 28 dicembre era: “mezzo milione di Israeliani sotto il fuoco”.

In realtà, un solo civile israeliano è stato ucciso quel giorno da un razzo di Hamas. Allo stesso modo la giornalista Avirama Golan nel suo Blog su Haaretz , dedica tutta la propria pagina alle angosce del suo gattone isterico a Sderot. Certi giornalisti, soprattutto quelli che si considerano importanti, hanno un indubbio senso delle priorità. Yediot Ahronot ha avuto sei cronisti in prima pagina e molti altri all’interno, le ragazze pon-pon della guerra. Nahum Barnea, un giornalista “importante”, molto apprezzato, ha espresso molto sinteticamente il suo parere sul bagno di sangue: “meglio tardi che mai”; Dov Weissglass, strettamente legato al “processo di pace” come il preciso Wikipedia, ha parlato nello stesso modo, il suo articolo si intitolava: “non fermatevi” con un punto esclamativo per chiarezza. “Bisognerebbe che questo fosse solo un inizio” consiglia al governo, che ha appena promesso appunto: “non è che l’inizio”.

Specchio, bello specchio! Eitan Haber, già assistente del già Primo Ministro Yitzhak Rabin (insignito del Premio Nobel per la Pace etc. etc.) ha riciclato la solita propaganda di guerra ad uso domestico di ogni governo israeliano: come sempre, l’opposizione di destra è estremista e folle, ma noi, il governo, lanciamo una guerra moderata, responsabile e controllata. “L’argomento politico che avremmo dovuto e potuto agire molto tempo prima non è né vero né giustificato”. Haber si pone in modo pavloviano a servire il governo.

Gadi Taub, giovane “mainstreamer” ultra conservatore, ha scritto un articolo intitolato: “Demagogia, Antisemitismo, Ignoranza” dal contenuto troppo triviale per essere riferito, ma abbastanza ben riassunto dalla prima e dall’ultima parola del titolo. Ma la demagogia di Taub impallidisce davanti a quella di Ben-Dror Yemini su Ma’ariv; in un articolo intitolato “L’offensiva più giustificata che abbia mai avuto luogo” (straordinariamente le stesse parole usate dal suo gemello di Haaretz Ari Shavit per la guerra del Libano giusto due anni fa), Yemini traccia una linea retta da Hitler ad Hamas (non è un caso se i due iniziano con H, proprio come Hezbollah, Saddam Hussein, e Hémorroides - in italiano il gioco non riesce), e spiega che “dopo l’ideologia nazista… nessun movimento è stato tanto dannoso per la pace nel mondo quanto l’Islam politico”. Scusatemi per la citazione di queste porcherie; abbiamo bisogno di un demagogo israeliano per strumentalizzare l’olocausto, e Yemini è nato per questo sporco lavoro.

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Contemporaneamente l’eccellente cronista B. Michael leva una voce critica su Yediot: “E rieccoci al “déjà vu” della guerra che torna periodicamente, il rituale sangue versato nella pentola bollente che da decine di anni porta tutta la regione all’inferno. Per essere sincera, la nostra anima è stanca di distinguere la guerra del settimo giorno dalla Guerra dei Sei Giorni in diverse operazioni, guerre, battaglie, azioni e offensive. In realtà si tratta di una sola guerra ininterrotta. Un solo grande macello, la guerra dell’occupante contro l’occupato, e la guerra dell’occupato contro il suo occupante”.

B. Michael sa ciò che la maggior parte degli israeliani sono stati portati a dimenticare: che malgrado il ritiro di Israele, Gaza è sempre occupata, anche prima della presa del potere da parte di Hamas, perché Israele mantiene tutte le misure necessarie ad assicurarsi il controllo sulla Striscia: dal controllo diretto di tutti i passaggi di frontiera verso Gaza, sia per le merci che per le persone, fino al controllo israeliano del registro della popolazione di Gaza. La sola apparente eccezione, il Checkpoint di Rafah, è riservato all’ingresso in Gaza dei soli abitanti di Gaza, così definiti dal registro israeliano, e anche questo avviene sotto supervisione israeliana.

Ma per la maggior parte degli Israeliani Gaza è indipendente, impero sovrano, che fu occupato da Israele alcuni lustri fa, e che oggi, senza alcuna ragione, fa pesare una minaccia esistenziale sui suoi benevoli vicini ebrei. Alle notizie televisive della sera, l’ascolto attento in particolare di reporters seri come Shlomi Eldar, può rivelare la punta dell’iceberg ancora sommerso dei crimini di guerra: una prigione di Gaza è stata bombardata intenzionalmente, un evidente crimine di guerra. Anche l’ospedale di Gaza ha subito dei danni, tutto ciò in una striscia sovrappopolata, nella quale la vita è già stata strangolata da un embargo su tutto, dal cemento al carburante e ai presidi medici.

Due mesi fa, il giornalista Amos Harel ha citato un articolo di un’alta personalità militare a proposito della politica israeliana per la prossima guerra, che fosse in Libano, in Siria o a Gaza: “Bisogna usare una forza senza alcuna proporzione rispetto alla minaccia e alle azioni dei nemici, per danneggiare e punire a un livello tale da aver bisogno di processi lunghi e costosi per la ricostruzione”. Un altro generale israeliano ha spiegato che i villaggi dai quali provenivano dei lanci sarebbero stati annientati: “li consideriamo come basi militari” (Haaretz, 5 ottobre 2008. I nomi dei due generali - per la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja - sono Gaby SIBONI e Gadi ESENCOT).

Quando la guerra è cominciata il generale di divisione della riserva Giora ISLAND, già capo del Consiglio Nazionale di Sicurezza ha proferito queste parole, senz’ombra di vergogna: “Israele non dovrebbe limitare i suoi attacchi alle attrezzature militari - ha detto - ma deve colpire anche dei bersagli civili. I danni alla popolazione civile dovrebbero essere massimizzati perché peggiore è la crisi umanitaria e meglio e più rapidamente si conclude l’operazione”. In realtà, è lo stesso Generale di divisione che ha provocato uno scandalo esattamente un anno fa, facendo pressione sul governo per negoziare direttamente con Hamas.

Non cercate né coerenza, né integrità, né intelligenza là dove sono implicati dei criminali di guerra.

* Ran Hacohen insegna letteratura comparata all’Università di Tel Aviv, traduttore di letteratura tedesca, olandese, inglese, critico letterario su Yediot Ahronot, scrive regolarmente una Lettera da Israele sul sito Antiwar. La traduzione del presente brano e' di Maria Chiara Tropea. Si ringrazia Doriana Goracci

Speciale pace

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