18 ottobre 2008

 
     

Afghanistan : timori per processo giornalista condannato a morte
di osservatoriosullalegalita.org

E' ormai passato un anno da quanto Sayed Parwez Kambakhsh, giovane giornalista afgano, è stato incarcerato a Mazar-i-Sharif con l'accusa di aver scaricato da internet e diffuso un testo sui diritti delle donne e l'Islam. Da allora non ne è più uscito.

Il 22 gennaio un tribunale della stessa città lo ha condannato a morte per blasfemia, il 15 giugno è iniziato a Kabul il processo d'appello, poi sospeso sine die. Una sospensione illegale, denuncia il suo avvocato Afzal Nooristani, come illegale è la condanna anche alla luce delle norme in vigore da quando le forze internazionali hanno rovesciato il regime dei Taleban e investito ingenti risorse anche nella riforma del sistema giudiziario del Paese. Ma basterebbe, ritiene l'avvocato, un intervento della Suprema Corte afgana per ripristinare la legalità, far riprendere il processo d'appello e farlo concludere con un'assoluzione.

L'UNCI, che nel marzo scorso ha sollevato il caso conferendo a Parwez Kambakhsh e al fratello Sayed Yaqub Ibrahimi, invitato appositamente in Italia, il premio internazionale Il Cronista dell'Anno, fa dunque nuovamente appello al Governo italiano affinché nulla rimanga intentato per giungere alla liberazione del giornalista e alla revoca della condanna. Una condanna che e' anche un atto emblematico di negazione della libertà di stampa, in un Paese dove l'Italia è tuttora in prima fila - mettendo ogni giorno a rischio la vita dei suoi soldati, come anche i ferimenti di oggi a Herat ci hanno ricordato - per assicurare democrazia, giustizia e pace ad un popolo fin troppo provato.

Il futuro di quel Paese si garantisce - sottolinea il presidente dell'Unci Guido Columba - anche assicurando che vi sia, da parte delle sue istituzioni, il rispetto dei diritti umani e della legalità.

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