16 ottobre 2008

 
     

La guerra porto' via gli anni migliori
di Ugo Cortesi

Per chi è appassionato dei “fatti” della storia reale, cioè di quella che la si è vissuta sulla propria pelle, non può far a meno di leggere questo libro-documento. Lo si legge tutto d’un fiato perché si è trascinati a farlo, man mano che passano le pagine. E’ l’interesse per la pagina successiva, per cercare il poi, l’attimo susseguente, il perché degli avvenimenti e degli aspetti materiali ed anche intimi. E mano a mano che vai non ti accorgi di immedesimarti nel racconto.

Personalmente sono rimasto affascinato fin dall’inizio leggendo la dedica: "A mio padre e a tutti coloro cui la guerra ha consumato la gioventù e bruciato la vita". La dedica è sempre importante, ma questa dà un’idea efficace dell’atrocità e della bruttura della guerra che consuma le gioventù e brucia le vite. Evidenzia i segni d’inciviltà di cui la guerra è portatrice e di converso l’inumanità di chi manda tanti giovani a sacrificarsi, non si sa per chi o per che cosa. Ciò che viene riaffermato dall’autore in diversi passi dell’opera. In molte parti mi sono venuti alla mente piccoli frammenti di ricordi riportatimi da mio suocero, anche lui fatto prigioniero in Libia ed internato in India.

Il protagonista, se così si può chiamare chi viene mandato in guerra, è Nicola Santecchia, classe 1913 e padre dell’autore. La vita militare di Nicola inizia nell’aprile 1934, quando da Colmurano, paesino del maceratese, si reca a Modena per prestare il servizio di leva presso la Caserma Duca D’Aosta. Qui rimane fino al luglio del 1936, quando viene congedato. Nel 1938 si sposa con Elena. Cominciano a sentirsi in Italia e in Europa le prime avvisaglie ed i presentimenti di una guerra imminente. Iniziano i richiami alle armi nel 1939 per l’Albania e nel 1940 per la Grecia e la Russia.

Anche Nicola è richiamato. Siamo alla fine di maggio del 1940 e la moglie è in attesa del primo figlio, quindi si può immaginare la disperazione della famiglia. Inizia per Nicola un lungo viaggio di guerra che lo riporterà a rivedere i suoi cari solamente nel 1946. Sei anni sono lunghi, se poi si pensa a quel tragico momento che ha sconvolto l’Europa e il mondo intero, sei anni sono una vita. Distaccato al 9° reggimento d’Artiglieria pesante di Foggia è imbarcato con altri duemila commilitoni alla volta di Tobruk (Libia) per poi prendere “stanza” a Bardia ai confini con l’Egitto.

Lascio al lettore il compito di esaminare i momenti di vita nel deserto, il rivivere dei ricordi, della famiglia, il porsi domande su una guerra infame, constatare giorno per giorno la fragilità degli avvenimenti, le debolezze umane ed a volte l’esaltazione fanatica di qualche superiore che non capiva l’evolversi della situazione e continuava irresponsabilmente a recitare la sua parte, dimenticandosi della vita degli altri. Il 5 gennaio del 1941, incalzata dagli inglesi militarmente superiori in forze e in armi, la guarnigione italiana a difesa di Bardia capitola e tutti i soldati italiani (circa 40.000) sono fatti prigionieri.

Inizia così anche per Nicola una seconda odissea, prima per via di terra e poi nuovamente per mare, fino a raggiungere il porto di Bombay in India. Ancora una volta lascio al lettore il piacere della documentazione, nell’immedesimarsi in quei personaggi, che col tempo appaiono quasi immaginari, nel trascorrere quelle lunghe giornate parlando del più e del meno per arrivare a dirsi le stesse cose, nel pensiero dei propri cari lontani migliaia di chilometri e di anni. Lo spostamento nei diversi campi, le nuove amicizie, la ricerca di compaesani diventava routine, così come l’arrangiarsi per vivere, il cooperare col soldato nemico che molte volte diventava amico, più del soldato rimasto in Patria.

Il prigioniero lontano dalla propria terra, seppur non maltrattato, perde fiducia in sè stesso ed ha bisogno di trovar un qualcosa per motivarsi. Lo spiega bene in poche parole l’autore : “Nel campo il morale era a terra per la mancanza di libertà e per la lontananza da casa. Per cercare di dimenticare questi problemi si cercava di essere impegnati tutto il giorno in qualche attività in modo da non pensare.”. C’era chi non ci riusciva e si ammalava o ancor peggio succedeva che qualcuno si togliesse la vita. La guerra bruciava la vita in tutti i sensi.

In Patria le difficoltà non sono minori e la vita è sempre più dura. Gli aerei amici e nemici bombardano in ogni dove e chi ci fa le spese è sempre e solo la povera gente, privata nei beni e negli affetti. A queste incursioni si aggiungono le aggressioni militari, i maltrattamenti, i rastrellamenti, le fucilazioni. Si arriva ad un punto dove le barbarie distruggono la speranza e con essa arretrano il mondo al limite della civiltà. Questo è la guerra. Questo sono le guerre. Come ogni cosa anche la guerra ha una fine. A fianco della distruzione e dei lutti nasce la speranza che dopo quel orrore possa realizzarsi un mondo migliore.

Ma per Nicola le vicissitudini non sono ancora finite. Deve infatti attendere oltre un anno dalla fine della guerra per poter rivedere la famiglia ed abbracciare il figlioletto che mai aveva visto e che già stava per compiere i sei anni. Il 22 agosto del 1946 i reduci dalla prigionia in India sbarcano a Napoli e fra loro c’è anche il trentatreenne Nicola Santecchia. L’autore non ne fa cenno, ma penso che nessuna autorità fosse presente allo sbarco di questi nostri sfortunati connazionali.

Il dopo guerra è stato per molti ex prigionieri un dramma e lo spiega bene l’autore indicando che L’Italia si dimostrò insensibile nei confronti di tanti suoi figli che furono lasciati moralmente soli ad affrontare, superare e cercare di dimenticare l’incubo della prigionia. Questi giovani, vittime degli eventi di una guerra ingiusta, come ingiuste sono tutte le guerre, prigionieri di nemici che dopo l’8 settembre del ’43 erano diventati alleati, (ma non dei prigionieri) sono stati umiliati anche dai nuovi venuti e nessuno ha cercato di capire le loro sofferenze e quindi che la guerra e la prigionia avevano portato via gli anni più belli della loro vita.

Per comprendere meglio quegli stati d’animo e i patimenti di uomini che, chiamati dalla Patria, avevano dato tutto ciò che potevano dare, bisogna leggere la chiarezza di espressione del libro di Eno Santecchia, figlio di Nicola che ha saputo magistralmente illustrare il racconto ed il pensiero del padre, si che, in molti punti, sembra sia lo stesso Eno il protagonista di questa storia.

Certamente si tratta di un’opera da Biblioteca rivolta ai giovani e a tutti coloro che anelano ad un futuro sempre migliore. E ricordiamoci che l’umanità non può progettare il futuro se non è consapevole del proprio passato. Per questo, il libro di Santecchia è un documento indispensabile.

Così sono trascorsi gli anni migliori
Memorie della guerra in Libia e della prigionia in India
di Eno Santecchia
Ed. Il lavoro Ancona 2007
euro 20,00

Speciale pace

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