18 dicembre 2008

 
     

Caso Abu Omar e segreto di Stato : Consulta , conflitto ammissibile
di
Tara Fernandez

La Corte costituzionale ha accolto ieri l'istanza del tribunale di Milano contro Palazzo Chigi dichiarando ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri sul segreto di Stato nel processo per il sequestro dell'ex imam Abu Omar in cui i reati contestati agli imputati (fra gli altri l'ex direttore Sismi, Nicolò Pollari, e 26 agenti della Cia) sono sequestro di persona aggravato e favoreggiamento personale.

In relazione a tale procedimento risultano pendenti davanti alla Corte costituzionale gia' cinque ricorsi per conflitto di attribuzione, l'ultimo dei quali, in ordine di tempo, e' stato promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri proprio nei confronti del tribunale di Milano in relazione alla sua decisione «di riaprire il processo» – precedentemente sospeso, ai sensi 479 del codice di procedura penale, in attesa di una decisione della Corte in ordine ai quattro precedenti ricorsi – nonché «di ammettere le testimonianze di alcuni appartenenti o ex appartenenti ai Servizi di informazione e sicurezza», come da richiesta formulata dal pubblico ministero.

Il Tribunale di Milano, nel promuovere il conflitto, ha evidenziato invece che proprio l'ulteriore svolgimento del processo avrebbe confermato che «l'ammissione delle suddette testimonianze non poteva, di per sé stessa, cagionare un disvelamento di notizie secretate, restando fermo il dovere dei testimoni, penalmente sanzionato (art. 261 c.p.), di astenersi dal rivelare tali informazioni e di attivare, ove necessario, il meccanismo legale di tutela del segreto di Stato, fondato sull'opposizione e sulla successiva conferma del Presidente del Consiglio (art. 202 c.p.p.)» e percio' «la mera ammissione dei testimoni non avrebbe potuto cagionare alcun pregiudizio all'interesse alla segretezza», diversamente da quanto ipotizzato dal Presidente del Consiglio dei ministri nel ricorso per i conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato dell'anno 2008.

Le suo ricorso, il tribunale ricorrente ha evidenziato come la difesa di uno degli imputati, all'udienza del 15 ottobre 2008, abbia depositato una lettera del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2008, «inoltrata a tutti gli appartenenti o ex appartenenti ai Servizi chiamati a testimoniare» nel giudizio, documento con il quale – si legge ancora nel ricorso – «veniva ricordato che sul fatto del sequestro Abu Omar non esiste segreto di Stato, mentre rimane coperto da segreto “ogni e qualsiasi rapporto fra Servizi italiani e Servizi stranieri nel quadro della tutela delle relazioni internazionali”, con conseguente dovere per i suddetti testimoni di opporre il segreto di Stato in relazione a “qualsiasi rapporto fra i Servizi italiani e stranieri ancorché in qualche modo collegato o collegabile con il fatto storico meglio noto come sequestro Abu Omar”».

Poiche' alcuni testimoni, richiamandosi a tale lettera/direttiva, opponevano il segreto di Stato nel rispondere ad una domanda relativa ad eventuali ordini o direttive, impartiti da uno degli imputati, volti «a vietare ai propri sottoposti il ricorso a mezzi illeciti di contrasto del terrorismo internazionale e, in particolare, le cd. extraordinary renditions» e in relazione alla richiesta del pubblico ministero «di ripetere quanto già riferito nel corso delle indagini preliminari in ordine ad alcuni colloqui relativi al coinvolgimento di un imputato nel sequestro e alla sua partecipazione ad una riunione con “gli americani” a Bologna, cio' portava il tribunale a rivolgersi al Presidente del Consiglio dei ministri perché confermasse, fra l'altro, l'esistenza del segreto «su direttive e ordini impartiti dal Generale Nicolò Pollari».

Berlusconi rispondeva confermando il segreto opposto dai testi e precisando i limiti entro i quali – ad avviso dell'Esecutivo – dovrebbe muoversi l'Autorità giudiziaria. Nella risposta il premier motivava la conferma del segreto opposto dai testi con l'esigenza di «preservare la credibilità del Servizio nell'ambito dei suoi rapporti internazionali con gli organismi collegati», e ciò in quanto «la divulgazione di notizie rivelatrici, anche di parti soltanto di tali rapporti, esporrebbe i nostri Servizi al rischio concreto di un ostracismo informativo da parte di omologhi stranieri, con evidenti negativi contraccolpi nello svolgimento di attività informativa presente e futura»e con l'«esigenza di riserbo che deve tutelare gli interna corporis di ogni Servizio, ponendo al riparo da indebita pubblicità le sue modalità organizzative ed operative».

Il Tribunale chiedeva allora come sia possibile per l'autorità giudiziaria, in tale contesto, «accertare l'esistenza e la commissione, da parte di persone individuate come imputati, del reato in questione se nessuna domanda può essere posta ai testi in merito alla collegabilità del fatto con le condotte degli imputati medesimi», e dunque evidenziando la contraddittorietà tra l'affermazione di principio «che su un fatto-reato non esiste segreto» e la decisione di «non consentire l'accertamento del fatto medesimo in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive» e pertanto, nel rilevare che le affermazioni del Presidente del Consiglio dei ministri «rendono di fatto assai arduo il concreto e pieno esercizio dei poteri giurisdizionali», ha ritenuto di dover promuovere conflitto presso la Consulta, anche al fine di far accertare «l'illegittima compressione delle attribuzioni e dei poteri propri dell'autorità giudiziaria di cui agli artt. 101 e ss. Cost.» derivante dalle risposte del presidente del Consiglio.

Il ricorrente ha argomentato che – nel premettere che la disciplina del segreto di Stato si fonda sulla «ricerca di un punto di equilibrio tra due interessi parimenti essenziali e insopprimibili della collettività», ovvero, «da un lato, la tutela giurisdizionale dei diritti e la perseguibilità dei reati e, dall'altro, la sicurezza dello Stato» – l'opposizione e la conferma del segreto, determinando, obiettivamente, «un importante limite alla “naturale” potestà del giudice di acquisire e utilizzare fonti di prova su cui fondare il proprio libero convincimento», si debbano compiere, non in assenza di «qualsiasi vincolo», bensì nel rispetto di «alcuni fondamentali principi e, in particolare, quelli di legalità, correttezza e di lealtà, nonché proporzionalità.

Insomma, nota il Tribunale di Milano, sembra «potersi affermare che Presidente del Consiglio ed autorità giudiziaria concordano» sia «sul fatto che il sequestro Abu Omar, in quanto fatto-reato, non è coperto da segreto di Stato», sia «sul rilievo che vi sono tuttavia notizie liminari a tale fatto di reato, di cui deve essere garantita la segretezza», nondimeno, esiste tra di essi discordanza di vedute circa la concreta individuazione della «linea di confine tra ciò che è segreto e ciò che non lo è», nonché in ordine al «significato dell'espressione “fatto-reato” non secretato» e che simili conclusioni finiscono con il risolversi «in una sostanziale vanificazione» del potere-dovere del giudice «di accertare e valutare le condotte degli imputati e le loro responsabilità», in contrasto, innanzitutto, con il «principio di legalità».

In conclusione, il Tribunale ricorrente ha chiesto alla Corte Costituzionale di dichiarare «che non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri secretare “qualsiasi rapporto fra i Servizi italiani e stranieri ancorché in qualche modo collegato o collegabile con il fatto storico meglio noto come sequestro Abu Omar”», né «precludere all'autorità giudiziaria ricorrente l'acquisizione e l'utilizzazione di tutti i mezzi di prova che “hanno tratto ai rapporti fra Servizi italiani e stranieri”», né, infine, «confermare il segreto di Stato su notizie già rivelate nel corso delle indagini preliminari», annullando quindi gli effetti delle lettere del premier che vincolano al silenzio i testimoni del processo.

Speciale voli e prigioni CIA

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