02 dicembre 2008

 
     

Pena di morte e teoria della deterrenza di fronte ai fatti
di Claudio Giusti*

La teoria della deterrenza della pena di morte è semplice: la gente ha paura di morire e non commette certi crimini, o ne commette molti meno, se questi sono passibili di pena capitale. La scomparsa di questa minaccia causa un aumento dei delitti, in particolare dell’omicidio, e un gran numero di vite innocenti sono sacrificate dalla criminale stupidità degli abolizionisti.

La dimostrazione di questa teoria si basa sull’oculata scelta dei dati da usare e nell’ignorare quelli che non collimano con i presupposti ideologici. Tutto quello che non coincide con il mantra “più esecuzioni uguale a meno omicidi” non è preso in considerazione. Soprattutto ci si rifiuta di guardare alle esperienze dei paesi abolizionisti e a quelle degli stati americani.

Gli hangman-friends fingono di non sapere che, negli anni ’30, a un alto tasso di esecuzioni corrispondeva un altrettanto alto tasso di omicidi e non spiegano la rapida diminuzione di entrambi negli anni ‘40 e ‘50. Però attribuiscono l’aumento degli omicidi degli anni sessanta alla sospensione delle esecuzioni nel periodo 1967-1977, evitando di notare che la pena di morte è scomparsa solo nei pochi mesi successivi alla sentenza Furman. Salutano entusiasticamente il ritorno del boia (17 gennaio 1977) e il crescere delle esecuzioni, correlandolo al contemporaneo calo degli omicidi; senza però spiegare come mai, fra il 1986 e il 1991, crescono sia le esecuzioni che gli omicidi. Qualcuno fa addirittura i conti e pretende di dimostrare che ogni esecuzione salva la vita di almeno 18 innocenti (ma c’è chi offre molto di più).

Dall’anno 2000, inspiegabilmente, il trionfalismo forcaiolo si arresta e sembra che in America, dalla fine del millennio, non accada più nulla di interessante. La ragione è semplice: i dati successivi sono l’esatto contrario di quello che ci si dovrebbe aspettare (nel caso ovviamente che uno sia così stupido da credere a questa teoria) Questa sorta di millennium bug della deterrenza ha le sue buone ragioni per esistere. Nel 1999 abbiamo visto il record delle esecuzioni (98) e delle condanne (circa 300) mentre il tasso di omicidio scendeva al 5,7 per centomila che, pur essendo quasi sei volte il nostro, era un tasso estremamente basso: quasi la metà di quello di vent’anni prima.

E vissero tutti felici e contenti ? No, tutt’altro. Negli anni successivi abbiamo assistito, attoniti, non solo al vertiginoso calo del numero delle condanne a morte e al precipitare delle esecuzioni (sospese fra il 25 settembre 2007 e il 6 maggio 2008), ma anche alla stupefacente stabilità del tasso di omicidio che, alla faccia della deterrenza, è rimasto incredibilmente stabile. Le condanne a morte sono passate, dalle 300 l’anno, alle poco più di cento di oggi, mentre le esecuzioni, dopo il picco di 98, sono rapidamente scese alle 53 del 2006 (e me ne aspetto un massimo di 40 - 50 nel 2009, in gran parte in Texas) allo stesso tempo il tasso di omicidio restava incrollabilmente fermo fra il 5.5 e il 5,7.

Quindi, o gli americani non sanno che ora è ancor più difficile e raro essere condannati a morte e uccisi, oppure i forcaioli ci hanno raccontato delle balle. Propendo per la seconda ipotesi. Gli americani forcaioli soffrono di insularità e si rifiutano di prendere in considerazione le esperienze del resto del mondo. Evidentemente sanno che Italia e Canada sono la dimostrazione vivente che la pena capitale non è un deterrente.

Il 14 luglio del 1976 il Canada sopprimeva la pena di morte. Da allora il suo tasso d’omicidio si è continuamente ridotto fino a diventare un terzo di quello precedente l’abolizione: cosa del resto già avvenuta in Italia nei vent’anni che seguirono la fine della pena capitale. L’esempio canadese è particolarmente interessante perché, proprio in quello stesso luglio, con la sentenza Gregg, la Corte Suprema degli Stati Uniti dava il via libera alla “new and improved” pena di morte.

Al contrario di quanto avvenuto in Canada il tasso d’omicidio americano è prima cresciuto, poi diminuito, poi di nuovo cresciuto e solo successivamente abbiamo assistito ad una consistente diminuzione del numero degli omicidi. Diminuzione avvenuta anche in Italia dove, nel 2002, abbiamo avuto 638 omicidi contro i 2.000 del 1991. In quello stesso anno gli americani ne avevano contati 25.000 e hanno attribuito alla pena di morte la diminuzione ai 16.638 nel 2002. Gli hangmanfriends non tengono in considerazione nemmeno le esperienze nazionali.

Peccato, perché lo studioso Thorsten Sellin mezzo secolo fa, confrontando le varie giurisdizioni degli Stati Uniti, scoprì che “in generale gli Stati con il boia avevano tassi di omicidio significativamente più alti di quegli Stati che non uccidevano gli assassini.” A questo riguardo il forcaiolo Lott ha avuto l’impudenza di scrivere che: “This simple comparison really doesn’t prove anything. The 12 states without the death penalty have long enjoyed relatively low murder rates due to factors unrelated to capital punishment.”

Forse pensa che siamo tutti stupidi.

In memoria di Michael Mello (1945 – 2008)

Bibliografia

Homicides in U.S.
murders rate
sentences
executions

La citazione di T. Sellin è in Mark Costanzo, Just Revenge. Costs and Consequences of the Death Penalty, New York, Saint Martin's Press, 1998, pagina 97

John Lott: Death as Deterrent. Fox News Wednesday, June 20, 2007

Esecuzioni, omicidi e condanne negli USA (documento Word)

* membro del Comitato scientifico dell'Osservatorio

Speciale giustizia USA

Speciale diritti

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