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14 settembre 2008
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Pdl
tortura : penalisti , reato riguarda solo pubblici ufficiali La tortura e' un reato riguardante i pubblici ufficiali ed e' questa fattispecie delittuosa che va normata e sanzionata, mentre per i comportamenti dei semplici cittadini si puo' parlare di lesioni personali, percosse e minacce e fare riferimento alle leggi esistenti. E' in sintesi il punto di vista dell'Unione Camere Penali Italiane sul progetto di legge mirante ad introdurre il reato di tortura nell'ordinamento italiano, dopo il fallimento del tentativo della scorsa legislatura. Il pdl 857
presentato alla Camera il 7 maggio 2008 prevede l'introduzione degli articoli
613-bis e 613-ter del codice penale in materia di tortura: Ma, sottolineano gli avvocati penalisti, tanto nella Convenzione di New York del 1984 che nello Statuto della Corte Penale Internazionale il delitto di tortura compare come reato proprio del pubblico ufficiale, e la scelta appare del tutto condivisibile poiché è per l'appunto la circostanza che gli atti di sopraffazione fisico/psichica siano commessi da un pubblico ufficiale a determinare l'elemento specializzante che fonda il maggior disvalore della condotta rispetto ai reati comuni (di violenza privata, percosse, minacce e lesioni personali) dei privati. In altre parole, a rendere la condotta di violenza privata, lesioni personali ecc., meritevole di un più severo trattamento punitivo è il particolare rapporto che intercorre tra il pubblico ufficiale che abusa della propria posizione di supremazia e il soggetto destinatario dell'azione (inquirente o punitiva) del primo che si viene a trovare in una condizione di soggezione. Del resto, la lettera dell'art. 1 della menzionata Convenzione ONU sulla tortura è inequivoca: "il termine "tortura" - è scritto - indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate". Lo Statuto della Corte Penale Internazionale, invece, dopo aver annoverato la tortura tra i crimini contro l'umanità "commessi nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco", all'art. 7 comma 2 definisce la tortura come la condotta consistente nella inflizione volontaria di "gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori, o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati". Anche la nostra Costituzione orienta verso la riconducibilità delle condotte integranti il concetto di tortura al modello del reato proprio. L'art. 13, comma 4, infatti, dettando un invito al legislatore ordinario a sanzionare penalmente unicamente le forme di violenza commesse nei confronti di persone sottoposte a restrizioni di libertà da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, legittimerebbe la punizione come fatti di tortura solo delle condotte realizzate da un pubblico ufficiale. Insomma, conclude l'UCPI, "sia in base alle fonti sovranazionali, sia in base alla nostra Legge fondamentale, il nostro legislatore ordinario dovrebbe limitarsi a configurare l'autonoma fattispecie della tortura come reato proprio del pubblico ufficiale che abbia in custodia o in controllo un privato. Per i casi di tortura 'comuni', praticati nell'ambito di rapporti paritari tra privati, non sussistono argomenti né oggettivi, né soggettivi, che siano in grado di legittimare la previsione di una fattispecie autonoma e più grave rispetto a quelle preesistenti nel nostro codice penale. Per tutte le ipotesi di violenza privata, lesioni ecc., tra privati sono sufficienti le sanzioni - indubbiamente severe, soprattutto se calibrate sui massimi edittali - previste dalle fattispecie incriminatrici comuni". ___________ NB:
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