14 settembre 2008

 
     

Pdl tortura : penalisti , reato riguarda solo pubblici ufficiali
di Mauro W. Giannini

La tortura e' un reato riguardante i pubblici ufficiali ed e' questa fattispecie delittuosa che va normata e sanzionata, mentre per i comportamenti dei semplici cittadini si puo' parlare di lesioni personali, percosse e minacce e fare riferimento alle leggi esistenti. E' in sintesi il punto di vista dell'Unione Camere Penali Italiane sul progetto di legge mirante ad introdurre il reato di tortura nell'ordinamento italiano, dopo il fallimento del tentativo della scorsa legislatura.

Il pdl 857 presentato alla Camera il 7 maggio 2008 prevede l'introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale in materia di tortura:
«Art. 613-bis. - (Tortura). - È punito con la pena della reclusione da tre a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale. La pena è aumentata se le condotte di cui al primo comma sono poste in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. La pena è aumentata se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima; è raddoppiata se ne deriva la morte. Non può essere assicurata l'immunità diplomatica per il delitto di tortura ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati da un'autorità giudiziaria straniera o da un tribunale internazionale. In tali casi lo straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti a un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia».
«Art. 613-ter. - (Fatto commesso all'estero). - È punito secondo la legge italiana, ai sensi dell'articolo 7, numero 5), il cittadino o lo straniero che commette nel territorio estero il delitto di tortura di cui all'articolo 613-bis».

Ma, sottolineano gli avvocati penalisti, tanto nella Convenzione di New York del 1984 che nello Statuto della Corte Penale Internazionale il delitto di tortura compare come reato proprio del pubblico ufficiale, e la scelta appare del tutto condivisibile poiché è per l'appunto la circostanza che gli atti di sopraffazione fisico/psichica siano commessi da un pubblico ufficiale a determinare l'elemento specializzante che fonda il maggior disvalore della condotta rispetto ai reati comuni (di violenza privata, percosse, minacce e lesioni personali) dei privati. In altre parole, a rendere la condotta di violenza privata, lesioni personali ecc., meritevole di un più severo trattamento punitivo è il particolare rapporto che intercorre tra il pubblico ufficiale che abusa della propria posizione di supremazia e il soggetto destinatario dell'azione (inquirente o punitiva) del primo che si viene a trovare in una condizione di soggezione.

Del resto, la lettera dell'art. 1 della menzionata Convenzione ONU sulla tortura è inequivoca: "il termine "tortura" - è scritto - indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate".

Lo Statuto della Corte Penale Internazionale, invece, dopo aver annoverato la tortura tra i crimini contro l'umanità "commessi nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco", all'art. 7 comma 2 definisce la tortura come la condotta consistente nella inflizione volontaria di "gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori, o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati".

Anche la nostra Costituzione orienta verso la riconducibilità delle condotte integranti il concetto di tortura al modello del reato proprio. L'art. 13, comma 4, infatti, dettando un invito al legislatore ordinario a sanzionare penalmente unicamente le forme di violenza commesse nei confronti di persone sottoposte a restrizioni di libertà da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, legittimerebbe la punizione come fatti di tortura solo delle condotte realizzate da un pubblico ufficiale.

Insomma, conclude l'UCPI, "sia in base alle fonti sovranazionali, sia in base alla nostra Legge fondamentale, il nostro legislatore ordinario dovrebbe limitarsi a configurare l'autonoma fattispecie della tortura come reato proprio del pubblico ufficiale che abbia in custodia o in controllo un privato. Per i casi di tortura 'comuni', praticati nell'ambito di rapporti paritari tra privati, non sussistono argomenti né oggettivi, né soggettivi, che siano in grado di legittimare la previsione di una fattispecie autonoma e più grave rispetto a quelle preesistenti nel nostro codice penale. Per tutte le ipotesi di violenza privata, lesioni ecc., tra privati sono sufficienti le sanzioni - indubbiamente severe, soprattutto se calibrate sui massimi edittali - previste dalle fattispecie incriminatrici comuni".

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