05 giugno 2008

 
     

Giustizia : i penalisti criticano il decreto sicurezza
di Tara Fernandez

Il ministro Angelino Alfano ha spiegato la scelta di inserire il reato di clandestinita' nel ddl e non in un decreto - che sarebbe entrato subito in vigore - affermando che il premier Silvio Berlusconi intende prima "valutare le posizioni di tutti e l'impatto del reato di clandestinita'". Ed in effetti critiche al pacchetto sicurezza sulla questione clandestini, ma anche su altri aspetti, giungono gia' dagli addetti ai lavori.

Il decreto sicurezza e' stato infatti passato al vaglio dagli avvocati penalisti, i quali hanno eccepito diverse critiche. Pertanto l'Unione delle Camere Penali Italiane ha inviato al Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Sen. Filippo Berselli, e a tutti i componenti della commissione il documento della Giunta contenente le Osservazioni sul decreto legge n. 92/2008 in materia di sicurezza.

Nel documento pubblicato sul sito dell'associazione, l'UCPI rileva che il decreto "rappresenta un ennesimo intervento 'manifesto', estemporaneo ed emergenziale, che non solo tradisce, ancora una volta, l'ormai improcrastinabile necessità di avviare riforme organiche e strutturali nel settore della giustizia penale, ma che questo tradimento consuma attraverso scelte segnate da una preoccupante caratterizzazione in senso autoritario ed illiberale, qualificate da una logica puramente repressiva, che si mostra cedevole ad inquietanti tentazioni di un diritto penale del tipo d'autore".

L'articolato documento dell'avvocatura penale affronta fra l'altro la questione dei clandestini che commettono reati e le disposizioni sul processo penale. Gli avvocati penalisti fanno rilevare che l'art. 1 del decreto apporta significative modifiche a disposizioni del codice penale con l'inasprimento del trattamento sanzionatorio nei confronti: 1) degli stranieri autori di reato; 2) dei soggetti in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope autori dei reati di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

Nel primo caso si ampliano le ipotesi in cui e' consentita la misura di sicurezza dell'espulsione dallo Stato dello straniero extracomunitario (che diventa applicabile in caso di condanna alla reclusione superiore a due anni, e non già "non inferiore a dieci anni", come prima). I penalisti rilevano tuttavia che - in seguito all'abrogazione dell'art. 204 c.p., quindi alla eliminazione di tutte le fattispecie di pericolosità sociale presunta - anche le misure di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario e dell'allontanamento dal territorio stesso dello straniero comunitario sono applicabili esclusivamente qualora il giudice accerti in concreto la pericolosità sociale del reo, cioè la probabilità che questi commetta in futuro nuovi reati.

Inoltre, l'applicazione della nuova misura di sicurezza dell'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino di altro Stato membro dell'U.E. - notano i penalisti - "deve ritenersi soggetta ad un ulteriore condizione (pena l'illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 117 Cost.): il rispetto degli (stretti) vincoli imposti dal diritto comunitario alla potestà degli Stati membri dell'Unione europea di limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione stessa o di un suo familiare (anche se extracomunitario); vincoli stabiliti (oltre che dal Trattato CEE) dalla direttiva europea tradotta nella legislazione italiana il 6 febbraio 2007.

Per quanto riguarda l'aggravante della clandestinita', a giudizio dei penalisti "nella stigmatizzazione punitiva della irregolarità del soggiorno in sé, l'ordinamento mostra ancora una volta di distorcere la funzione dello strumento penale, piegato a sottolineare disvalori soggettivi anzicchè la maggiore rilevanza negativa di forme di aggressione a beni giuridici", quindi "il fulcro del giudizio penale si sposta dal "fatto" all'"autore", con conseguente rottura dell'equilibrio politico-criminale imposto dalla dimensione costituzionalmente orientata del diritto penale".

Il medesimo fatto di reato, anche se privo di collegamento con la situazione di clandestinità, viene infatti considerato dalla legge più grave - e di conseguenza punito più severamente - se commesso da uno 'straniero irregolare', anziché da un cittadino italiano o da uno 'straniero regolare', portando ad "una irragionevole discriminazione fra persone, in base alla loro origine nazionale e condizione personale (vietata dagli artt. 2 e 7 della Dichiarazione universale, dall'art. 14 della CEDU e dall'articolo 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici)" e all'art. 3 Cost. Secondo gli avvocati, l'inasprimento sanzionatorio mirato non e' giustificato ne' da una maggiore pericolosità presunta o più intensa capacità a delinquere del reo, come attesta "il gran numero di stranieri irregolari che vivono nel nostro Paese e che non sono dediti ad attività criminose".

Per quanto riguarda le disposizioni sul processo penale, secondo la giunta UCPI, "Nessuna delle 'disposizioni processuali' previste dal decreto legge pare essere in sintonia con i fini emergenziali esposti nella relazione, piuttosto si sono inserite in un piccolo omnibus misure destinate a realizzare l'equazione processo uguale carcere oltre che la esecuzione di pene accessorie di natura reale ... prima della condanna. La condizione di detenuto diviene non solo priorità per la celebrazione del processo ma presupposto per un rito semplificato, meno garantito. Si complicano tempi e modalità per la celebrazione dei processi in grado di appello. Si estende il numero dei reati che rendono obbligatoria la detenzione inframuraria come modalità di espiazione della pena".

"Del resto il rinchiudere gli esseri umani che per condizione o condotta versano in contrasto con le regole del consorzio sociale - notano i penalisti - è obbiettivo non nascosto dell'attuale compagine governativa se è vero come è vero che nel disegno di legge di iniziativa governativa 'collegato' al presente decreto, si prevede l'internamento per la durata di anni 1 e mesi 6 di soggetti nei confronti dei quali siano in corso accertamenti per la identificazione, tempo questo pari a quello massimo previsto per la custodia cautelare in carcere intrafasica in relazione ai più gravi reati previsti dal codice penale ed in luoghi che Amnesty International ha definito nei suoi recenti rapporti annuali come strutture ben peggiori del carcere".

Secondo i penalisti, infine, "Del tutto incomprensibile, nella linea politica di riduzione dei tempi del processo penale, è l'abrogazione del patteggiamento in appello (art. 599 c.p.p.)" e inoltre "La disposizione abrogativa contenuta nel D.L. è irragionevole e avrà come conseguenza un tale ulteriore appesantimento dei giudizi d'appello, al punto da comprometterne radicalmente la funzionalità. Disposizioni di questo genere, che sembrano approssimativamente rispondere a un malinteso senso comune di una giustizia lassista, minano ulteriormente l'efficienza degli apparati giudiziari". Secondo la giunta UCPI, "La norma è per di più incostituzionale perché adottata con decreto legge senza che ricorrano i requisiti della straordinarietà, necessità e urgenza (art. 77 cost.)".

Speciale giustizia

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