26 marzo 2008

 
     

Elezioni : limiti di satira e critica politica . Ingiuria e diffamazione
di Rita Guma

E' tempo di accesi dibattiti politici. Ma fin dove ci si puo' spingere senza rischiare di ledere la dignita' e reputazione altrui (per chi pensa ai diritti) e senza essere chiamati a rispondere di ingiuria e diffamazione?

Di seguito una rassegna ragionata della giurisprudenza in materia che, senza la pretesa di essere esaustiva, presenta i temini della questione ed evidenzia come alcune convinzioni invalse non corrispondano sempre a verita'.

INGIURIA E DIFFAMAZIONE

L'art. 2 della Costituzione garantisce "i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità..." e l'art, 1 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo afferma che "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti....", mentre l'art. 21 della nostra Costituzione e l'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo garantiscono la liberta' di espressione.

Questi diritti devono trovare - come piu' volte sottolineato dalla giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo, un punto di equilibrio, tanto che, secondo la nostra Cassazione Penale, Sent. n. 7568/2005, "il linguaggio usato per comunicare deve essere corretto e non oltrepassare certi limiti, poiche’ la violenza verbale, ingiustamente tollerata in nome della liberta’ di espressione e di critica, e’ talvolta anche piu’ dannosa della violenza fisica".

Limiti essenziali sono gia' stabiliti dal codice penale:
- Commette il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,46. La pena e' aumentata se l'offesa e' commessa in presenza di piu' persone.
- Commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l'altrui reputazione in assenza della persona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,91. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena e’ della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a € 2065,82.

I due reati sono perseguibili a querela di parte e non riguardano solo i giornalisti, ma qualsiasi cittadino. Ovviamente al riconoscimento dei danni subiti puo' corrispindere un risarcimento in sede civile. Va rilevato che la qualificazione come reato e le corrispondenti pene detentive sottolineano quanto gravi siano considerate dalla legge queste lesioni dei diritti altrui.

Vi e' infine il diritto all'identita' personale: ogni individuo ha il diritto di vedersi descritto senza inesattezze che ne stravolgano la personalita' agli occhi di terzi (ad es. attribuendogli azioni e comportamenti mai tenuti). La violazione di tale diritto non da' luogo a reato, ma e' un illecito civile, che legittima una richiesta di risarcimento danni perché riconducibile a "qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto" (art. 2043 del codice civile).

E' intuitivo che (Cassaz. sez. V penale, n. 4741/2000) "i reati previsti dagli articoli 594 e 595 c.p. possano essere commessi anche per via telematica o informatica; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse)". (per 'agente' qui e nel seguito si intende 'colui che agisce').

Per quanto riguarda invece la veicolazione delle idee offensive tramite i media, per il comma 3 dell'articolo 595 C. P., essa costituisce un'aggravante. Per il combinato disposto degli artt. 596-bis e 57 C. P., sono in tal caso responsabili penalmente non solo l'autore, ma anche il direttore responsabile, l'editore e lo stampatore. Per quanto riguarda la responsabilita' civile, in base all'l'art. 11 della legge n. 47 del 1948 rispondono in solido gli autori del reato, il proprietario della pubblicazione e l'editore. Ovviamente in tal caso, per stabilire la violazione, interviene anche la valutazione del bilanciamento con il diritto di cronaca.

Da considerare che, come emerso da diverse sentenze della Cassazione, non si puo' invocare il fatto di non aver fatto menzione di nome e cognome del destinatario dell'ingiuria o della diffamazione, quando questi sia univocamente determinabile.

QUANDO C'E' OFFESA ALL'ONORE

Sebbene l'art. 3 Cost. garantisca la pari dignita' sociale di tutti i cittadini, il nostro ordinamento considera l’onore sotto due aspetti: uno di natura soggettiva, l’altro di natura oggettiva. Il primo consiste nel "sentimento del proprio valore sociale", mentre il secondo è rappresentato dal giudizio degli altri sulle doti di un individuo e la reputazione e considerazione di cui gode nella comunita'.

Secondo la Cassazione (sent n.13263/2005), ai fini della sussistenza del delitto di ingiuria è sufficiente che l’agente abbia consapevolmente apostrofato l’interlocutore con un epiteto, chiaramente offensivo in relazione al contesto in cui è stato pronunciato, ed effettivamente percepito come tale, a nulla rilevando l’assenza in capo al primo soggetto dell’intenzione di offendere (figurarsi quando invece l'intenzione c'e', ndr). In particolare, secondo la Cassazione (sent. 9799/2006), dare a qualcuno del "maleducato" tout court configura ingiuria, mentre secondo la quinta sezione penale della stessa Corte (sent. n.29433), se e' lecito dare del fascista ad un politico, "dare gratuitamente del fascista ad un comune cittadino è offensivo".

Infatti, secondo la Cassazione, vi sono alcune espressioni di per sé obbiettivamente lesive dell’onore e del decoro, tali cioè da offendere qualunque persona, ed altre che possono acquistare efficacia ingiuriosa in dipendenza di particolari circostanze, soggettive od oggettive. Fra le prime, la personalità delle parti, il loro ruolo sociale o di contesto, la natura dei rapporti fra gli interlocutori; fra le seconde, il luogo o l’ambito particolare in cui il fatto si verifica.

Questo significa che provoca piu' danno ledere l'immagine di una persona che abbia un ruolo sociale di rilievo in ordine ai contenuti oggetto delle affermazioni lesive. Ad esempio dare del ladro ad un magistrato e' piu' grave che nei confronti del normale cittadino e addirittura espressioni e accuse che dirette ad un normale cittadino non rappresenterebbero un'ingiuria lo sono se diretti a determinati soggetti (ad es. dare del dilettante ad un professionista - Cassaz. quinta sez. penale, sent. n.8639/2008, o etichettare come raccomandato un pubblico ufficiale - Cassaz. quinta sez. penale, sent. 37455/2005).

Va considerato che, secondo la Suprema Corte (quinta sez. penale, sent. n.10724), "la reputazione non si identifica con la considerazione (talvolta ombrosa) che ciascuno ha di se' o con il mero amor proprio, ma con il senso di dignita' personale in conformita' all'opinione del gruppo sociale". Il delitto di diffamazione (e conseguentemente - in presenza dell'offeso, il delitto di ingiuria) "va ravvisato se viene lesa la reputazione", e l'illecito per lesione del diritto all'identita' personale emerge "ove vi sia distorsione dell'effettiva identita' personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso e professionale".

LA PROVOCAZIONE

Nei dibattiti e nelle discussioni ci si ritiene spesso discolpati per le intemperanze verbali adducendo la causa della provocazione. In base all'art. 599 C.P., nei casi di ingiurie, se le offese sono reciproche, il giudice puo' dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori (la Cassazione in varie sentenze e' orientata per non punirli entrambi, indipendentemente da chi abbia cominciato a ingiuriare, ndr) mentre non e' punibile chi ha commesso ingiuria o diffamazione nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso. Sempre per la Cassazione, pero', laddove vi sia la volontà dell’agente di usare espressioni ingiuriose con la consapevolezza di offendere l’onore e la reputazione di altri, non si puo' invocare la causa della provocazione citata dall'art. 599 C.P.

In ogni caso la reazione ad eventuale provocazione, secondo l'intera giurisprudenza, deve essere proporzionata. Non si puo' quindi ingiuriare chi critica - anche aspramente - il proprio partito (fatto lecito, come si vedra' nel seguito) e non e' lecito indirizzare un epiteto offensivo a chi si limita a criticare un comportamento dell'interlocutore. Inoltre non si puo' invocare la provocazione di A per giustificare lesioni al diritto all'onore di B, a meno che non si possa dimostrare che B sia il mandante di A. Va ricordato a tal proposito che per la Costituzione la responsabilita' e' individuale.

continua domani

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