10 marzo 2008

 
     

Sicurezza , immigrazione e tolleranza zero : quanta demagogia !
di Alessandro Balducci

In base al rapporto Eurispes-Associazione Ex 2003, nel nostro paese in famiglia si verifica un omicidio ogni due giorni. Nel 2003 questo tipo di delitti rappresenta circa un quarto di tutti quelli commessi in Italia. Quanto all'ambito in cui tale delitto viene commesso, al primo posto troviamo la coppia sposata, al secondo i conviventi, poi i fidanzati e gli amanti, gli ex coniugi o ex conviventi. Nel 77% dei casi gli assassini sono mariti, conviventi o ex mariti.

Inoltre, secondo i dati ISTAT 2006, 6.743.000 donne fra 14 e 59 anni sono state vittime di violenza fisica e sessuale nel corso della vita, ma anche gli stupri e i tentati stupri sono commessi per il 20% da mariti o ex mariti e il 65% delle violenze sessuali avviene a casa propria o di amici e parenti.

Una piccola riflessione: nonostante quanto riportato, a nessuno viene in mente di "criminalizzare" la famiglia o di uscire con proposte del tipo: "Aboliamo la famiglia perché un quarto dei totale degli omicidi commessi in Italia viene commesso in ambito familiare". Anzi. Alcune Associazioni stanno lanciando in questi giorni una petizione per chiedere sostegno fiscale alle famiglie con figli. Perché un conto è conoscere e combattere la triste piaga dei delitti commessi in ambito familiare, un altro e' difendere e sviluppare il ruolo positivo che la famiglia può svolgere all'interno della società.

Altra cronaca, altro film. Ottobre 2007, Roma: una donna di 47 anni viene aggredita ed uccisa in zona Tor di Quinto da un uomo, romeno, di 24 anni. La polizia viene avvertita da una ragazza che aveva assistito all'aggressione. Particolare non di poco conto: la ragazza era anche lei rumena, come l'aggressore che, grazie proprio alla segnalazione della testimone, e' stato prontamente arrestato.

Qualche ora dopo, arriva il diluvio! Dichiarazioni di politici che chiedono "linea dura" e "tolleranza zero" contro gli "stranieri invasori". I blog e i forum di internet tempestati da messaggi in cui i più moderati erano del tipo: "fuori i rom dall'Italia!" Nessuno, ovviamente, considerava il fatto che l'uomo era stato arrestato in pochissimo tempo grazie alla testimonianza di una sua connazionale che aveva avuto il coraggio di rompere l'omertà. Omertà che invece sussiste, per esempio, ancora in molte zone del nostro Paese rendendo quelle zone - e le popolazioni che vi abitano - ostaggio delle italiche mafie; ma questo è un altro discorso.

Due pesi, due misure quindi. La mancanza di un approccio razionale, depurato dalle isterie xenofobe e demagogiche, alla questione "sicurezza", unito ad ossessive e martellanti campagne mass-mediatiche che finiscono con lo spostare l'obbiettivo su falsi problemi, contribuiscono non solo a concepire politiche per la sicurezza che fino ad ora non hanno prodotto risultati concreti, ma anche a determinare nei cittadini il "senso d'insicurezza".

Intendiamoci: la popolazione ha tutto il diritto di esigere di poter vivere in tranquillità nella propria casa, nel proprio quartiere, nella propria città. E la criminalità comune, per le sue modalità, avendo riflessi anche sulla sfera privata delle singole persone, costituisce un ostacolo alla realizzazione di questo fondamentale diritto. Ma qualche riflessione dovremo pur farla se nonostante le galere siano piene di "criminali di strada" (mentre sono praticamente introvabili gli autori di crimini finanziari o i responsabili delle morti bianche), e malgrado l'impegno sempre crescente delle forze di Polizia, l'installazione di antifurti nelle nostre abitazioni e di telecamere in ogni angolo di strada, alla fine, in Italia, continuiamo a sentirci sempre "insicuri".

Uno degli atteggiamenti più diffusi presso l'opinione pubblica - ed assecondato da alcuni schieramenti politici - consiste indubbiamente nell'addossare ad un'etnia (Rumeni, Albanesi, etc.) o ad una categoria sociale (i giovani, i tossicodipendenti) la colpa totale dei reati da microcriminalità.

Come evidenziato dalla professoressa Tamar Pitch, nel suo intervento al convegno pubblico organizzato a Ravenna il mese scorso (1), le discutibili scelte di alcuni Sindaci e della classe politica nazionale forse sono buone per accattivarsi qualche voto e per garantirsi la successiva rielezione, ma nel lungo periodo non danno risposta al "bisogno di sicurezza". Anche perché tra le conseguenze sociali e culturali di un simile approccio vi è l'identificazione di quell'etnia o di quella categoria come "congregazione dedita al crimine"; una tale conclusione non solo è inaccettabile in uno stato di diritto oltre che foriera di tragedie e di orrori che - si spera! - appartengano al passato, ma è anche capace di innescare ulteriori tensioni tra le componenti etniche della popolazione che difficilmente possono contribuire a diminuire la percezione del pericolo da parte dei cittadini.

Quello che va invece ricordato - e denunciato - è che la "criminalità immigrata è statisticamente legata ad una condizione d'irregolarità"(2,3). Un immigrato irregolare è costretto a vivere - anzi, a sopravvivere - ai margini della società e diventa più facilmente preda di comportamenti illegali o criminali; inoltre sarà costretto a lavorare "in nero" vista l'impossibilità di mettersi in regola. Il circuito immigrazione irregolare-lavoro nero si autoalimenta così innescando una spirale di illegalità: e' vero, infatti, che molti immigrati clandestini sono attratti dal nostro Paese a causa delle numerose possibilità offerte di lavoro nero (edilizia, agricoltura).

Ecco che allora una corretta politica per la sicurezza dovrebbe porsi l'obbiettivo di aumentare le possibilità di essere in Italia regolarmente spezzando questi meccanismi perversi. Ma soprattutto, quello che le campagne di stampa e televisione non rilevano quando affrontano questi problemi, è che il problema "sicurezza" assume connotati diversi a seconda della categoria di persone che si considera.

Pochi giorni fa, a Fiumicino, tre bambini e due donne sono stati travolti ed uccisi mentre aspettavano lo scuolabus, da una macchina che era stata coinvolta in un incidente provocato dall'alta velocità degli autoveicoli. In un giorno, probabilmente, le strade fanno più vittime tra bambini ed adolescenti di quanto non ne facciano i pedofili in un anno. Però i politici in campagna elettorale si sono messi a discutere sull'opportunità o meno della castrazione chimica dei pedofili! Senza contare che - come riportato nella breve introduzione all'inizio - donne e bambini corrono più rischi di vittimizzazione tra le pareti domestiche che camminando per le vie della città.

Occorrerebbe allora che la classe politica, invece di inseguire slogan o parole d'ordini difficilmente realizzabili nella pratica (oltre che di dubbia efficacia), cominciasse a rendersi conto che le politiche e le strategie di sicurezza devono avere certe determinate caratteristiche se si rivolgono, per esempio, alla tutela dei bambini e degli adolescenti, mentre ne dovranno avere delle altre se sono orientate alla difesa dell'incolumità delle donne o delle persone anziane. Sarebbe questo un indubbio passo avanti nel desolante panorama generale.

Come non cogliere, infatti, la demagogia e l'insensatezza negli appelli alla "tolleranza zero" ed alla "certezza della pena" che vengono quotidianamente fatti da quasi tutti gli esponenti politici in occasione di un fatto di cronaca particolarmente efferato? Il politico che parla di "certezza della pena" dovrebbe in primis spiegarci come mai non vengano costruite nuove carceri, visto che ogni due-tre anni la popolazione carceraria raggiunge un livello tale che occorre promulgare un indulto per far ritornare vivibili e sicure le patrie galere (sicure anche per coloro che vi lavorano, cioè gli agenti di custodia). Migliaia di sentenze di condanna emesse dopo processi eseguiti con dispendio di energie e di risorse da parte di Forze dell'ordine e di magistrati, vanno così in fumo a causa dell'insufficienza dell'edilizia carceraria. E buonanotte alla "certezza della pena"!!

Ci vorrebbe una certa logicità e coerenza nelle scelte culturali di fondo che poi debbono orientare l'azione legislativa del Parlamento ed il controllo di legalità. Se si ritiene che i reati debbano essere puniti tenendo fede al principio della certezza della pena, allora bisogna decidersi a costruire nuove carceri, e non comminare inutilmente anni di galera per poi farli evaporare con gli indulti. Se si ritiene invece che il carcere debba essere usato solo come "estrema ratio" allora e' inutile prevedere l'attuale miriade di reati con conseguente ingolfamento dell'attività di polizia e magistratura.

Meglio procedere ad un'oculata ed accorta depenalizzazione dei reati ritenuti non gravi e prevedere per essi pene alternative al carcere. Si risparmiano risorse umane e materiali. E lo Stato ci fa più bella figura!

1) "Che genere di sicurezza? Accoglienza, legalità, diversità nelle città di oggi" Relatrice la prof. Tamar Pitch. Interventi di Andrea Corsini e Anna Mori. Organizzatori Comitato per la Legalità e la Democrazia di Ravenna e Osservatorio sulla Legalità e sui Diritti onlus.
2) "Pacchetto sicurezza, l'originale e la fotocopia", Il Manifesto, 07.10.2007
3) Ministero dell'Interno: "Rapporto sullo Stato della Sicurezza in Italia", 2007.

Speciale diritti

Speciale immigrazione e razzismo

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