08 gennaio 2008

 
     

Bullismo : un malessere dilagante
di Antonio Antonuccio*

La riapertura delle scuole, dopo la pausa delle vacanze natalizie, può tornare utile per riaffacciarsi in maniera critica e propositiva al fine di trovare la giusta via per affrontare il problema del bullismo che ormai coinvolge o, forse è meglio dire, investe anche la fascia più giovane dei ragazzi, ovvero è praticato anche nell'ambito dell'età delle scuole elementari.

Già perché, da quello che le cronache riportano, è proprio vero che anche i ragazzini sotto i dieci anni esercitano atti di prevaricazione e forme di prepotenza verso i loro coetanei più remissivi e, addirittura, disabili, sia quando tra i banchi della scuola, sia in altri contesti di socialità. Tale fenomeno delle dinamiche relazionali giovanili, purtroppo ancora non valutato adeguatamente, è proprio il caso di sottolinearlo, si manifesta ormai in maniera dirompente, tanto da dover essere allarmati, almeno così come si intende "allarmato" il Capo dello Stato quando riferisce sui fatti dell'emergenza rifiuti del napoletano.

Giusto per entrare in questa poco civile pratica, è utile sottolineare che il fenomeno del "bullismo", dall'inglese "bullying" è una forma di devianza che si alimenta dell'indifferenza volontaria o involontaria degli "attori sociali" coinvolti, intendendo con tale espressione sia le istituzioni, sia le agenzie educative, tra le quali le maggiormente coinvolte sono la famiglia e la scuola, per arrivare al semplice uomo della strada, rispetto ad un problema che, secondo le stime più recenti, interessa ben un terzo della popolazione studentesca. Il bullismo si manifesta nell'espressione volontaria e gratuita del desiderio di provocare del male, soggiogando con la paura chi per indole appare diverso nell'essere, ovvero mite e accomodante e perfino con handicap.

Sharp e Smith hanno rilevato che "…Un comportamento da "bullo" è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c'è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare". Forse è proprio per questo desiderio che si pratica maggiormente nelle scuole, poiché luogo, anch'esso, di competizione, forse il primo che la società moderna propone.

Volendo fare una proiezione futura il bullo della scuola è quello che crescendo praticherà il nonnismo durante la convivenza nelle caserme militari e, successivamente, nel mondo del lavoro non disdegnerà, se il ruolo glielo consentirà, di praticare il mobbing. Il bullismo implica sempre uno squilibrio in termini di forza: non si dovrebbe perciò usare questo termine quando due compagni, all'incirca della stessa forza fisica o psicologica, litigano o discutono. Per parlare di bullismo è necessario che ci sia un'asimmetria nella relazione.

La prevaricazione del bullo nei confronti della vittima è ripetuta e compiuta con intenzione. Per parlare di bullismo non è sufficiente quindi che si verifichi un singolo episodio di angheria tra studenti, ma deve instaurarsi una relazione che, cronicizzandosi, crei dei ruoli definiti: il ruolo di colui che le prepotenze le subisce (la vittima) e di chi invece le perpetua (il bullo). Il bullo è attratto dal fascino della trasgressione e cerca di coinvolgere anche gli altri in questo suo gusto: chi non si adegua e non lo asseconda diviene, appunto, "vittima".

Oggi, le modificazioni dell'agire sociale hanno soppiantato il credere che, come una volta, si può diventare famosi per aver fatto qualcosa legato al "bene". La crisi delle istituzioni, l'assenza di regole, l'impunità del reato (mafia, gravi delitti ecc.) hanno provocato la distorsione dell'immaginario collettivo fino al punto da far credere che è bello il "cattivo famoso" e, pertanto nella scuola, usando lo slang corrente, il bullo è il "figo" di turno.

Gli studi effettuati sul problema hanno evidenziato che, in generale, alcune dimensioni dell'emotività (la tenerezza, la gioia, la calma, il sentirsi appoggiati, il piacere di essere guidati nella scoperta delle cose, il gusto della conquista e della conoscenza costruita passo passo, ecc.) Sembrano essere sempre meno presenti nella vita di bambini e ragazzi. Tutto questo porta a modalità personali di relazione con sé stessi e sociali di rapporto con gli altri sbilanciate nel senso della fretta, dell'impazienza, dell'attenzione labile con una sempre più ridotta capacità di comprendere l'altro ed i suoi sentimenti.

I ragazzi contemporanei sono formati dalla cultura delle immagini (televisione, pubblicità ecc.). Per tali canali di comunicazione "esisti" solo se sei famoso ed omologato. A ragione di tale input i giovani si convincono che si è vincenti solo quando saranno protagonisti di azioni che destano il clamore e l'approvazione degli omologati.

Se genericamente possiamo affermare che il bullismo è determinato dalla ricerca di identità dell'attore bullo, non si può sottovalutare che la manifestazione deviante trova la sua origine nella famiglia. E se una volta si era portati a circoscrivere gli eventi riconducendoli a situazioni familiari con grave disagio socio-economico, oggi ciò non è più valido poiché la cronaca parla sempre di più di fatti ascrivibili a soggetti provenienti da famiglie benestanti, dove, paradossalmente, i membri rivestono anche ruoli sociali di riconosciuta importanza. A ragione di ciò, il bullismo sta diventando tipico delle classi cosiddette "bene", al punto che alcuni addetti ai lavori hanno parlato di "malessere del benessere".

E' chiaro che in questo momento c'è una crisi della funzione educativa. La famiglia e la scuola, agenzie sociali primarie deputate a ciò, quando si adoperano per la trasmissione dei concetti fondamentali per la vita di ogni persona, balbettano e annaspano, comunicando segnali educativi poco coerenti. I ragazzi e i giovani, in tal ambito, si evolvono convincendosi, per esempio, che la libertà sia poter fare ciò che desiderano, sottovalutando, o meglio trascurando, il famoso detto: "La libertà di ognuno finisce quando comincia la libertà dell'altro", non prendendo quindi assolutamente in considerazione quelli che sono i concetti di "regola" e "responsabilità".

In un contesto dove tutto è consumismo e materialismo anche la libertà è mercificata, quindi è lecito consumare, nel senso più lato possibile, tutto senza limiti. Allora cosa fare in un momento in cui la famiglia e la scuola non riescono ad insegnare la gestione emotiva dei conflitti?

Con un'azione sinergica la famiglia e la scuola, con l'ausilio di esperti (assistenti sociali e psicologi), devono iniziare a sviscerare al loro interno gli eventi di cronaca che hanno come protagonista il giovane bullo, cercando di sensibilizzare i ragazzi al senso critico rispetto all'uso della prevaricazione e della violenza attenuando così la loro spinta all'aggressività, spiegando che non è valido né attaccare, né subire, ma creare alleanze per un fine comune socialmente valido.

* Responsabile di Sede Ufficio Esecuzione Penale Esterna - Ministero della Giustizia - Vibo Valentia, Docente a Contratto Facoltà di Scienze Politiche - Università degli Studi di Messina

Speciale disastrStato

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