17 settembre 2007

 
     

USA : chi ha ucciso Allen Ray Jenkins ?
di Claudio Giusti*

Per la polizia della Carolina del Nord non c'erano dubbi: era stato il ventenne Alan Gell. Il problema però stava nel piazzare l'omicidio prima del 5 aprile 1995, perché da quel giorno Alan Gell aveva un alibi di ferro: era in prigione.

Nessuno sapeva con esattezza quando Allen Ray Jenkins era stato assassinato e c'erano molti vicini che si dicevano certi di averlo visto vivo dopo quella data, ma la polizia li considerò in errore e riuscì ad ottenere dal Coroner una perizia che concordava con le loro tesi. A questa prova si aggiunse il referto di un perito balistico compiacente e la testimonianza di due ragazzine che, in cambio di un trattamento di favore, avrebbero detto qualsiasi cosa facesse comodo all'Accusa.

A questo punto tutto era pronto per spedire Alan Gell sulla forca: mancava solo uno straccio di avvocato difensore. Nei due anni successivi se ne alternarono quattro al capezzale della difesa di Alan Gell. I primi due furono assunti dalla Procura e il terzo lasciò la professione per la teologia; così, quando alla vigilia del processo arrivò il quarto avvocato d'ufficio, nulla era stato fatto.

Non c'erano contro perizie, non c'erano esperti, non c'erano indagini, non c'erano testimonianze. Niente di niente. Ma anche il quarto avvocato e il suo assistente, se la presero con calma: almeno a giudicare dalle miserabili 89 ore di lavoro che fatturarono allo Stato, quando in un caso capitale è normale lavorare mille ore.

Al processo i difensori di Alan Gell non cercarono di smontare le tesi dell'accusa, non verificarono le testimonianze dei vicini, che erano stati convinti dalla polizia di essersi sbagliati sulla data in cui affermavano di avere visto la vittima viva, non contestarono le perizie e nemmeno tentarono di mettere in difficoltà la ragazzina che venne presentata con teste principe dell'Accusa. Alan Gell fu facilmente dichiarato colpevole di omicidio di primo grado.

Seguì un secondo dibattimento, noto come sentencing, in cui la giuria decide se imporre o meno la pena capitale (in due Stati si limita a fornire una raccomandazione). A questo punto Alan Gell ebbe un colpo di fortuna: fu condannato a morte. Se fosse stato condannato all'ergastolo sarebbe finito sepolto con le altre migliaia di innocenti che popolano l'immenso Gulag Americano e non avremmo mai sentito parlare di lui, ma la condanna a morte gli aprì inaspettate possibilità d'appello e di aiuto. Un quotidiano locale si interessò al suo caso e un avvocato di grido si offrì di patrocinarlo gratuitamente in quel ginepraio che è l'appello americano, e fu proprio grazie alla condanna capitale che questi ebbe modo di consultare tutti i documenti dell'Accusa.

Venne così a sapere che c'erano alcuni vicini certi di avere visto Jenkins ancora vivo dopo il 5 aprile e che ne erano talmente sicuri che la polizia si era ben guardata dal rivelarne l'esistenza alla difesa. Si scopri anche che la ragazza testimone principe dello Stato aveva cambiato versione dei fatti almeno otto volte e che, in una telefonata intercettata dalla polizia, aveva ammesso di incastrare Alan Gell per salvare se stessa. La perizia balistica poi spiegava l'assassinio come se Alan Gell non fosse mancino, mentre la presenza di certe larve della mosca carnaria sul cadavere dimostravano senza ombra di dubbio che l'omicidio era avvenuto dopo il 5 aprile: quando Alan Gell era in prigione.

Fu così che, grazie alle mille ore di lavoro gratuito del suo nuovo difensore, un giudice annullò il processo e ne ordinò uno nuovo. A questo punto, con i testi e le perizie screditate, ci si aspettava che la Procura avrebbe lasciato perdere e non avrebbe tentato di rimettere Alan Gell in carcere. Invece ci provarono di nuovo, limitandosi a non chiedere la pena di morte. Così Alan Gell rimase altri due anni in prigione mentre il suo avvocato, un tipo da trecento dollari l'ora, passava altre centinaia di ore a preparare il nuovo processo.

Processo che per l'Accusa fu una vera Waterloo. I vicini di casa, molto irritati per non essere stati ascoltati a suo tempo, affermarono di essere assolutamente certi di avere visto o sentito la vittima dopo la data che serviva alla Procura. Il suo testimone principe diede al decima versione dei fatti, ma fu il Coroner a dare il colpo di grazia al castello accusatorio affermando che la sua prima perizia era sbagliata e che la presenza delle famose larve dimostrava che Jenkins era morto dopo il 5 aprile.

La giuria ci mise poco più di un'ora per dichiarare Alan Gell innocente e il giudice, con una procedura assolutamente inusuale lo mise in libertà direttamente dall'aula del tribunale. Dicendogli che era tempo che tornasse a casa: "Go home, where I should have been years ago".

Era il 18 febbraio del 2004.

* membro del Comitato scientifico dell'Osservatorio

Speciale giustizia USA

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