12 aprile 2007

 
     

Mastrogiacomo : D'Alema , informativa alla Camera
di Mauro W. Giannini

Mastrogiacomo non e' la prima persona rapita in Afghanistan, ma dall'inizio del 2005 i sequestrati sono stati 16, di cui 12 sono stati uccisi, anche dopo trattative e pagamento di riscatto. La priorita' per la salvezza della vita degli ostaggi e' un criterio consolidato costantemente seguito negli anni da diversi Governi italiani e sostenuto dall'insieme delle forze politiche parlamentari. L'organizzazione di Gino Strada ha operato parallelamente al canale stabilito da La Repubblica. La liberazione dei Talebani - in buona parte non combattenti - e' stata decisa in autonomia dal governo Karzai. Adjmal - di cui era stata trattata la liberazione unitamente a Mastrogiacomo - era stato liberato contestualmente a questi.

Questi i punti principali dell'informativa urgente del Governo sugli sviluppi relativi alla vicenda del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori afgani da parte del Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema. Anche se il titolare della Farnesina ha dichiarato di voler dare una informazione la più ampia e dettagliata possibile, nel dibattito successivo alcuni rappresentanti dell'opposizione si sono dichiarati insoddisfatti ed hanno parlato di omissioni.

Con riferimento al numero dei rapiti in Afghanistan dal 2005 ed all'esito spesso sanguinoso dei sequestri, D'Alema ha parlato di "contesto estremamente feroce in cui è avvenuto il rapimento di Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori, dell'estrema difficoltà di un'operazione di salvataggio che si presentava, fin dall'inizio, come un'operazione estremamente problematica e dall'esito incerto". Il ministro ha anche ricordato che "da lungo tempo, l'Unità di crisi della Farnesina, l'ambasciata a Kabul ed il Sismi avevano segnalato l'elevato rischio di sequestri di persona in Afghanistan e nelle province meridionali" e quindi Mastrogiacomo - determinato ad intervistare il capo dei Talebani - si stava muovendo in zona di pericolo.

D'Alema ha risposto alle critiche di questi giorni ricordando che "Anche di fronte al sequestro Mastrogiacomo, da ogni parte si è levato l'invito al Governo ad agire con ogni mezzo («avete carta bianca», fu detto), per cercare di salvare le vite umane. È del tutto evidente che dare priorità alle ragioni umanitarie, ovvero alla salvezza della vita degli ostaggi, comporta, come conseguenza inevitabile, la ricerca della trattativa per raggiungere questo obiettivo, prassi che è stata costante, prassi che viene seguita, in realtà, anche da molti altri Governi occidentali, sebbene con modalità che variano di caso in caso e con esiti che possono essere più o meno positivi".

D'Alema ha spiegato che "Mastrogiacomo e i suoi assistenti afgani vennero accusati di spionaggio a favore delle forze inglesi, anche dopo che la vera identità del giornalista italiano diventò chiara.... le modalità della cattura - sono stati catturati pressoché subito - hanno dato la sensazione che il gruppo fosse atteso sulla base di previe segnalazioni, atteso e valutato come un gruppo con finalità non giornalistiche, ma di natura spionistica". La procura fu informata immediatamente del rapimento e tenuta al corrente degli sviluppi, mentre il Sismi ha seguito passo per passo gli spostamenti dei raptori, in stretto contatto con i servizi afghani e le forze dell'Isaf.

A partire dal 6 marzo, il Governo italiano chiedeva la collaborazione del Governo afgano "per assicurare una rapida e contemporanea liberazione dei tre ostaggi e perché venissero messe in atto tutte le possibili misure per assicurare la loro incolumità. L'ambasciatore a Kabul incontrava a questo fine il ministro degli esteri afgano, che assicurava il massimo impegno delle autorità. In modo conseguente il Governo afgano ha in effetti garantito piena collaborazione all'Italia in tutto il periodo, fino ovviamente alla liberazione dell'ostaggio Daniele Mastrogiacomo".

Il 6 marzo "il Sismi informava il Governo di aver acquisito indicazioni precise dai servizi collegati circa la localizzazione degli ostaggi. Nelle ore immediatamente successive al sequestro il gruppo dei rapitori si era apparentemente spostato insieme agli ostaggi nella località Nadali, verso sud, a ridosso del confine con il Pakistan. Nelle ore successive il Sismi segnalava inoltre la possibilità, offerta dalle forze della coalizione ISAF, di effettuare, previa autorizzazione da parte del Governo italiano, un'azione di forza con la partecipazione di forze speciali, anche del nostro paese, per tentare la liberazione dei rapiti prima che i sequestratori potessero, come si temeva, sconfinare in territorio pakistano. Tale possibilità non veniva scartata del tutto dal Governo e, dunque, veniva anche predisposta successivamente. Tuttavia, in linea con la prassi seguita nei casi precedenti, si preferivano esplorare, intanto, gli spazi per una soluzione negoziale, così da non esporre a rischio la vita degli ostaggi. Il ricorso all'uso della forza sarebbe stato considerato solo in caso di fallimento o impossibilità di trattative".

D'Alema ha spiegato che il 7 marzo, "mentre il Governo cominciava a sondare con attenzione la possibilità di trattativa, emergevano canali in grado di stabilire contatti diretti" con il gruppo guidato dal mullah Dadullah, responsabile delle operazioni militari dei talebani nelle province a sud-ovest dell'Afghanistan. Da una parte l'organizzazione non governativa Emergency, "che si dichiarava disponibile a mettere a disposizione, attraverso il personale operante presso l'ospedale di Lashkar-Gah, un canale utile ad avviare una trattativa per il rilascio degli ostaggi. Sondato dal Governo, Gino Strada, assicurava il massimo impegno della sua struttura per la liberazione dei rapiti, pur esprimendo preoccupazioni per il rischio di interferenze da parte di attori locali o italiani.

Dall'altra parte, la redazione de la Repubblica comunicava che attraverso canali giornalistici esisteva la possibilità di un'altra via di contatto con i rapitori. Questo canale è stato operante nel corso di tutta la vicenda e, "dunque, contatti si sono svolti attraverso una pluralità di canali, anche allo scopo di controllare le informazioni, di controllarne la fondatezza, lavoro che è stato fatto, ovviamente, dall'unità di crisi della Farnesina, ma con la presenza e la responsabilità del Sismi".

"I contatti con il Governo, con le autorità locali e con i servizi di sicurezza afgani, anche ad opera del SISMI - ha specificato D'Alema - hanno coinvolto lo stesso Presidente del Consiglio, il quale ha più volte parlato con il Presidente Karzai, anche nel corso del viaggio di quest'ultimo a Berlino e a Parigi, che si è svolto tra il 17 e il 19 marzo. In tale contesto, l'ammiraglio Branciforte, direttore del SISMI, si era dimostrato fiducioso circa la possibilità di sensibilizzare anche il Presidente della Camera bassa del Parlamento afgano, Yunus Kanouni in occasione di una visita in Italia di una delegazione del Parlamento afgano: impegno ed interessamento che ci sono stati garantiti e che vi sono stati.

A quel punto, ha spiegato D'Alema, "il Governo ha dovuto compiere una scelta. Si trattava di scegliere se chiudere ogni spazio di mediazione o se trasferire al Governo afgano, quale unico potere legittimo in grado di decidere in merito alla scarcerazione di detenuti in Afganistan, la richiesta fatta pervenire dai talebani attraverso il canale umanitario. Ed è quello che noi abbiamo scelto di fare: trasferire al Governo afgano tali richieste, perché esse potessero essere valutate". Il 17 marzo, il Governo Karzai decideva il rilascio di due dei tre talebani di cui era stata chiesta la scarcerazione, i quali venivano consegnati direttamente dai servizi afgani al personale di Emergency, a Lashkargah. Il terzo risultava già essere libero e, probabilmente, in Pakistan, secondo quanto riferito dal capo dei servizi di informazione.

D'Alema ha detto che "la collaborazione del Governo afgano, che è stata pronta nel corso di tutta questa vicenda, è anche legata ad una valutazione circa la limitata pericolosità dei detenuti di cui si era chiesta la liberazione, diversi dei quali presentati come portavoce e non come forze combattenti del movimento talebano. Comunque, non spettava a noi - né avremmo avuto la possibilità di farlo - compiere tali valutazioni, che sono state effettuate dal Governo afgano", come ben documentato.

"Il Governo italiano chiedeva a Gino Strada che la consegna effettiva dei tre rilasciati avvenisse, questa volta, in cambio della liberazione effettiva e contestuale dei due ostaggi - di entrambi, lo ripeto - ancora nelle mani dei rapitori". Secondo quanto riferito dallo stesso Mastrogiacomo, al momento della sua liberazione era stato messo in libertà anche l'interprete Nashkbandi. Infatti, il giornalista de la Repubblica aveva dichiarato di avere personalmente visto i rapitori scioglierlo dalle catene e lasciarlo andare via. Solo successivamente emergeva che il Nashkbandi non solo non era stato condotto all'ospedale di Emergency, a Lashkargah, ma non aveva neppure fatto rientro dai propri familiari". D'Alema ha detto che in ogni momento "la liberazione dell'interprete afgano era considerata da parte nostra, così come da parte del Governo Karzai, elemento integrante della trattativa di Emergency con i talebani".

Il Governo italiano veniva poi a conoscenza dell'arresto da parte dei servizi segreti afgani di Rahmatullah Hanefi, del quale Strada si era avvalso per i contatti con il capi talebani: "Per il tramite dell'ambasciata a Kabul, è stato da allora chiesto di conoscere i motivi della detenzione e le condizioni di salute del detenuto, su cui si erano diffuse notizie allarmanti. In varie occasioni, l'ambasciatore Sequi ha chiesto di poter visitare Hanefi, oltre ad elementi sulle motivazioni dell'arresto". In data 10 aprile, a seguito delle pressioni italiane, un rappresentante della Croce Rossa Internazionale ha ottenuto l'autorizzazione a visitare tra Rahmatullah in carcere: "L'incontro si è svolto, come confermato dal rappresentante della Croce Rossa allo stesso ambasciatore italiano, nel pieno rispetto degli standard internazionali della Croce Rossa".

"Noi siamo ben consapevoli dell'opera preziosa svolta da Emergency in un contesto molto difficile ed anche pericoloso - ha aggiunto D'Alema - Non possiamo che auspicare che possano presto ristabilirsi le condizioni per la ripresa della sua attività in territorio afghano. Nello stesso tempo, assicuro che il Governo italiano continuerà ad insistere - questo possiamo fare - perché siano rese note, in modo trasparente, le accuse rivolte ad Ramatullah Anefi e perché egli possa essere giudicato, se sarà necessario, nel modo più rapido e con le garanzie previste in casi di questo tipo. Questo può sostanzialmente fare il Governo italiano e non può certamente liberare Ramatullah Anefi, il quale è accusato dalle autorità del suo paese di reati".

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