NEW del 17 aprile 2006

 
     

Giustizia : separazione delle funzioni dei magistrati per l'imparzialità
di osservatoriosullalegalita.org

Scopo della separazione delle carriere (anzi, delle funzioni) dei magistrati, e' il raggiungimento dell'imparzialita' della decisione del giudice. Ma sarebbe possibile realizzarla semplicemente prevedendo due 'canali' distinti nell'ambito di una stessa organizzazione? Se lo chiede uno studio di Oreste Dominioni, Professore ordinario di Diritto processuale penale nell'Università degli Studi di Milano, contenuto nel terzo volume degli Studi in onore di Enrico Marinucci editi quest'anno da Giuffre'.

Rispetto alle proposte avanzate da una parte dei giuristi e dalla CdL e discusse in questi anni, il prof. Dominioni (gia' avvocato della famiglia Berlusconi) fa un passo avanti, ritenendo che "la 'separazione delle funzioni', anche quando sia accompagnata da meccanismi ordinamentali che rendono particolarmente difficile il passaggio di un magistrato dalla funzione d'accusa a quella di decisione e viceversa, non affronta né risolve il problema fondamentale che si propone la 'separazione delle organizzazioni ordinamentali' dei magistrati di decisione e d'accusa". Infatti sopravviverebbe "l'identità, sul piano dell'ordinamento, delle due specie di magistrati, nonostante le loro differenti connotazioni in termini rispettivamente di imparzialità e parzialità" con conseguenze anche sul piano processuale, afferma l'autore.

Si tratta, in sintesi, di configurare distinte organizzazioni per i giudici e per i pubblici ministeri (oltre che per gli avvocati), con procedure d'accesso altrettanto distinte, e di prevedere che ciascuno di questi soggetti possa accedere a un'altra organizzazione, tramite però la procedura ordinaria propria di questa. Per argomentare questa sua proposta, il prof. Dominioni ricorda che "L'imparzialità della decisione esige l'indipendenza di giudizio del giudice. Anche questa non è il valore finale perseguito nell'ordinamento," ma" il primo, per così dire il più prossimo valore strumentale all'imparzialità della decisione. L'indipendenza di giudizio del giudice è garantita da norme sia costituzionali, sia di ordinamento giudiziario e processuali".

Affinché il giudice non sia condizionato nel prendere decisioni occorre che egli non tema che il loro tenore sia strumentalizzato per incidere, sfavorevolmente o favorevolmente, sulla sua carriera, nota lo studioso, il quale pero' sottolinea che "il Costituente ha concepito il Consiglio superiore della magistratura come organo di governo - non, come è ormai erroneamente invalso intenderlo, di autogoverno - della magistratura, avulso da questa come dal potere politico". Dominioni ricorda che "nell'esercizio delle funzioni il giudice non è sottoposto ad alcun soggetto, politico o giudiziario, che abbia il potere di impartirgli di- rettive o ordini circa i provvedimenti che debba adottare e no, o con quali contenuti" e che "le strutture degli organi giurisdizionali sono definite compiutamente dalla legge, senza che alcun soggetto sia investito del potere di modificarle".

Riguardo alle norme processuali, l'Autore sottolinea che quelle che collocano il giudice nella struttura del processo in una posizione di terzieta' gli attribuiscono "la qualifica della neutralità: egli non è tecnicamente coinvolto nella controversia, vale a dire non gli sono attribuite funzioni d'accusa o di difesa, cioè di ricerca di materiali conoscitivi e di formazione probatoria per la conferma o la smentita degli assunti d'accusa e di difesa; a lui è riservata esclusivamente la funzione di decisione (oltre a quella di presiedere al regolare svolgersi del procedimento e di garantirne quindi la legalità)".

Il prof. Dominioni afferma che "il prototipo storico, in età contemporanea nei sistemi di civil law, è il 'processo misto', con al centro il giudice istruttore che istruisce a carico e a discarico (funzione omnicomprensiva dell'investigazione e della formazione della prova), senza trascurare il ruolo attribuito nella medesima chiave al presidente dell'organo giudicante dibattimentale. Un tipo processuale che sconosce la terzietà e neutralità del giudice quale organo della decisione e che è stato soppiantato dal tipo a tendenza accusatoria varato dal codice del 1988". Ma dove esso e' applicato sorge il problema di conciliarlo con la presunzione d'innocenza, la quale postula un giudice neutrale, mentre tale non può dirsi il 'juge d'instruction', che, "per il fatto di essere investito delle funzioni di svolgere l'investigazione, di formulare l'accusa, di provare se sia o no fondata e di decidere al proposito, non può guardare all'imputato come a un 'presunto innocente'". Tuttavia, rileva l'Autore, si e' proceduto su questa linea dell'imparziale accertamento della verità (art. 299 del Codice Rocco), fino ad oggi.

A questa visione il prof. Dominioni oppone il postulato da sempre rilevato da molti avvocati penalisti e dalla CdL, che "l'imparzialità della decisione è compromessa se nel processo il giudice è assimilato all'accusatore poiché attribuendogli anche funzioni d'accusa si incrina la sua indipendenza di giudizio rispetto allo svolgersi della controversia tra le parti. Il giudice non terzo perché non neutrale non promette decisioni imparziali". E si profila quindi il problema della separazione delle organizzazioni dei magistrati d'accusa e di decisione, ma secondo lo studioso, "la domanda da porsi è se, per realizzare l'imparzialità della decisione, sia sufficiente che il giudice non sia assimilato al pubblico ministero nel processo (separatezza delle funzioni d'accusa e di decisione) oppure se sia anche necessario che una tale assimilazione non sussista sul piano dell'ordinamento giudiziario (separatezza delle rispettive organizzazioni)" pur senza ipotizzare che i pubblici ministeri debbano perdere lo statuto di magistrato: "Anzi è necessario che lo mantengano, anche al di là del fatto che ciò è oggetto di precetto costituzionale".

L'Autore ricorda che "l'indipendenza funzionale (nella sua duplice proiezione esterna e interna) per il giudice è stabilita dalla Costituzione in termini assoluti. La prescrizione è fissata nell'art. 101, comma 2, Cost.: " I giudici sono soggetti soltanto alla legge", mentre all'art. 107, comma 4, Cost. si legge "Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario", che secondo il prof. Dominioni sancisce l'indipendenza funzionale tra le due figure. Peraltro, se e' vero che l'autonomia statutaria e' "affermata in termini uguali per il giudice e per il pubblico ministero" ed attribuita alle competenze del Consiglio superiore della magistratura, non vi e' norma che impedisca "che nella legge ordinaria il Consiglio sia strutturato in termini per cui in esso si enucleino due 'sezioni' che, costituite con distinte procedure, esercitino separatamente le competenze del Consiglio, una per i giudici e l'altra per i pubblici ministeri". Quindi, secondo l'Autore, si puo' dire che entrambe le figure "godono di un'eguale autonomia di statuto, esterna e interna, e di un'eguale indipendenza funzionale esterna; differiscono invece quanto a indipendenza funzionale interna, che è assoluta per il giudice e relativa per il pubblico ministero" ed il primo motivo è che l'attività del pubblico ministero ha componenti di ampia discrezionalità libera estranee a quella del giudice.

A giudizio di Dominioni, infine, vi e' una malintesa "cultura della giurisdizione", di una "cultura della legalità della giustizia" come base comune al giudice, al pubblico ministero e al difensore, dato che a suo parere l'esperienza dimostra che un'identità organizzativa fra giudice e pubblico ministero favorisce la trasmissione al giudice della "cultura dell'accusa" piuttosto che la trasmissione al pubblico ministero della "cultura della giurisdizione". Egli fa infatti un distinguo fra "cultura della giurisdizione", che informa la funzione di decisione, e "cultura della legalità", base comune di tutti i soggetti del processo, pubblico ministero e difensore compresi, e delle loro funzioni.

L'analisi del prof. Dominioni che abbiamo recensito e' presente nel terzo volume degli Studi in onore di Enrico Marinucci. L'opera raccoglie numerosi scritti, provenienti dalla comunità scientifica italiana e internazionale, per ricordare l'importante contributo che Giorgio Marinucci ha dato al diritto penale. Nel primo tomo vengono trattati temi di Teoria del diritto penale e Criminologia e politica criminale, nel secondo: Teoria della pena e Teoria del reato, il terzo tratta una parte speciale del diritto penale e legislazione speciale, Diritto processuale penale e Diritto, storia e societa'.

Studi in onore di Giorgio Marinucci
a cura di Emilio Dolcini e Carlo Enrico Paliero
Tre tomi, totale pag 2010, € 250,00
Ed. Giuffre' 2006

Speciale giustizia

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