NEW del 07 dicembre 2006

 
     

CSM difende magistrati baresi da accuse deputati su caso Fitto
di osservatoriosullalegalita.org

Il plenum del CSM ha deliberato martedi' all'unanimita' a tutela dei magistrati di Bari sul caso "Fitto" ritenendo che non vi sia alcun elemento per sostenere un fumus persecutionis da parte dei PM baresi, come invece affermato in una discussione a Montecitorio, e che le critiche di alcuni parlamentari riportate dai media non solo sono immotivate, ma rischiano di interferire nell'attivita' giudiziaria.

Era stato il Presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti a trasmettere il resoconto sommario e stenografico della seduta del 19 luglio 2006 concernente la discussione in assemblea della richiesta di autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell'On. Raffaele Fitto (FI). Nel verbale diversi deputati criticavano aspramente l'operato dei PM e ne imputavano la causa ad accanimento.

La proposta di non concedere l'autorizzazione all'arresto approvata dal Comitato per le autorizzazioni, era motivata essenzialmente sulla mancanza di esigenze cautelari, ed in particolare quella di reiterazione dei reati, dato che Fitto non faceva piu' parte dell'Assemblea Regionale della Puglia. Nella discussione il fumus persecutionis era stato evocato dagli onn. Brigandì (Lega) e Leone (FI). Il primo affermava che il G.I.P. aveva addotto come principale elemento per motivare la pericolosità sociale di Fitto il fatto di essere un avvocato e denunciava l'esistenza di un "partito dei giudici" che si presentava in ogni campagna elettorale per far vincere una parte e far perdere l'altra. Leone evidenziava l'affermazione contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare secondo la quale la possibilità di reiterazione dei reati per Fitto, nonostante non avesse più cariche nell'Assemblea Regionale, risiederebbe nelle sue conoscenze altolocate.

Secondo Casini (UdC) i magistrati stavano "perseguendo un disegno chiaro di intimidazione politica nei confronti di una parte dello schieramento politico pugliese", e dalla lettura degli atti emergeva "una preoccupante visione della nostra attività politica, una visione di chi vorrebbe inibire o sindacare i parlamentari e i dirigenti politici in relazione ai loro contatti con qualsivoglia realtà sociale, sia ecclesiale sia imprenditoriale sia associativa", mentre l'on. Tabacci (UdC) aveva chiesto la trasmissione degli atti della discussione al C.S.M. perché fosse adottato, ove fosse stata riconosciuta "l'esistenza del fumus persecutionis", un provvedimento nei confronti di un magistrato "che sembra caratterizzare la sua azione non certo per serenità politica."

L'on. Mantini (DL) lamentava la vastità dell'uso delle intercettazioni telefoniche mentre l'on. Boato (Verdi) denunciava, oltre all'uso abnorme delle intercettazioni, la "gogna mediatica" cui era stato sottoposto l'on. Fitto, la citazione in una intervista della cupola mafiosa e dei "pizzini" fatta da qualche magistrato inquirente dal "protagonismo indebito". Altri deputati chiedevano invece di non trasformare la discussione in un processo alla magistratura e ricordavano che in sede di Giunta per le autorizzazioni era stata esplicitamente esclusa l'esistenza del fumus persecutionis.

Il Procuratore Generale della Repubblica di Bari chiedeva tutela per i magistrati dell'ufficio in relazione a dichiarazioni di stampa sulla vicenda, precisando di non voler interloquire sulle valutazioni che legittimamente erano state fatte dalla Camera dei Deputati, ma che il Consiglio era il solo legittimato a intervenire a difesa dei magistrati, che avevano operato nel rispetto delle regole processuali ed erano invece oggetto di aggressioni verbali. Egli trasmetteva quindi al CSM alcuni atti del procedimento penale a carico del deputato, mentre lo stesso Fitto faceva pervenire memorie scritte in cui lamenta di essere stato iscritto nel registro degli indagati molto tempo dopo l'inizio delle indagini, commentando la corrispondenza di alcuni atti processuali con eventi politico-elettorali.

Per il CSM, dalla lettura degli atti si evince che in alcun modo i magistrati baresi hanno violato le regole individuate dall'art. 68 della Costituzione per le indagini su parlamentari. Le intercettazioni relative ad una utenza telefonica intestata alla segreteria politica di Fitto, poi, erano pienamente legittime, essendo un'utenza non riconducibile ad un parlamentare. Anche sotto il profilo delle disposizioni di cui alla legge n. 140 del 2003 stabiliscono le procedure per la relativa distruzione, anche a richiesta delle parti o del parlamentare interessato, o la loro utilizzazione, previa autorizzazione, non risultano violazioni di alcun genere. Quindi, sottolinea il CSM, l'Autorità Giudiziaria ha scrupolosamente rispettato i dettami costituzionali.

Ma la discussione parlamentare riguardava anche la questione se il comportamento dei magistrati, seppur formalmente corretto, non abbia di fatto interferito nell'attività politica di un membro del Parlamento o, più in generale, di un dirigente politico, e, di conseguenza, in una prospettiva più generale, se in casi simili l'Autorità Giudiziaria debba adottare comportamenti idonei ad evitare tali pericoli. L'unico fatto concreto posto all'attenzione del Consiglio è un presunto utilizzo eccessivo delle intercettazioni telefoniche, che pero' sono permesse dalla normativa in materia, tanto che sul punto sono stati presentati diversi disegni di legge su cui il CSM si riserva di esprimere il proprio parere al Ministro della Giustizia in relazione ai profili di propria competenza.

Sull'esistenza del fumus persecutionis, il CSM osserva che il nocciolo delle imputazioni contestate riguardava ipotizzate violazioni della normativa sul finanziamento dei partiti, e la loro connessione con fatti corruttivi commessi dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, per cui era inevitabile che l'ordinanza esaminasse i rapporti intercorsi tra alcuni partiti, esponenti politici e i loro finanziatori, al fine di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai fatti oggetto di contestazione.

Nell'ordinanza non sono censurati i rapporti sociali del politico per valutarne la pericolosità sociale, ma, sulla base degli elementi probatori assunti, si esaminano le modalità di fatto con le quali nel caso specifico un indagato si è rapportato con specifiche realtà economico-imprenditoriali aventi interessi connessi alla sua attività di amministratore pubblico, allo scopo di attingerne elementi utili ad analizzare la sua personalità ai fini della valutazione delle esigenze cautelari, e quindi della reiterazione dei reati pur in un contesto politico-amministrativo mutato. Quindi nessuna indebita interferenza con l'attività del pubblico amministratore, e più in generale del politico. Quanto al riferimento alla qualifica di avvocato di Fitto, il CSM rileva che gli atti giudiziari non ne fanno neppure menzione.

Il relatore del parere del CSM, il magistrato Ciro Riviezzo, rileva che già il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nel suo intervento all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2003 alla Corte di Appello di Milano, sottolineava che "l'accusa di non essere imparziale è il primo e più sottile attacco all'autonomia della magistratura nel suo complesso e del singolo giudice che, per dettato costituzionale, è soggetto soltanto alla legge. E' nefasta l'accusa, anche se non generalizzata, di politicizzazione della magistratura, nel senso deteriore di una sua partecipazione - come "potere" - allo scontro politico".

Sui limiti all'esercizio del diritto di critica nei confronti dell'attività giudiziaria da parte di esponenti politici, la Suprema Corte di Cassazione ha invece reiteratamente ricordato che il legittimo esercizio di tale diritto presuppone sempre che la critica sia espressa con argomentazioni, opinioni, valutazioni, apprezzamenti, che non degeneri in attacchi personali o in manifestazioni gratuitamente lesive della altrui reputazione. Il CSM nota che comportamenti di tal genere, se provengono da soggetti investiti da responsabilità istituzionali, appaiono ancora più gravi in quanto rischiano di costituire una indebita interferenza con il sereno svolgersi dell'attività giudiziaria, in violazione del principio di separazione tra i poteri dello Stato.

Nel caso in esame, infatti, accanto a legittime critiche sull'utilizzo dello strumento investigativo delle intercettazioni (critiche rivolte più al regime normativo in materia che all'operato dei magistrati nel singolo caso) e su alcuni aspetti dell'ordinanza di custodia cautelare oggetto di esame, si rinvengono nelle frasi riportate sulla stampa accuse di parzialità e di strumentalità dell'azione giudiziaria rispetto a supposti scopi politici, che sono generiche, non ancorate a fatti o comportamenti specifici e, quindi, non solo non sono dimostrate, ma appaiono del tutto ingiustificate.

Speciale giustizia

___________

NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO L'AUTORE E LINKANDO
www.osservatoriosullalegalita.org