NEW del 25 marzo 2006

 
     

Minori e famiglia : il nuovo affido condiviso, risvolti pratici
di avv. Selene Pascasi*

Il 20 ottobre 2004 viene approvata la proposta di legge n.66/01 in tema di affidamento congiunto dei figli e il 26 gennaio 2006, con il si al disegno di legge n. 3537, da parte della Commissione Giustizia della Camera in sede deliberante, diviene legge il cd. affidamento condiviso, riforma già definita "epocale" e dall'ampio respiro per via dell'ambito di applicazione che essa incontra.

In effetti, l'applicazione delle nuove norme potrà essere richiesta, da parte di ciascuno dei genitori, sia ove il decreto di omologazione dei patti di separazione consensuale o giudiziale, di scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio siano stati già emessi alla data di entrata in vigore della presente legge e sia in costanza di scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio, anche nell'ambito di procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Per comprendere in toto la valenza e la portata innovatrice della riforma in esame, occorre ripercorrere, seppure a grandi linee, l'iter normativo e giurisprudenziale che vi ha dato vita, grazie ad un parto dottrinale e politico assai travagliato, avente ratio nella tutela dell'interesse del minore: principio già presente in Europa e più volte nominato nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991. In sostanza, quello che si afferma è il principio della bigenitorialità, intesa quale diritto del figlio ad un rapporto completo e stabile non con uno ma con entrambi i genitori, e ciò anche laddove la famiglia attraversi una fase patologica, con conseguente disgregazione del legame sentimentale e talvolta anche giuridico tra i genitori conviventi.

Rivolgendo uno sguardo ad un passato piuttosto recente, nel codice civile del 1942 veniva affermata l'indissolubilità del matrimonio, ragion per cui, alla possibilità di vedere pronunziata la separazione solo in caso di colpa di uno dei coniugi, conseguiva l'affidamento del minore al cd. coniuge "senza colpa". Una trentina di anni dopo, con l'entrata in vigore della legge n. 898 del 1970, e col conseguente ingresso nella realtà giuridica italiana dell'istituto del divorzio, si delinea un nuovo assetto circa l'affidamento della prole, rivolto alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli; di tal guisa, si prendono le distanze da quella che finora costituiva la chiave di volta nell'individuazione del genitore più adatto alla cura dei figli: il giudizio sul rispetto o meno dei doveri coniugali.

Muta ancora rotta la materia in esame, grazie alla legge n. 151 del 21 maggio 1975, di riforma al diritto di famiglia, con cui si fa strada l'innovativo criterio per cui la separazione, pronunciabile a prescindere da una condotta "colposa", assume solo funzione "curativa" di un rapporto coniugale "malato", motivo per cui il giudice, nell'emettere un provvedimento di affido della prole, dovrà tener conto solo ed unicamente dell'interesse del minore. Ed è proprio alla tutela di tale interesse, che risulta rivolta, nel panorama giuridico italiano ante-riforma, la disciplina in materia di affidamento dei figli, frutto dell'iter appena ripercorso e racchiusa tutta in due sole norme: l'articolo 6 della legge 898/70 e l'articolo 155 del codice civile. Tali disposizioni prevedono un affidamento di tipo monogenitoriale, per cui il minore resta affidato al solo genitore considerato più idoneo a favorirne il pieno sviluppo della personalità, dotandolo di potestà esclusiva circa l'educazione, l'istruzione e la cura; ciò senza escludere l'apporto e la presenza del genitore non affidatario, che mantiene la potestà congiunta in ordine alle scelte più importanti e alle questioni di straordinaria amministrazione.

Se questo è quanto previsto sulla carta, diversa è la realtà quotidiana delle aule di giustizia, ove quello che era nato quale affidamento monogenitoriale, diviene affido quasi "esclusivo" alla madre, come dimostrano le indagini Istat svolte in Italia nell'anno 2000, dalle quali si evince che la percentuale di affidamento della prole alla madre sfiora l'86,7% dei casi. Il panorama italiano, in spregio al dettato di cui all'articolo 30 della Costituzione, che sancisce il dovere di ambo i genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, sembra remare in senso inverso rispetto a quanto accade nel resto d'Europa, dove le figure genitoriali rivestono egual valore; basti pensare alla Germania, dove è lo stesso codice a prevederlo, alla Svezia, dove l'affidamento congiunto raggiunge il 96%, o al Children act inglese del 1989, in cui vigono pari responsabilità e potestà.

Una spinta decisiva verso la Riforma appena approvata, proviene dai principi contenuti negli articoli 9 e 18 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che l'Italia fa propri con la legge di ratifica n. 176 del 1991, i quali ribadiscono ". il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del fanciullo". E ancora, si ricordano gli interventi del 1992, con la Carta europea dei diritti del fanciullo, e del 1996, con la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei bambini la quale prevede, fra l'altro, l'audizione del minore nelle controversie che possano in qualche modo riguardarlo.

Per mero sofismo dottrinale, è cura precisare che è forse proprio per l'influenza europea, che in Italia si delinea l'embrione dell'odierno affido condiviso, seppur nominato "congiunto" ed inteso, assieme all'alternato, quale criterio residuale di affidamento del minore. Trattasi di criterio che, pur normato, nella prassi non ha riscontrato un'alta percentuale di successo, se non in isolate fattispecie, tra cui si ricorda, nel 2000, la decisione del Tribunale di Milano per cui "il provvedimento di affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori può risultare conforme agli interessi degli stessi anche in presenza di conflitto tra i genitori, particolarmente quando risulti essenziale per richiamare entrambi alla pariteticità del ruolo genitoriale".

Passo dopo passo, l'anno in corso si apre con una novità legislativa dall'ampiezza non indifferente, grazie all'approvazione di "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli", le quali, modificando sensibilmente l'articolo 155 del codice civile, in sé e con l'aggiunta di nuovi commi, sconvolgono il quadro relativo all'affidamento della prole, invertendone i criteri; basti pensare al riferimento alla parola "genitori" anziché "coniugi", in linea col panorama comunitario e con quanto previsto dal Regolamento CEE n. 2201/03 in vigore dal 01.03.2005 in tema di "responsabilità genitoriale". Al fine di comprendere appieno la portata innovatrice della legge in essere, appare opportuno "frazionare" gli interventi e analizzarli a partire da una matura lettura del testo novato.

Oggi l'articolo 155 del codice civile, intitolato "Provvedimenti riguardo ai figli", nella sua prima parte, recita così: "Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Va valutata prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente".

Ebbene, balza agli occhi la rivoluzione: l'affido congiunto, eccezione del previgente sistema normativo, oggi è la regola e prende il nome di affido condiviso; in altre parole, si riconosce al minore, in nome del suo preminente interesse, il diritto ad una continuità di rapporti con ambo i genitori, anche e soprattutto in corso di separazione, oltre ad elevare a rango di diritto, e non più di mero valore, il legame con nonni e parenti stretti. Non scompare, dunque, l'affidamento del figlio ad un solo genitore, ma viene relegato all'ipotesi, residuale, in cui l'interesse del minore potrebbe risultare pregiudicato da un affidamento condiviso. Scendendo sul campo pratico, oggi si giunge al provvedimento di affido per intervento giudiziale, solo in seconda battuta, fallito ogni tentativo di accordo tra i genitori. Trattasi di accordo che può essere stilato da essi soli o, in caso di conflitto, con l'ausilio di organi di mediazione familiare necessariamente accreditati, come sottolinea il nuovo 709 bis del codice procedura civile, che ora intervengono in via preventiva e non più in corso di causa.

Posto che il cd. "progetto di affidamento condiviso" verrà sottoposto al vaglio del giudice già nella prima udienza presidenziale, giusto l'obbligo di allegazione dell'accordo in uno con il ricorso per separazione, si sottolinea come l'organo giudicante, nel limitarsi a "prendere atto" di detto accordo, lascia che in primis la scelta spetti ai genitori. In punto di potestà, occorre rilevare che la norma, nel prevedere una responsabilità congiunta dei genitori circa le questioni più delicate attinenti la cura della prole, delinei, in ambito di ordinaria amministrazione, una sorta di divisione dei compiti, di potestà indivisa, da gestire secondo le singole esigenze e disponibilità; non passi inosservata la volontà del legislatore di conservare la differenziazione tra ordinaria e straordinaria amministrazione. Sulla stessa lunghezza d'onda, si muove la seconda parte dell'articolo 155 del codice civile, dedicata al mantenimento del minore, in cui prevale un'equa ripartizione di potestà, responsabilità e sostegno economico da parte di ambo i genitori.

Come prevede la norma, "salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

  1. le attuali esigenze del figlio;
  2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
  3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
  4. le risorse economiche di entrambi i genitori;
  5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».

Il nuovo assetto incide in maniera decisiva anche sul regime dell'assegno di mantenimento, che non trovando più alcun sostegno legislativo, viene sostituito di fatto con un assegno diretto, perequativo e periodico, determinato sulla base della posizione economica di ciascun genitore, obbligatone alla corresponsione, pena le conseguenze del nuovo art. 709 ter del codice di rito, cui si rimanda la lettura. Novità rilevante, dunque, quella di elencare i criteri di determinazione dell'assegno al fine di porre un vincolo alla discrezionalità del giudice. Se questo era l'intento, deve obiettarsi che non è stato colto nel segno, per via della genericità dei parametri; in effetti, il legislatore oscilla tra l'astrattezza delle potenzialità, con riferimento alle esigenze del figlio e alle "risorse" economiche dei genitori, e la concretezza del secondo e terzo indice, relativi al tenore di vita e al tempo di permanenza con ciascun genitore.

Altro aspetto degno di rilievo è costituito dall'indicazione di cui al quinto ed ultimo parametro: il lavoro domestico acquista finalmente la giusta valenza, restituendo dignità e riconoscimento al lavoro casalingo e di cura della prole, di solito svolto dalle madri e troppo spesso ignorato. Come anticipato, la riforma, oltre a novare l'articolo 155 del codice civile, vi aggiunge sei commi, che si andranno ora ad analizzare, a partire dall'articolo 155-bis in cui si legge che "Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.

Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile".

Subito dopo, il ter dispone che "I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo". Grazie alle nuove previsioni, il provvedimento di affido, suscettibile di revisione al sopraggiungere di fatti nuovi, abbandona la sua staticità, si permea di elasticità, aderendo meglio alle mutevoli esigenze del minore. Di contro, la previsione di tali procedure di modifica, potrà portare ad un affollarsi di giudizi instaurandi, col conseguente prolungamento dei tempi tecnici processuali, a discapito della sempre auspicata certezza del diritto.

Più ricco di spunti e di ripercussioni pratiche, è quanto disposto dal successivo comma quater, in punto di assegnazione della casa familiare, in cui: "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643. Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l'altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell'affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici".

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