NEW 29 agosto 2005

RASSEGNA STAMPA
 
     

La riforma che Fazio non può più fare
di Alberto Alesina, Guido Tabellini e Luigi Zingales, da il Sole 24 ore del 24 agosto

Che cosa succederà alla riunione del Cicr di venerdì? Alcuni auspicano che il Governo proponga un limite al mandato del Governatore della Banca d'Italia, magari suggerendo ad Antonio Fazio di dimettersi. Altri più realisticamente si aspettano che sia lo stesso Fazio a proporre una riforma della governance di Banca d'Italia. Entrambe le soluzioni sarebbero inadeguate.

Il problema della Banca d'Italia non è tanto l'attuale Governatore nè solo il mandato a tempo indeterminato. È una questione che riguarda l'intero sistema di governance e coinvolge tutti i vertici della Banca centrale. Che il problema non si limiti a Fazio l'abbiamo appreso non solo dalle intercettazioni telefoniche, ma anche dal silenzioso assenso dei vertici della Banca. Non una voce di dissenso dal direttorio, non un minimo gesto teso a ostacolare l'operato del Governatore. Le inchieste giudiziarie comunque hanno confermato la presenza di forti professionalità. Dipendenti come Claudio Clemente e Giovanni Castaldi, che hanno fatto il loro dovere nonostante le pressioni in senso contrario dei superiori, fanno onore non solo a loro stessi ma anche all'istituzione per cui lavorano.

Il corpo della Banca d'Italia è sano, ma per rilanciarne la credibilità è necessario riformare l'istituzione e rimuovere i vertici senza ritardi o esitazioni. Il problema di governance non si riduce al mandato a tempo indeterminato. Paradossalmente un termine al mandato, senza alcuna altra riforma, potrebbe peggiorare le cose invece di migliorarle. Per capirlo è necessario riflettere su come la nascita dell'euro abbia cambiato le funzioni della nostra Banca centrale. Quando la Banca d'Italia decideva la politica monetaria del Paese, la sua indipendenza dal potere politico era essenziale. Solo questa indipendenza garantiva che l'offerta di moneta fosse regolata da criteri economici e non elettorali.

Ora però questa competenza è stata delegata alla Banca centrale europea. Alla Banca d'Italia rimangono solo le competenze di sorveglianza e di antitrust bancario. In questa situazione il rischio principale non è l'influenza indebita del potere politico sulla Banca d'Italia, ma l'influenza delle altre banche sull'Istituto centrale. Tutte le autorità regolatrici rischiano di essere catturate e gestite nell'interesse dei regolati. Il rischio è ancora maggiore per un organismo ( come la Banca d'Italia) che oggi è posseduto dai suoi regolati ( le banche). Per evitare che questo accada sono necessarie tre condizioni: ! la nomina dei vertici non deve essere influenzabile dal sistema bancario e deve essere riconducibile a una chiara responsabilità politica; " i processi decisionali della Banca devono essere più trasparenti e collegiali; si devono definire periodi di incompatibilità per evitare le cosiddette " revolving door", ovvero la possibilità dei regolatori di farsi assumere dai regolati alla fine del mandato.

Come i commissari Consob non sono nominati dalle società quotate, così la proposta di nomina del Governatore non può nascere dall'elezione da parte di un Consiglio nominato dalle banche. La sua nomina deve essere interamente politica, con responsabilità chiare e trasparenti, come avviene in praticamente tutte le moderne democrazie. E il Governatore deve rendere conto del suo operato alle istituzioni politiche, non all'assemblea dei suoi azionisti. Questo richiede un cambiamento della struttura proprietaria della Banca, a cui peraltro i suoi maggiori azionisti si sono già dichiarati disponibili. Il secondo cardine di una seria riforma della governance della Banca d'Italia riguarda la trasparenza e la collegialità delle decisioni. Oggi il Governatore opera come un monarca assoluto. Ciò rende molto difficile impedirgli di sbagliare.

Nella maggior parte degli altri Paesi invece le decisioni sono collegiali e trasparenti. Sarebbe stato più difficile per Fazio autorizzare l'acquisizione di AntonVeneta da parte della Popolare italiana contro il parere dello staff se questa decisione fosse stata presa da un Direttorio in cui anche gli altri membri votano e rispondono del proprio operato. È quindi necessario creare un vero consiglio direttivo, dove tutti i consiglieri siano responsabili e debbano rendere conto delle loro decisioni. Naturalmente, una riforma deve anche prevedere un termine al mandato. Ma, soprattutto se breve, un mandato a termine aumenta la dipendenza del Governatore dal sistema bancario.

Ci sarebbe il rischio o anche solo il sospetto che i governatori distribuiscano favori alle banche per assicurarsi un posto alla fine del mandato. Il mandato a termine, quindi, deve essere accompagnato dalla proibizione per gli ex governatori ad assumere qualsiasi impiego retribuito nel sistema bancario per un certo numero di anni, più di cinque ad esempio. Ma anche se resa propriamente indipendente, la Banca d'Italia non è nelle condizioni di operare nell'interesse del Paese fintantochè oltre che della vigilanza è anche responsabile della tutela della concorrenza. C'è un'incompatibilità essenziale tra queste due attività: chi ha a cuore la stabilità teme la concorrenza. E siccome gli effetti dell'instabilità ( una crisi bancaria) sono più visibili ( anche se non necessariamente più dannosi) degli effetti provocati dalla mancanza di concorrenza, un'autorità con entrambi i compiti finirà per preferire sempre la stabilità a danno della concorrenza.

In un sistema bancario scarsamente concorrenziale come il nostro questo è un lusso che non possiamo permetterci. Una seria riforma, quindi, deve sottrarre la concorrenza alla Banca d'Italia e affidarla all'Antitrust. Questi principi di governance costituiscono la normalità nel resto del mondo. Ma è impensabile che possano essere accolti in un'" autoriforma" che nasca su iniziativa della stessa Banca d'Italia. Come è possibile immaginare che i vertici di un'autorità indipendente ( e soprattutto questi vertici) propongano di ridurre i loro poteri, aumentare la loro accountability ,ridurre l'autoreferenzialità dei meccanismi di nomina, porre limiti alle opportunità future di carriera? Sarebbe una follia lasciare gestire a Fazio la riforma della governance. Eppure, oggi questo sembra essere l'esito più probabile.

È difficile capire perché i politici che ci governano, sempre ansiosi di protagonismo, in questa occasione vogliano abdicare alle loro responsabilità e lasciare che sia la Banca d'Italia ad " autoriformarsi". Probabilmente, essi sperano che ciò possa aiutare il Governatore a uscire di scena con più decoro. Ma la credibilità delle istituzioni è cosa ben diversa e più importante delle questioni individuali. Quando le rivelazioni degli astronomici compensi pagati al presidente del New York Stock Exchange, Richard Grasso, minarono la fiducia del mercato nella governance della Borsa di New York, la riforma non fu certo affidata a lui. Un outsider di prestigio ( John Reed) fu nominato presidente pro tempore, tutti i consiglieri di amministrazione si dimisero e costui ridisegnò la governance del Nyse. Così si ristabilisce la credibilità delle istituzioni, non cercando di salvare la faccia di chi questa credibilità ha dilapidato.

Nessun rinvio
di Alberto Alesina, Guido Tabellini, Luigi Zingales, da il Sole 24 ore del 28 agosto

La riunione del Cicr ha evidenziato che permangono divisioni nel Governo su come affrontare la crisi ai vertici di Banca d'Italia. Da un lato la Lega e forse una parte di Forza Italia, arroccate in una difesa ad oltranza dell'operato del Governatore. Dall'altro il ministro Siniscalco e un numero crescente di membri del Governo, sensibili al danno di immagine che il comportamento della Banca d'Italia ha prodotto. Tali divisioni non riflettono le opinioni nel Paese, dove ormai tutti hanno capito che una riforma profonda e incisiva della Banca d'Italia, accompagnata da un ricambio dei suoi vertici, non è più rinviabile. Le linee di fondo di tale riforma sono ampiamente condivise dagli esperti e conformi agli ordinamenti prevalenti nelle moderne democrazie.

La comunità internazionale e le stesse istituzioni europee si aspettano che il nostro Paese reagisca ed eviti di distruggere irrimediabilmente la credibilità di quella che una volta era la sua più affidabile e prestigiosa istituzione. Alla prossima riunione del Consiglio dei ministri il governo ha davanti a sé due strade. Può sposare la linea Siniscalco e proporre al Parlamento le riforme e il ricambio che tutti chiedono. In questo caso, non sarebbe difficile trovare un accordo bipartisan e ridare velocemente credibilità alla nostra banca centrale. Oppure può cercare una mediazione a tutti i costi e presentare una riforma cosmetica, con qualche ritocco superficiale alla governance della Banca d'Italia. Un gattopardesco cambiare, per lasciare tutto come prima.

In questo secondo caso, avremmo un istituto centrale paralizzato e incapace di adempiere ai suoi compiti di politica economica interna, e ridicolizzato presso le istituzioni europee di cui fa parte. La seconda strada sarebbe estremamente miope. Non eviterebbe una riforma e un ricambio ai vertici della Banca d'Italia, che alla fine avverrebbero comunque, ma dopo le elezioni e probabilmente con un'altra maggioranza politica. Ma dimostrerebbe al Paese che l'attuale esecutivo non è più in grado di governare e che non si sa assumere la responsabilità di scelte importanti in un momento difficile. Questo aumenterebbe ulteriormente i danni alla credibilità dell'istituzione e all'immagine del Paese prodotti dal comportamento di Bankitalia.

Confidiamo che il Governo, sotto la spinta del ministro Siniscalco, sappia valutare la realtà meglio del Governatore della Banca d'Italia, e capisca l'urgenza e la necessità di una svolta radicale. Se questo non dovesse avvenire, il ministro dell'Economia, che si è battuto a favore di riforme incisive e tempestive, ne uscirebbe sconfitto e dovrebbe chiedersi se la sua permanenza al Governo è ancora giustificata. 28 agosto 2005.


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