NOTIZIARIO del 28 novembre 2004

 
     

Lo spirito eversivo di una legge incostituzionale
di Nando dalla Chiesa

Difendere la Costituzione. I magistrati spiegano con questo imperativo la loro scelta di scioperare. Non dovuta a ragioni economiche, sostengono. Ed è indubbiamente vero, non chiedono una lira.

Non dovuta a ragioni corporative, ossia alla volontà di difendere privilegi astrusi e anacronistici. E anche questo è vero, poichè la riforma dell'ordinamento giudiziario firmata dal ministro Castelli non tocca quasi in nulla le inefficienze o le ragioni di scandalo dell'organizzazione della giustizia, ossia non aiuta di un grammo la domanda di giustizia dei cittadini.

Volontà di difendere la Costituzione, dunque. Ossia non se stessi, non il loro status o il loro rango in quanto tali, ma l'intera collettività nazionale, la cui democrazia riposa su una separazione dei poteri e su una magistratura indipendente. Ma quanto è vera, quanto è fondata, questa allarmante motivazione?

Ho seguito al Senato l'iter di questa legge per quasi tre anni. Ho ascoltato senza pregiudizi il ministro, la sua maggioranza, l'associazione magistrati, i costituzionalisti intervenuti nel dibattito. E devo dire che trovo l'elenco dei motivi di incostituzionalità della legge stilato dall'Anm sovrabbondante, mosso in gran parte dalla paura (legittima) di ciò che può succedere. Ma devo anche dire che ciò che con assoluta certezza accadrà basta e avanza per dire che si tratta di una legge incostituzionale: ossia che va contro la lettera e lo spirito della Costituzione.

Per ragioni di spazio faccio solo l'esempio del ruolo e dei poteri del Consiglio superiore della magistratura, il quale è - come si sa - considerato una specie di bestia nera, un nemico da piegare, dal governo Berlusconi. Il dibattito sui poteri di questo organo costituzionale (di autogoverno dei giudici) ha visto fiorire nel tempo molte interpretazioni.

Fu Cossiga presidente della Repubblica, e presidente dello stesso Csm, a tracciarne polemicamente i confini nel modo più restrittivo ai tempi degli attacchi ai giudici ragazzini. Il Csm, disse il Picconatore, deve limitarsi a regolare i processi di selezione e di promozione dei magistrati, le loro carriere, in sostanza.

Ebbene, la legge Castelli colpisce direttamente anche questa identità ristretta e "minima". Le carriere, infatti, vi vengono regolate in gran parte dalle commissioni concorsuali, esterne al Csm, che farà praticamente da notaio alle loro scelte. Dal loro canto le commissioni potranno risentire per mille vie dei giochi di influenza politica, più di quanto accada oggi.

Proprio lo sviluppo delle forme di condizionamento politico dell'amministrazione della giustizia costituisce un secondo punto di rottura certa degli equilibri costituzionali. Esso non viene realizzato come nel primo caso: ossia con un gruppo concentrato di norme. Ma con la seminagione nel testo di legge di una ricca serie di possibilità di intrusione nell'amministrazione della giustizia offerte al ministro e al potere politico.

Vi è però anche qualcosa in questa legge che ne segna lo spirito eversivo. Ed è quella che personalmente ho chiamato "l'estetica parlamentare". Che è l'insieme delle espressioni e delle toerie, delle interruzioni e delle grida, con cui il dibattito parlamentare ha accompagnato e qualificato la formazione della legge. Perchè è questa che ne rivela lo spirito effettivo, e in fondo legittima le paure dei magistrati anche per ciò che può accadere.

Basti un aneddoto per tutti. Un giorno il senatore Giampaolo Zancan, dei verdi, invitò la maggioranza a ricordare, nella scelta dei toni da adoperare in aula, che in quel momento del dibattito migliaia di magistrati erano comunque al lavoro, impegnati a rappresentare lo Stato contro il crimine, alcuni anche a rischio della vita.

A quel punto dai banchi della maggioranza si levò, da più settori, un solo grido all'indirizzo del senatore e (soprattutto) dei magistrati: "Vergogna!".

da Rassegna Sindacale 25.11.2004

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