NOTIZIARIO del 22 novembre 2004

 
     

Processo SME , riforma e indipendenza dei magistrati
di Giuseppe D'Avanzo, da Repubblica 23-11-04

Il ministro aggiunge una imputazione all'azione disciplinare già in corso contro Ilda Boccassini e Gherardo Colombo Subito dopo la requisitoria Sme nuova accusa di Castelli ai pm "Ancora illegittimità sul dossier chiesto da Previti".

Una nuova accusa contro i pubblici ministeri di Milano Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, nel procedimento disciplinare voluto da Previti e Castelli, ci racconta, meglio di ogni altra notizia, che cos'è la riforma dell'ordinamento giudiziario che giovedì sarà approvata dalla Camera.

È una riforma questa che non si occupa della giustizia, di come viene amministrata, della sua efficienza ed equità. Non c'è traccia di questa preoccupazione nella nuova legge. Non c'è nel testo né una norma né un comma che appresti anche soltanto una vaga misura di efficienza. Sono soprattutto l'autonomia del pubblico ministero e l'indipendenza del giudice le condizioni che la nuova legge vuole ridefinire. Hanno scritto i giudici della Corte di Cassazione che "dell'interesse pubblico - incontestabile e da tutti condiviso - ad avere processi meno lenti, meno cavillosi, più comprensibili e più efficienti - quindi, più giusti - la riforma non si occupa".

Altra è la necessità, altro l'obiettivo. La nuova legge non riforma la giustizia, riforma i magistrati. Il loro destino, la loro cultura, il loro imprinting, il loro lavoro. Il nocciolo della riforma è soltanto questo. Berlusconi, i "saggi", il governo si sono chiesti: quale magistrato vogliamo? Si sono risposti che volevano un magistrato "omogeneo" e obbediente. Intorno a questi due aggettivi è stato disegnato il nuovo ordinamento giudiziario. Si eclissa, come è stato detto, "il giudice senza timori e senza speranze" immaginato dalle democrazie liberali, garante di ogni "persona" anche la più disgraziata.

S'avanza un burocrate, un funzionario selezionato da una struttura a piramide che ne orienterà il codice genetico e le decisioni riproponendo un profilo professionale di età pre-costituzionale quando "l'imprinting escludeva scelte, gesti, gusti ripugnanti alla biensèeance filogovernativa; ed essendo una sciagura l'essere discriminati, come in ogni carriera burocratica, regnava l'impulso mimetico" (Franco Cordero).

Può essere interessante dare un'occhiata a quel che accade in queste ore a Milano per comprendere le ragioni dell'inquietudine della magistratura italiana che domani sciopererà per la terza volta in una legislatura. Un record. Accade che i pubblici ministeri Ilda Boccassini e Gherardo Colombo chiedano la condanna dell'imputato Silvio Berlusconi. Poche ore dopo, e questa è la novità di oggi, si ritrovano a leggere un nuovo capo d'accusa nel procedimento disciplinare che già stanno affrontando.

E' una storia che comincia quando Cesare Previti si ritrova a mal partito nei processi milanesi. Per guadagnare tempo e intaccare la reputazione di chi l'accusa, sostiene che nel fascicolo dell'inchiesta 9520/95 (è contro ignoti) ci sono le prove della sua innocenza, che quei magistrati le nascondono ad arte e con malizia. In quelle carte non c'è nulla che parli a favore o contro Previti, ma poco importa. Il roccioso Cesare invia un esposto al ministro di Giustizia. Più che un esposto, è un ordine: fa qualcosa e fallo presto.

Il ministro obbedisce. Incarica gli ispettori di raccogliere "i necessari elementi di riscontro" alle lamentele di Previti "acquisendo copia degli atti del fascicolo che ne consentano la ricostruzione e l'attuale stato". I pubblici ministeri oppongono il segreto investigativo (le indagini sono ancora in corso). E' legittimo o illegittimo farlo? Ne nasce un'altra controversia.

Due ispettori chiamati all'indagine concludono che non c'è illegittimità nella risposta dei due pubblici ministeri. E' la conclusione anche del capo degli ispettori che dà atto alla procura di Milano dell'"apprezzabile segno di collaborazione" e propone al ministro l'archiviazione del caso. Castelli non ci sta. Deve all'amico Cesare un'offensiva più audace e maligna. Accantona i due ispettori troppi deboli.

Ne scova altri due che vanno a Milano e fanno il lavoro che si aspetta da loro. Ritengono che l'opposizione del segreto investigativo, come l'intera indagine, sia illegittima. Castelli può dunque proporre il processo disciplinare contro Boccassini e Colombo perché sono "immeritevoli della fiducia e della considerazione di cui deve godere un magistrato" in quanto hanno "violato il dovere di correttezza e leale collaborazione nei confronti di un organo istituzionale", ovvero del ministero, ovvero del governo.

L'accusa è già grave e pare sufficiente a impensierire chiunque. Non deve essere parsa, poi, così adeguata perché ora è stata recapitata ai due malcapitati magistrati, una "supplettiva", come si dice. Un altro capo d'accusa: "Quell'illegittimità tuttora perdura". Staremo a vedere come si concluderà il "caso", ma l'affare torna utile per capire, approvata la riforma dei giudici, quali magistrati avremo in sorte. Li si può raccontare così. I grattacapi, che oggi devono affrontare Boccassini e Colombo, con la riforma non sarebbero arrivati dopo aver istruito i processi, ma prima di quell'istruzione.

L'intera riforma si muove per un controllo immunizzante del lavoro del pubblico ministero stretto in tre confini. La gerarchia: il procuratore può avocare a sé le indagini in qualsiasi momento. I concorsi: incentivano il formalismo e il conformismo culturale, puniscono o eliminano le "teste storte" da ogni possibilità di carriera. La minaccia delle azioni disciplinari: è rafforzato, addirittura invasivo, il potere del ministro, sono impoverite le prerogative del consiglio superiore della magistratura.

Immaginatelo ora un pubblico ministero alle prese con un'inchiesta che incontra uomini potenti. Lo scoprirete incerto e timoroso e cautissimo. I guai gli possono venire da ogni lato. Dal suo Capo. Dall'Imputato. Dagli amici dell'Imputato. Dal ministro. Con l'azione disciplinare divenuta obbligatoria, sa che dovrà affrontare in ogni caso un procedimento disciplinare. E se non dovesse farcela? Non è il solo pensiero cattivo che frolla il nostro pubblico ministero.

Una buona inchiesta, soprattutto un'inchiesta che affronta "eccellenti", è salutare che abbia prove "blindate". Prove di questa qualità non nascono sugli alberi, ma da un lungo e paziente lavoro investigativo. Un lavoro ben fatto è un lavoro che prende tempo. Che soprattutto ruba tempo allo studio e, se il pubblico ministero non studia o non scrive qualcosa di scientifico, la carriera, la promozione può dimenticarle perché per le funzioni di secondo grado o di legittimità, per diventare magistrati dell'appello o della Cassazione si devono affrontare e superare esami e concorsi per titoli. Quel che fai ogni giorno, la correttezza e produttività e qualità del tuo lavoro, conta nulla.

E allora immaginatelo quel pubblico ministero "riformato". Imprigionato dal sospetto e dalla gerarchizzazione, capirà che il suo mestiere è quello di "un funzionario", che deve considerarsi più o meno (lo ha detto Andrea Manzella al Senato) "un dipendente del procuratore della Repubblica" dopo una riforma che fa "dei procuratori della Repubblica un ristretto gruppo di magistrati titolari del potere di direttiva di politica criminale" realizzando un nuovo conformismo che si rifletterà sull'attività giurisdizionale e sulla tenuta del nostro Stato di diritto.

Perché c'è da credere che il pubblico ministero che abbiamo immaginato, alla prese con un processo difficile con imputati importanti, avrà convenienza a lasciar perdere, a guardare da un'altra parte, magari a imputati meno prestigiosi, meno protetti, più abbordabili, più "deboli". È per questo che la riforma dei giudici, che preoccupa i magistrati, dovrebbe inquietare anche i cittadini.

Anzi. Soprattutto i cittadini.

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