NOTIZIARIO del 16 luglio 2004

 
     

Genova: G8, crimini di Stato
da Carlo Dore jr

Nell'estate di tra anni fa, a Genova veniva scritta una delle pagine più tristi della pur breve storia della Seconda Repubblica. In occasione della conferenza internazionale comunemente denominata "G8" (in cui i leaders delle otto principali potenze del Pianeta si riunivano al fine di individuare alcuni comuni obiettivi in tema di politica economica e di strategia di sviluppo) gli scontri verificatisi tra le forze dell'ordine e le frange più estreme del movimento "no global" raggiunsero i livelli di violenza propri di un'autentica guerra civile, culminando nell'uccisione di un manifestante ad opera di un poliziotto e nei drammatici episodi che caratterizzarono l'ispezione alla scuola Diaz, centrale operativa del Movimento anti-globalizzazione.

A distanza di tre anni, è opportuno procedere in una serena analisi dei fatti che scandirono l'evolversi di quelle sconcertanti giornate, limitando (senza per questo rinunciare al necessario esercizio del diritto di critica) l'incidenza che le convinzioni ideologiche assumono sull'obiettiva capacità di valutazione di chi si rapporta a determinate situazioni.

Preliminarmente, occorre rilevare che le considerazioni che seguiranno non sono dirette né a demonizzare nella loro interezza le forze dell'ordine, l'importanza del cui operato si manifesta quotidianamente in tutta la sua rilevanza, né a generare un'artificiosa sovrapposizione tra gli atti di devastazione bieca ed ingiustificata e la libertà di manifestazione del pensiero. Viceversa, esse si basano sul semplice presupposto secondo cui la libertà di manifestare il proprio credo costituisce un diritto massimamente garantito dalla nostra Carta fondamentale, spettando quindi, allorquando gruppi di cittadini si riuniscono a tal fine in luoghi aperti al pubblico, alle forze di polizia il compito di garantire l'incolumità e la sicurezza di quanti intendono esercitare tale diritto.

Ne consegue che la repressione di tale libertà implica la violazione di uno dei principi fondanti di una democrazia evoluta. In quella torrida giornata di luglio, un autentico fiume di persone si riversò nelle strade di Genova, dando vita ad una manifestazione di spaventosa imponenza: le strade del capoluogo ligure, liberate, in doveroso ossequio al gusto estetico del premier appena insediato, dall'antiestetica presenza di ogni sorta di panni appesi al sole, erano per questo impregnate da un clima da coprifuoco. Mentre la grande folla avanzava, pacifica e rumorosa, piccole squadre di devastatori organizzati, noti al mondo intero come black-blockers, iniziavano a sfogare la loro ferocia su alcune innocue vetrine.

La reazione della forza pubblica, invece di essere scientificamente mirata a neutralizzare i violenti, investì con ferocia inaudita il corteo nella sua interezza, mentre gruppi di poliziotti in assetto anti-sommossa non esitavano a scagliarsi contro manifestanti attoniti ed inermi. E proprio nel momento in cui l'on Berlusconi apriva i lavori della conferenza descrivendo come "disordini causati dai comunisti" gli scontri in atto a pochi metri dal luogo dei lavori, il sangue di Carlo Giuliani, vittima ma non martire di quei giorni di ordinaria follia, macchiava il cemento arroventato di Piazza Alimonda.

I fatti che seguirono quel tragico avvenimento sarebbero perfettamente inquadrabili nell'ambito dei resoconti delle brutalità proprie del più feroce regime sudamericano. Dinanzi al sorriso inerte di un ministro dell'Interno tanto approssimativo nell'espletamento del suo incarico da essere rapidamente costretto alle dimissioni a causa delle sue continue gaffes, il contegno tenuto dalle forze di polizia nel corso dell'ispezione alla scuola Diaz, gli arresti arbitrari, le torture e le minacce in confronto dei soggetti fermati, la scientifica predisposizione di prove artefatte costituiscono il radicale travolgimento delle più elementari regole tratteggiate dalla nostra Costituzione.

Le ragioni che animarono una reazione di tali proporzioni non sono tuttora state chiarite, e tale situazione di incertezza tende ad alimentare i sospetti (ulteriormente avvalorati dalle dissennate esternazioni della scrittrice Oriana Fallaci in occasione della manifestazione svoltasi a Firenze nella primavera del 2003) relativi all'esistenza di un progetto diretto a criminalizzare un movimento capace, grazie ai consensi in breve tempo raccolti, di mettere in crisi i grandi della politica.

Proprio l'esigenza di garantire e di preservare il prestigio delle forze dell'ordine imponeva infatti di procedere in una rapida individuazione di quei funzionari che si erano resi autori degli atti precedentemente descritti, al fine di consentire che le loro eventuali responsabilità venissero accertate mediante un regolare processo.

Tuttavia, quegli stessi partiti politici i quali, in quanto composti da "individui dalle mani pulite e dalle idee chiare", si sono sempre elevati al ruolo di garanti della sicurezza e della pax sociale hanno imposto che sulle vicende appena ricordate calasse la consueta, italianissima cortina di oblio, forti della consapevolezza che il trascorrere del tempo è per l'opinione pubblica un ottimo incentivo a dimenticare.

Ma per Genova è impossibile dimenticare quelle roventi giornate del luglio 2001: l'esigenza di comprendere perché realmente certe situazioni si sono determinate può risultare tanto stringente da squarciare anche quel velo di verità precostituite che invariabilmente copre i tanti crimini di Stato verificatisi nel corso della storia della Repubblica.

by www.osservatoriosullalegalita.org

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