NOTIZIARIO del 16 marzo 2004

 
     

Terrorismi
a cura di Giulia Alliani

La lettura ravvicinata del testo del messaggio di Al Qaeda e di un editoriale di Barbara Spinelli sulla vicenda dell'estradizione dalla Francia di Battisti, terrorista degli anni di piombo, suscita una strana impressione.

Confrontando il ricordo degli anni di piombo e delle rivendicazioni dei terroristi di allora, con i messaggi dei terroristi di oggi, quelli di Al Qaeda, ci si puo' chiedere dove stiano le somiglianze.

Per prima cosa pare che i personaggi di entrambi i gruppi rifiutino di essere indicati come terroristi e criminali. Che i terroristi si definiscano seguaci del profeta Maometto, o si considerino le romantiche e sconfitte pedine di una rivoluzione "necessaria", la conseguenza che infine ne deriva consiste in un furbesco rifiuto delle proprie personalissime responsabilita'.

Un altro aspetto che li accomuna e' la voglia di morte che li caratterizza o li ha caratterizzati. Questo aspetto del "desiderio di morte" era stato sviluppato in un vecchio scritto di Umberto Eco del 1981, apparso su "La Repubblica".

Si tratta di un articolo che costituisce l'embrione di un intervento del 1995 alla Columbia University, il cui argomento era "Il Fascismo Eterno" (Eternal Fascism: Fourteen Ways of Looking at a Blackshirt By Umberto Eco Writing in New York Review of Books, 22 June 1995).

Questa e' l'ultima parte di quell'intervento ancora tanto attuale: "L'Ur-Fascismo e' ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe tanto piu' facile per noi se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: "Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane." Purtroppo la vita non e' cosi' semplice. L'Ur-Fascismo puo' ancora tornare sotto il piu' innocente dei travestimenti. Il nostro dovere e' di smascherarlo e di puntare il dito sulla nuova forma che ha assunto, sempre e ovunque. E' bene ricordare le parole pronunciate da Franklin Roosevelt il 4 novembre 1938: "Se la democrazia americana cessa di avanzare come una forza viva, cercando giorno e notte con mezzi pacifici di migliorare le sorti dei nostri cittadini, il fascismo acquistera' forza nel nostro Paese".

L'intervento ebbe una notevole risonanza negli Stati Uniti e, con l'avvento di Bush, ha conosciuto nuova popolarita'.

Per un confronto diretto proponiamo anche il testo di Al Qaeda, l'articolo di Barbara Spinelli e quello di Eco.

Questo il testo della rivendicazione fatta a nome di Al Qaeda in una videoregistrazione da un uomo identificatosi come Abu Dujam Al Afgani: "Dichiariamo la nostra responsabilità per quanto avvenuto a Madrid, esattamente due anni dopo i nostri attentati di New York e Washington. E' una risposta alla vostra collaborazione con il criminale Bush e i suoi alleati. E' una risposta ai crimini che avete causato nel mondo e, in particolare, in Iraq e in Afghanistan, e ce ne saranno altre, se Dio vuole.
Voi volete la vita, noi vogliamo la morte, questo dà un esempio di quello che ha detto il profeta Maometto, se non cessate le vostre ingiustizie il sangue crescerà ancora e ancora, e questi attentati sembreranno poca cosa rispetto a quello che potrà succedere con quello che voi chiamate terrorismo".

Scrive Eco ne LA VOGLIA DI MORTE:

Ogni tanto accade di dover spiegare a qualcuno o a noi stessi che cosa sia il fascismo. E ci si accorge che e' categoria molto sfuggente: non e' solo violenza, perche' ci sono state violenze di vari colori; non e' solo uno stato corporativo, perche' ci sono corporativismi non fascisti: non e' solo dittatura, nazionalismo, bellicismo, vizi comuni ad altre ideologie. Talche' si rischia in fin dei conti sovente di definire come "fascismo" l'ideologia degli altri. Ma c'e' una componente dalla quale e' riconoscibile "il" fascismo: ed e' il culto della morte.

Nessun movimento politico e ideologico si e' mai cosi' decisamente identificato con la necrofilia eletta a rituale e a ragion di vita. Molta gente muore per le proprie idee, molta altra gente fa morire gli altri, per ideali o per interesse, ma quando la morte non viene considerata un mezzo per ottenere qualcos'altro bensi' un valore in se', allora abbiamo il germe del fascismo e dovremo chiamare fascismo cio' che si fa agente di questa promozione. Dico la morte come valore da affermare per se stesso. Non dico la morte per cui vive il filosofo, il quale sa che sullo sfondo di questa necessita', e tramite la sua accettazione, prendono senso gli altri valori; non dico la morte dell'uomo di fede, il quale non rinnega la propria mortalita' e la giudica provvidenziale e benefica perche' attraverso di essa arrivera' a un'altra vita. Dico la morte sentita come "urgente" perche' e' gioia, verita', giustizia, purificazione, orgoglio, sia che venga data ad altri sia che venga realizzata su di se'.

Ortega y Gasset ricordava che i Celtiberi erano l'unico popolo dell'antichita' che adorasse la morte. Non diro' che i Celtiberi fossero archeologicamente fascisti, dico che fu in Spagna che apparve durante la guerra civile il grido "Viva la muerte!". Il fascismo primitivo ed eroico porto' la morte sulla camicia e sul fez e nel colore stesso delle sue divise. Volle andare incontro alla morte con un fiore in bocca, parlo' di sorella morte con accenti non francescani, se ne frego' della brutta morte (non credo che Matteotti, Rosselli o Salvo D'Acquisto se ne fregassero della morte bruttissima che fecero). E se mi dite che molte tradizioni religiose hanno elaborato rituali funebri in cui il senso della penitenza veniva fortemente inquinato dal gusto della necrofilia, diremo allora, in piena tranquillita', che anche la' si annidavano i germi di un fascismo possibile, come nelle celebrazioni dell'olocausto e del karakiri della tradizione militaristica giapponese. Amare necrofilicamente la morte significa dire che e' bello riceverla e rischiarla, e che ancor piu' bello e santo e' distribuirla. Che solo la morte paga, meglio se quella altrui, ma al limite anche la propria, purche' vissuta con sprezzo. L'amore della morte (che domina anche le pratiche dei drogati) fa si' che appaia bello "buttar via" la propria vita. Per amare la morte bisogna profondamente odiare la vita (ci sono invece martiri e e suicidi che muoiono senza odiare la vita, anzi, per eccesso d'amore).

Amare la morte significa credere in fondo al cuore che essa risolva molte cose, e meglio. Questo odore di morte, questo puteolente bisogno di morte, si sente oggi in Italia. se questo voleva il terrorismo (nel suo animo profondamente, ancestralmente squadrista) l'ha avuto. Ha chiamato a raccolta pulsioni profonde, fascismi variamente mascherati, ignoti anche a chi li celava repressi nell'inconscio. Li ha fatti ribollire nel ventre a persone altrimenti miti e nobilissime, che per un attimo hanno ceduto al richiamo delle Madri oscure, e hanno dimenticato che anche Mussolini appeso per i piedi a Piazzale Loreto e crivellato di pallottole, forse era giustizia, ma non era bene. Lettori di Beccaria hanno parlato come Lovecraft. Forse dovremmo difenderli anche da se stessi, perche' non e' questo che vogliono, non e' questa l'alleanza che cercavano, ne' la soluzione. Le madri col bambino in braccio che firmavano a Bologna, il tassista che mi dice "al muro, al muro, e addebitiamo le munizioni alla famiglia", ragionano come il ragazzo di Prima Linea che crede che la morte di Tobagi valga come appello, richiamo, monito, manifesto. Le responsabilita' penali sono certo diverse, ma in tutti gioca la persuasione che la morte anziche' una necessita' che arriva da sola, e per la quale bisogna vivere, sia una pratica di purificazione da produrre in anticipo sulla natura. E che la commini lo Stato o una banda armata, e' sempre morte, sporca perche' crede di essere purificatrice e perche' in qualche modo da' soddisfazione.

Invece la morte buona, e cioe' quella naturale, e' quella che non da' piacere a nessuno, ne' a chi muore ne' a chi resta, quella per la quale nessuno possa dire "ci voleva!". Ho discusso con alcuni ragazzi che, spinti da amor di vita, sono andati a tirare uova marce contro i firmatari per la pena di morte. Marcio contro marcio, non paga. Formate lunghe e cupe processioni per la citta', gli ho consigliato, con cappucci neri, e ceri, e grandi cartelli in cui si vedano i volti dei fucilati della Comune, le schiene dei fucilati di Villarbasse, le teste mozzate del capolavoro del dottor Guillotin, la faccia di chi nella camera a gas aspetta che la pastiglia cada nella vaschetta dell'acido per formare il vapore tossico. E i bambini impalati dal voivoda Dracula, e le ragazze streghe sul rogo, e poi Moro, Bachelet, Tobagi, Alessandrini, e qualche ebreo.

Fate una grande saga della morte nelle nostre citta': date alla gente l'odore della morte, il sapore della morte, l'impressione tattile del liquame che esce dalle narici e dalle orecchie di un corpo in decomposizione, fate sentire lo schifo della morte provocata ad arte in nome di una qualsiasi giustizia. Siate sgradevoli, fate vomitare le donne incinte, costringete la gente a fare le corna, a toccarsi i testicoli, a rientrare in casa come se ci fosse il coprifuoco. Solo per un giorno, in modo che il paese si accorga che sta prendendo gusto alla morte e ricordi cos'e' la morte, e tutti si chiedano se non stiamo diventando pazzi. Poi smettete anche voi, perche' a giocare troppo con l'immagine della morte ci si prende gusto. (La Repubblica, 14 febbraio 1981)

E' ovvio che tali considerazioni si possono applicare ai terrorismi di qualsiasi segno e il messaggio di Al Qaeda e' la' a dimostrarlo.

Le stesse riflessioni possiamo farle quando ripensiamo al caso Battisti.

continua >

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